A quasi trent’anni dalla promulgazione del CCEO la dottrina non cessa di interrogarsi riguardo alla compatibilità o meno del fenomeno “Codice moderno” con il patrimonio giuridico di matrice orientale; e, più specificamente pone particolare attenzione alla verifica di quale possa essere il grado di flessibilità ancora praticabile in un sistema codificato a livello ermeneutico-applicativo ed in quella nomopoietico-locale: ci si chiede insomma se sia davvero possibile un funzionamento del Codice in senso autenticamente orientale. Non vi è dubbio che si tratti di interrogativi circoscrivibili alla esperienza giuridica dell’Oriente cattolico; tuttavia sarebbe quanto meno riduttivo isolarli dal più vasto contesto dell’esperienza giuridica contemporanea. Quest’ultima, infatti, proprio per la fluidità che la caratterizza, si offre al canonista quale opportunità decisiva per rivisitare i dinamismi originali in cui si è giocata e continua giocarsi, dinanzi alle sfide attuali, la vitalità dell’ordinamento canonico nella sua interezza, fin nelle flessioni che ne connotano il carattere essenzialmente plurale. Si ritiene pertanto che un apprezzamento equilibrato della distinzione tra disciplina latina e discipline orientali possa consentire di mettere a fuoco quei margini di elasticità ancora presenti a soddisfacimento delle esigenze tipiche della prassi orientale ma nient’affatto estranee a quella latina, senza deprimere l’irriducibile specificità di ciascuna tradizione e, al tempo stesso, senza sottovalutarne la profonda comunanza sostanziale. In tale prospettiva, forse non vi è categoria più suggestiva da ripensare che la rationabilitas. Non vi è dubbio che la scelta di non codificare la definizione sostanziale di legge – si pensi a quella divenuta classica di San Tommaso: «lex nihil est aliud quam quaedam ordinatio rationis ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet promulgata» - pur obbedendo a valutazioni contingenti di natura pratica, segni una linea di demarcazione netta rispetto al diritto precodiciale. E’ del pari innegabile che la canonistica latina contemporanea abbia ricevuto integra l’eredità sulla rationabilitas, come dimostrano gli studi anche recenti dedicati alle norme generali o a temi ad esse correlati, e come documentano i manuali che offrono la trattazione organica e sistematica del diritto vigente evidenziando le linee di forza e le peculiarità dell’ordinamento canonico . Ora proprio questo squilibrio – povertà del dato codiciale e solidità dell’impianto dottrinale – merita adeguata ponderazione, in quanto documenta quell’urgenza di senso che attraversa l’intero itinerario della codificazione postconciliare e che culmina nella domanda radicale dei vescovi olandesi emersa durante le ultime battute della revisione del Codice piobenedettino: «quid sibi vult verbum rationabilis?». Un interrogativo di questo calibro rende ancor più vivo l’interesse ad una verifica della effettiva portata di una categoria, profondamente innervata nei gangli vitali dell’ordinamento qual è la rationabilitas, sul versante orientale di quel Corpus Iuris Canonici in cui trova compimento il disegno del legislatore affinché la Chiesa «unico Spiritu congregata quasi duobus pulmonibus Orientis et Occidentis respiret atque uno corde quasi duos ventriculos habente in caritate Christi ardeat». Tale verifica che interessa inevitabilmente tutti i livelli dell’esperienza giuridica, trattando del dinamismo pervasivo di un criterio fondamentale, di per sé refrattario ad essere rinchiuso in pochi o molti canoni di un codice, non può eludere, almeno in prima battuta, quello normativo che disciplina la produzione stessa del diritto. A questo livello basilare si svolgeranno dunque le considerazioni del presente saggio, che percorrono la genesi del titolo De lege, de consuetudine et de actibus administrativis, ove si evidenzia tra l’altro la marcata diversità strutturale del CCEO rispetto ai codici latini.  

