Il tema dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato ha formato oggetto di studio di un’abbondante dottrina. Salva una premessa sui principali orientamenti dottrinali in materia, nello scritto l’attenzione è focalizzata sull’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia di conflitti tra poteri provocati da leggi ed atti equiparati. Dall’analisi della giurisprudenza costituzionale emerge che la Corte prendendo le mosse da una posizione di scarsa apertura (sentenza 406/1989), ha poi, per tappe successive, sostanzialmente capovolto e spostato i termini di riferimento del rapporto regola-eccezione. Con la sentenza 161/1995, mantenendo una certa coerenza rispetto alla precedente pronuncia, la Corte ha semplicemente esplicitato le eccezioni sottintese all’inciso “in linea di principio”, conservando tendenziale eccezionalità all’ipotesi di conflitto su atti legislativi. Con la sentenza 457/1999, la Corte giunge ad ammettere che gli atti legislativi possono “in linea di principio” formare oggetto di conflitti, non assumendo rilievo la natura dell’atto ai fini dell’ammissibilità del conflitto. In questo modo è venuta meno l’esigenza di valutare di volta in volta la ricorrenza di “situazioni particolari” al fine di ritenere l’atto legislativo idoneo a formare oggetto del conflitto. Nel sindacato di ammissibilità rimane, tuttavia, essenziale il vaglio del requisito oggettivo (la sfera delle attribuzioni costituzionali di cui si lamenta la lesione) e del requisito soggettivo (il potere dello Stato). Ed è proprio in riferimento a quest’ultimo profilo che la Corte introduce un distinguo limitato all’autorità giudiziaria: “per l’eventualità che il giudice … dubiti della legittimità costituzionale delle norme” legislative disciplinanti l’esercizio della giurisdizione “(anche sotto il profilo della possibile lesione della propria sfera di attribuzioni), l’ordinamento appresta un rimedio diverso dal conflitto, vale a dire la questione incidentale di legittimità costituzionale” (ordinanza n. 278/1997). Pertanto, la Corte, da un lato, ha invertito il rapporto regola-eccezione, dall’altro lato, ha traslato termini di riferimento dello stesso: dagli atti idonei a formare oggetto del conflitto, al profilo soggettivo degli organi legittimati attivamente a sollevarlo in relazione agli atti legislativi. Anzi, l’eccezione, sotto il profilo soggettivo, subisce un’ulteriore restrizione in quanto si chiede, affinché un giudice possa sollevare il conflitto in relazione ad una legge o atto equiparato, non solo che gli stessi non debbano essere applicati in un giudizio pendente innanzi allo stesso, ma altresì che quest’ultimo “sia attualmente investito del processo” (ordinanza n. 144/2000 e ordinanza n. 211/2000). Questo sembra escludere che il giudice possa agire a difesa della funzione giurisdizionale “astrattamente” e “staticamente” intesa, ma, contestualmente, alimenta un circolo vizioso. Se ne potrebbe uscire applicando per analogia quanto accade per le Regioni. Anche i giudici come le Regioni verrebbero a godere di due possibilità di accesso alla Corte: il giudizio di legittimità e il conflitto di attribuzioni. Poiché l’autorità giudiziaria può censurare gli atti legislativi in via incidentale, il conflitto potrà avere ad oggetto solo atti non legislativi, ferma restando la regola sancita, per quest’ultimo caso, dall’ordinanza 144/2000 dell’attualità del processo. Nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale potranno essere censurate anche le incostituzionalità per invasione delle attribuzioni costituzionali purché, naturalmente, si tratti di disposizioni suscettibili di trovare applicazione nel giudizio in corso. Rispetto a tutte quelle disposizioni legislative che non rilevano direttamente in un processo in quanto riguardano lo status o l’organizzazione della magistratura il conflitto potrà essere proposto dal Consiglio Superiore della Magistratura. In questo modo sembra ci si avvicini alla “quadratura del cerchio” essendosi ormai notevolmente ampliate le capacità di reazione dei poteri dello Stato a tutela delle proprie sfere di attribuzioni costituzionali. Rimane la necessità di un intervento della Corte volto a chiarire le effettive possibilità per l’autorità giudiziaria di adirla in sede di conflitto. Sembra a questo punto legittimo affermare che l’inclusione a pieno titolo della legge e degli atti aventi forza di legge tra gli atti idonei a provocare conflitti sindacabili dalla Corte costituzionale porti effettivamente ad una maggior razionalizzazione dei rapporti tra i poteri dello Stato, in particolare dei rapporti tra i poteri “politici” per eccellenza (Parlamento e Governo) e tutti gli altri. In questo modo si recupera quell’ “abbassamento del livello politico delle controversie” denunciato in relazione alla “parcellizzazione dell’istituto del conflitto di attribuzioni” (S.Bartole).

