Nel multiforme universo della prevenzione del rischio d’impresa hanno fatto ingresso, negli ultimi anni, due nuove “parole d’ordine”. L’una (la compliance «integrata») assurta al rango di prassi imprescindibile da seguire sia in fase di risk assessment, sia nella predisposizione dei presidi di controllo; l’altra (la sostenibilità d’impresa) imposta dall’Unione europea, tramite un corpus normativo ipertrofico, alla stregua di un mantra cui il capitalismo dovrebbe, rivoluzionando il proprio DNA, adeguarsi in nome della tutela di supremi valori universali, tanto eticamente condivisibili, quanto pragmaticamente imperseguibili. Una critica radicale a questi dogmi è lo scopo del presente contributo inteso, da un lato, a demitizzare la portata della locuzione compliance «integrata» la quale appare, allo stato, poco più di una indicazione metodologica (e tuttavia ammantata da un incessante verbiage); dall’altro, a denunciare la cifra squisitamente ideologica della sostenibilità; quest’ultima, con il suo carico di incombenze di rendicontazione per l’attività di impresa, rappresenta uno dei più deteriori lasciti di quel Green deal europeo la cui profonda crisi e ripensamento sono all’ordine del giorno. Identico destino sembra incombere sulla Corporate Sustainability Due Diligence Directive: Francia e Germania ne hanno chiesto l’abolizione e i tempi potrebbero essere finalmente maturi per riportare al centro dell’attenzione le esigenze di snellimento e di semplificazione del sistema dei controlli, cioè a dire una delle reali - e non ideologiche - necessità del settore d’impresa.

Due "nuovi" idola theatri: la compliance integrata e la sostenibilità d'impresa

Alessandro Bernasconi
2025-01-01

Abstract

Nel multiforme universo della prevenzione del rischio d’impresa hanno fatto ingresso, negli ultimi anni, due nuove “parole d’ordine”. L’una (la compliance «integrata») assurta al rango di prassi imprescindibile da seguire sia in fase di risk assessment, sia nella predisposizione dei presidi di controllo; l’altra (la sostenibilità d’impresa) imposta dall’Unione europea, tramite un corpus normativo ipertrofico, alla stregua di un mantra cui il capitalismo dovrebbe, rivoluzionando il proprio DNA, adeguarsi in nome della tutela di supremi valori universali, tanto eticamente condivisibili, quanto pragmaticamente imperseguibili. Una critica radicale a questi dogmi è lo scopo del presente contributo inteso, da un lato, a demitizzare la portata della locuzione compliance «integrata» la quale appare, allo stato, poco più di una indicazione metodologica (e tuttavia ammantata da un incessante verbiage); dall’altro, a denunciare la cifra squisitamente ideologica della sostenibilità; quest’ultima, con il suo carico di incombenze di rendicontazione per l’attività di impresa, rappresenta uno dei più deteriori lasciti di quel Green deal europeo la cui profonda crisi e ripensamento sono all’ordine del giorno. Identico destino sembra incombere sulla Corporate Sustainability Due Diligence Directive: Francia e Germania ne hanno chiesto l’abolizione e i tempi potrebbero essere finalmente maturi per riportare al centro dell’attenzione le esigenze di snellimento e di semplificazione del sistema dei controlli, cioè a dire una delle reali - e non ideologiche - necessità del settore d’impresa.
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