In linea generale, il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (breviter, “TFUE”) non attribuisce competenze dirette all’Unione Europea in materia di imposizione diretta, ma soltanto in relazione alle imposte indirette . E’ tuttavia noto che anche le imposte dirette possono ostacolare l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dai Trattati ed il funzionamento del mercato interno favorendo o meno certi tipi di investimenti e certi soggetti in base alle loro caratteristiche. E’ quindi evidente l’esigenza di ridurre in ambito europeo le barriere fiscali anche nel campo dell’imposizione diretta. Questa esigenza, naturalmente, si scontra con l’esistenza di singoli sistemi fiscali indipendenti, con la conseguente necessità di individuare un compromesso tra le ragioni del mercato interno e quelle degli Stati membri. L’armonizzazione fiscale in ambito europeo è peraltro fondata, oltre che sulla disciplina positiva recata da strumenti normativi di diritto euro-unitario derivato (i.e., direttive e regolamenti) , anche sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia (d’ora in avanti anche “CGUE”) che è chiamata a pronunciarsi secondo il meccanismo del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE sulla compatibilità delle disposizioni fiscali nazionali più varie con i principi del diritto euro-unitario contenuti nel Trattato (c.d. diritto euro-unitario primario). A questo riguardo è importante ricordare che le sentenze della Corte di Giustizia vincolano l’interpretazione dei giudici nazionali e che nella sentenza Traghetti del Mediterraneo la Corte di Giustizia ha affermato la responsabilità civile dello Stato membro le cui autorità giudiziarie avevano emesso una decisione in contrasto con il diritto euro-unitario. Il processo di armonizzazione ed integrazione dei sistemi fiscali a livello euro-unitario per mezzo di direttive e regolamenti, quindi, è talvolta descritto come integrazione positiva, in contrapposizione alla c.d. integrazione negativa attuata dalla Corte di Giustizia che appunto “rimuove” gli ostacoli al funzionamento del mercato interno, dichiarando talune disposizioni nazionali incompatibili con il diritto euro-unitario . Ciò posto, la regola del primato del diritto dell’Unione sul diritto interno rinviene le proprie basi giuridiche nei Trattati ed in alcune disposizioni costituzionali, e segnatamente: i) nell’art. 4 par. 3, del TUE, a mente del quale: «In virtù del principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati. […] Gli Stati membri facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione»; ii) nell’art. 11 Cost., secondo il quale: «l’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo»; iii) nell’art. 117, co. 1, Cost., in base al quale: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».

IL PRIMATO DEL DIRITTO EUROPEO NELLA PRASSI AMMINISTRATIVA DELLE AUTORITÀ TRIBUTARIE ITALIANE

corasaniti giuseppe
2019-01-01

Abstract

In linea generale, il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (breviter, “TFUE”) non attribuisce competenze dirette all’Unione Europea in materia di imposizione diretta, ma soltanto in relazione alle imposte indirette . E’ tuttavia noto che anche le imposte dirette possono ostacolare l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dai Trattati ed il funzionamento del mercato interno favorendo o meno certi tipi di investimenti e certi soggetti in base alle loro caratteristiche. E’ quindi evidente l’esigenza di ridurre in ambito europeo le barriere fiscali anche nel campo dell’imposizione diretta. Questa esigenza, naturalmente, si scontra con l’esistenza di singoli sistemi fiscali indipendenti, con la conseguente necessità di individuare un compromesso tra le ragioni del mercato interno e quelle degli Stati membri. L’armonizzazione fiscale in ambito europeo è peraltro fondata, oltre che sulla disciplina positiva recata da strumenti normativi di diritto euro-unitario derivato (i.e., direttive e regolamenti) , anche sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia (d’ora in avanti anche “CGUE”) che è chiamata a pronunciarsi secondo il meccanismo del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE sulla compatibilità delle disposizioni fiscali nazionali più varie con i principi del diritto euro-unitario contenuti nel Trattato (c.d. diritto euro-unitario primario). A questo riguardo è importante ricordare che le sentenze della Corte di Giustizia vincolano l’interpretazione dei giudici nazionali e che nella sentenza Traghetti del Mediterraneo la Corte di Giustizia ha affermato la responsabilità civile dello Stato membro le cui autorità giudiziarie avevano emesso una decisione in contrasto con il diritto euro-unitario. Il processo di armonizzazione ed integrazione dei sistemi fiscali a livello euro-unitario per mezzo di direttive e regolamenti, quindi, è talvolta descritto come integrazione positiva, in contrapposizione alla c.d. integrazione negativa attuata dalla Corte di Giustizia che appunto “rimuove” gli ostacoli al funzionamento del mercato interno, dichiarando talune disposizioni nazionali incompatibili con il diritto euro-unitario . Ciò posto, la regola del primato del diritto dell’Unione sul diritto interno rinviene le proprie basi giuridiche nei Trattati ed in alcune disposizioni costituzionali, e segnatamente: i) nell’art. 4 par. 3, del TUE, a mente del quale: «In virtù del principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati. […] Gli Stati membri facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione»; ii) nell’art. 11 Cost., secondo il quale: «l’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo»; iii) nell’art. 117, co. 1, Cost., in base al quale: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11379/526045
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