L’avvio dell’insegnamento del Diritto industriale, da collocarsi in un periodo cruciale per lo sviluppo economico e produttivo nazionale, mostra chiaramente come le aule universitarie non siano solo luogo fisico di trasmissione della conoscenza, ma altresì offrano (e possano essere studiate come) un fondamentale spazio di intersezione e relazione fra il diritto e il suo sfaccettato contesto. I primi corsi, risalenti alla seconda metà dell’Ottocento, appaiono fungere da contenitore, nonché strumento essenziale per la organizzazione, consolidazione e maturazione di un materiale normativo, giurisprudenziale e dottrinale disorganico e giustapposto, frutto di una precisa realtà socio-economica nazionale (e di influenze sovranazionali) che stimola un dialogo costante tra momento applicativo del diritto e momento didattico. Fra gli ultimi decenni del diciannovesimo secolo e i primi del Novecento, anni di transizione dall’età liberale a quella fascista, nelle università italiane è offerto un contributo fondamentale al percorso di affermazione e riconoscimento scientifico del Diritto industriale. Un contributo che, inizialmente, muovendo dall’esempio accademico francese, si connota per una spiccata eterogeneità di contenuti, ricondotti in via primaria al tema “lavoro”, e si regge sull’insostituibile apporto di avvocati liberi docenti (due nomi su tutti: Moisè Amar, il lungimirante capostipite, a Torino, e Mario Ghiron, l’originale sistematore, a Roma); in un secondo momento, che potremmo dire di riorganizzazione concettuale e tematica, si arricchisce del determinante intervento dei più sensibili professori del diritto commerciale (Mario Rotondi sopra tutti) i quali contribuiscono a conferire più stabilmente confini, contenuti e identità alla materia.

«Una parte così viva e così importante del diritto»: agli albori dell’insegnamento del Diritto industriale nell’Università italiana

Elisabetta fusar poli
2018-01-01

Abstract

L’avvio dell’insegnamento del Diritto industriale, da collocarsi in un periodo cruciale per lo sviluppo economico e produttivo nazionale, mostra chiaramente come le aule universitarie non siano solo luogo fisico di trasmissione della conoscenza, ma altresì offrano (e possano essere studiate come) un fondamentale spazio di intersezione e relazione fra il diritto e il suo sfaccettato contesto. I primi corsi, risalenti alla seconda metà dell’Ottocento, appaiono fungere da contenitore, nonché strumento essenziale per la organizzazione, consolidazione e maturazione di un materiale normativo, giurisprudenziale e dottrinale disorganico e giustapposto, frutto di una precisa realtà socio-economica nazionale (e di influenze sovranazionali) che stimola un dialogo costante tra momento applicativo del diritto e momento didattico. Fra gli ultimi decenni del diciannovesimo secolo e i primi del Novecento, anni di transizione dall’età liberale a quella fascista, nelle università italiane è offerto un contributo fondamentale al percorso di affermazione e riconoscimento scientifico del Diritto industriale. Un contributo che, inizialmente, muovendo dall’esempio accademico francese, si connota per una spiccata eterogeneità di contenuti, ricondotti in via primaria al tema “lavoro”, e si regge sull’insostituibile apporto di avvocati liberi docenti (due nomi su tutti: Moisè Amar, il lungimirante capostipite, a Torino, e Mario Ghiron, l’originale sistematore, a Roma); in un secondo momento, che potremmo dire di riorganizzazione concettuale e tematica, si arricchisce del determinante intervento dei più sensibili professori del diritto commerciale (Mario Rotondi sopra tutti) i quali contribuiscono a conferire più stabilmente confini, contenuti e identità alla materia.
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