General Categories and “Common” Words in the “Long Navigation” Towards the CCEO: The Subtle Echo of Rationabilitas

Chiara Minelli
2019-01-01

Abstract

A quasi trent’anni dalla promulgazione del CCEO la dottrina non cessa di interrogarsi riguardo alla compatibilità o meno del fenomeno “Codice moderno” con il patrimonio giuridico di matrice orientale; e, più specificamente pone particolare attenzione alla verifica di quale possa essere il grado di flessibilità ancora praticabile in un sistema codificato a livello ermeneutico-applicativo ed in quella nomopoietico-locale: ci si chiede insomma se sia davvero possibile un funzionamento del Codice in senso autenticamente orientale. Non vi è dubbio che si tratti di interrogativi circoscrivibili alla esperienza giuridica dell’Oriente cattolico; tuttavia sarebbe quanto meno riduttivo isolarli dal più vasto contesto dell’esperienza giuridica contemporanea. Quest’ultima, infatti, proprio per la fluidità che la caratterizza, si offre al canonista quale opportunità decisiva per rivisitare i dinamismi originali in cui si è giocata e continua giocarsi, dinanzi alle sfide attuali, la vitalità dell’ordinamento canonico nella sua interezza, fin nelle flessioni che ne connotano il carattere essenzialmente plurale. Si ritiene pertanto che un apprezzamento equilibrato della distinzione tra disciplina latina e discipline orientali possa consentire di mettere a fuoco quei margini di elasticità ancora presenti a soddisfacimento delle esigenze tipiche della prassi orientale ma nient’affatto estranee a quella latina, senza deprimere l’irriducibile specificità di ciascuna tradizione e, al tempo stesso, senza sottovalutarne la profonda comunanza sostanziale. In tale prospettiva, forse non vi è categoria più suggestiva da ripensare che la rationabilitas. Non vi è dubbio che la scelta di non codificare la definizione sostanziale di legge – si pensi a quella divenuta classica di San Tommaso: «lex nihil est aliud quam quaedam ordinatio rationis ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet promulgata» - pur obbedendo a valutazioni contingenti di natura pratica, segni una linea di demarcazione netta rispetto al diritto precodiciale. E’ del pari innegabile che la canonistica latina contemporanea abbia ricevuto integra l’eredità sulla rationabilitas, come dimostrano gli studi anche recenti dedicati alle norme generali o a temi ad esse correlati, e come documentano i manuali che offrono la trattazione organica e sistematica del diritto vigente evidenziando le linee di forza e le peculiarità dell’ordinamento canonico . Ora proprio questo squilibrio – povertà del dato codiciale e solidità dell’impianto dottrinale – merita adeguata ponderazione, in quanto documenta quell’urgenza di senso che attraversa l’intero itinerario della codificazione postconciliare e che culmina nella domanda radicale dei vescovi olandesi emersa durante le ultime battute della revisione del Codice piobenedettino: «quid sibi vult verbum rationabilis?». Un interrogativo di questo calibro rende ancor più vivo l’interesse ad una verifica della effettiva portata di una categoria, profondamente innervata nei gangli vitali dell’ordinamento qual è la rationabilitas, sul versante orientale di quel Corpus Iuris Canonici in cui trova compimento il disegno del legislatore affinché la Chiesa «unico Spiritu congregata quasi duobus pulmonibus Orientis et Occidentis respiret atque uno corde quasi duos ventriculos habente in caritate Christi ardeat». Tale verifica che interessa inevitabilmente tutti i livelli dell’esperienza giuridica, trattando del dinamismo pervasivo di un criterio fondamentale, di per sé refrattario ad essere rinchiuso in pochi o molti canoni di un codice, non può eludere, almeno in prima battuta, quello normativo che disciplina la produzione stessa del diritto. A questo livello basilare si svolgeranno dunque le considerazioni del presente saggio, che percorrono la genesi del titolo De lege, de consuetudine et de actibus administrativis, ove si evidenzia tra l’altro la marcata diversità strutturale del CCEO rispetto ai codici latini.  
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11379/527672
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