La legge e gli atti normativi equiparati come “oggetto” di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato

MACCABIANI, Nadia
2002-01-01

Abstract

Il tema dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato ha formato oggetto di studio di un’abbondante dottrina. Salva una premessa sui principali orientamenti dottrinali in materia, nello scritto l’attenzione è focalizzata sull’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia di conflitti tra poteri provocati da leggi ed atti equiparati. Dall’analisi della giurisprudenza costituzionale emerge che la Corte prendendo le mosse da una posizione di scarsa apertura (sentenza 406/1989), ha poi, per tappe successive, sostanzialmente capovolto e spostato i termini di riferimento del rapporto regola-eccezione. Con la sentenza 161/1995, mantenendo una certa coerenza rispetto alla precedente pronuncia, la Corte ha semplicemente esplicitato le eccezioni sottintese all’inciso “in linea di principio”, conservando tendenziale eccezionalità all’ipotesi di conflitto su atti legislativi. Con la sentenza 457/1999, la Corte giunge ad ammettere che gli atti legislativi possono “in linea di principio” formare oggetto di conflitti, non assumendo rilievo la natura dell’atto ai fini dell’ammissibilità del conflitto. In questo modo è venuta meno l’esigenza di valutare di volta in volta la ricorrenza di “situazioni particolari” al fine di ritenere l’atto legislativo idoneo a formare oggetto del conflitto. Nel sindacato di ammissibilità rimane, tuttavia, essenziale il vaglio del requisito oggettivo (la sfera delle attribuzioni costituzionali di cui si lamenta la lesione) e del requisito soggettivo (il potere dello Stato). Ed è proprio in riferimento a quest’ultimo profilo che la Corte introduce un distinguo limitato all’autorità giudiziaria: “per l’eventualità che il giudice … dubiti della legittimità costituzionale delle norme” legislative disciplinanti l’esercizio della giurisdizione “(anche sotto il profilo della possibile lesione della propria sfera di attribuzioni), l’ordinamento appresta un rimedio diverso dal conflitto, vale a dire la questione incidentale di legittimità costituzionale” (ordinanza n. 278/1997). Pertanto, la Corte, da un lato, ha invertito il rapporto regola-eccezione, dall’altro lato, ha traslato termini di riferimento dello stesso: dagli atti idonei a formare oggetto del conflitto, al profilo soggettivo degli organi legittimati attivamente a sollevarlo in relazione agli atti legislativi. Anzi, l’eccezione, sotto il profilo soggettivo, subisce un’ulteriore restrizione in quanto si chiede, affinché un giudice possa sollevare il conflitto in relazione ad una legge o atto equiparato, non solo che gli stessi non debbano essere applicati in un giudizio pendente innanzi allo stesso, ma altresì che quest’ultimo “sia attualmente investito del processo” (ordinanza n. 144/2000 e ordinanza n. 211/2000). Questo sembra escludere che il giudice possa agire a difesa della funzione giurisdizionale “astrattamente” e “staticamente” intesa, ma, contestualmente, alimenta un circolo vizioso. Se ne potrebbe uscire applicando per analogia quanto accade per le Regioni. Anche i giudici come le Regioni verrebbero a godere di due possibilità di accesso alla Corte: il giudizio di legittimità e il conflitto di attribuzioni. Poiché l’autorità giudiziaria può censurare gli atti legislativi in via incidentale, il conflitto potrà avere ad oggetto solo atti non legislativi, ferma restando la regola sancita, per quest’ultimo caso, dall’ordinanza 144/2000 dell’attualità del processo. Nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale potranno essere censurate anche le incostituzionalità per invasione delle attribuzioni costituzionali purché, naturalmente, si tratti di disposizioni suscettibili di trovare applicazione nel giudizio in corso. Rispetto a tutte quelle disposizioni legislative che non rilevano direttamente in un processo in quanto riguardano lo status o l’organizzazione della magistratura il conflitto potrà essere proposto dal Consiglio Superiore della Magistratura. In questo modo sembra ci si avvicini alla “quadratura del cerchio” essendosi ormai notevolmente ampliate le capacità di reazione dei poteri dello Stato a tutela delle proprie sfere di attribuzioni costituzionali. Rimane la necessità di un intervento della Corte volto a chiarire le effettive possibilità per l’autorità giudiziaria di adirla in sede di conflitto. Sembra a questo punto legittimo affermare che l’inclusione a pieno titolo della legge e degli atti aventi forza di legge tra gli atti idonei a provocare conflitti sindacabili dalla Corte costituzionale porti effettivamente ad una maggior razionalizzazione dei rapporti tra i poteri dello Stato, in particolare dei rapporti tra i poteri “politici” per eccellenza (Parlamento e Governo) e tutti gli altri. In questo modo si recupera quell’ “abbassamento del livello politico delle controversie” denunciato in relazione alla “parcellizzazione dell’istituto del conflitto di attribuzioni” (S.Bartole).
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