Diverse e autorevoli fonti hanno pubblicamente dichiarato che il carcere è un contesto ad alto rischio di radicalizzazione violenta per i detenuti islamici e anche nel nostro Paese si è diffusa la percezione di questo pericolo, certamente più della necessità di prendersi cura dei bisogni dei detenuti stranieri, spesso reclusi in condizioni di particolare trascuratezza, in assenza di specifici percorsi trattamentali e di una libera e dignitosa possibilità di professare la propria fede. Gli Autori hanno somministrato un questionario strutturato a un campione di detenuti stranieri di fede islamica, con il quale hanno potuto indagare alcune caratteristiche personali e dei loro percorsi migratori, le difficoltà e le opportunità di integrazione nel nostro Paese e il loro punto di vista sull’esistenza concreta del rischio di radicalizzazione in carcere. La ricerca si è svolta in tre aree geografiche del nostro Paese, Nord Centro e Sud coinvolgendo diversi istituti penitenziari connotati da una consistente presenza di detenuti di fede islamica. Emerge un quadro descrittivo del contesto penitenziario nel quale il bisogno di professare adeguatamente la propria fede è uno, anche se spesso non il principale, dei bisogni espressi dal campione e dal quale si può intuire come il rischio di adesione al richiamo di una guida carismatica sia quasi sempre facilitato dall’assenza di altri validi riferimenti, interni ed esterni al carcere. Gli Autori inoltre propongono un modello adottato in alcuni istituti italiani nei quali la guida spirituale alla professione di fede islamica viene affidata a soggetti conosciuti e affidabili, formatisi all’interno di percorsi educativi condivisi con le comunità islamiche del territorio.

Il radicalismo in carcere: una ricerca empirica

luisa ravagnani
;
carlo alberto romano
2017-01-01

Abstract

Diverse e autorevoli fonti hanno pubblicamente dichiarato che il carcere è un contesto ad alto rischio di radicalizzazione violenta per i detenuti islamici e anche nel nostro Paese si è diffusa la percezione di questo pericolo, certamente più della necessità di prendersi cura dei bisogni dei detenuti stranieri, spesso reclusi in condizioni di particolare trascuratezza, in assenza di specifici percorsi trattamentali e di una libera e dignitosa possibilità di professare la propria fede. Gli Autori hanno somministrato un questionario strutturato a un campione di detenuti stranieri di fede islamica, con il quale hanno potuto indagare alcune caratteristiche personali e dei loro percorsi migratori, le difficoltà e le opportunità di integrazione nel nostro Paese e il loro punto di vista sull’esistenza concreta del rischio di radicalizzazione in carcere. La ricerca si è svolta in tre aree geografiche del nostro Paese, Nord Centro e Sud coinvolgendo diversi istituti penitenziari connotati da una consistente presenza di detenuti di fede islamica. Emerge un quadro descrittivo del contesto penitenziario nel quale il bisogno di professare adeguatamente la propria fede è uno, anche se spesso non il principale, dei bisogni espressi dal campione e dal quale si può intuire come il rischio di adesione al richiamo di una guida carismatica sia quasi sempre facilitato dall’assenza di altri validi riferimenti, interni ed esterni al carcere. Gli Autori inoltre propongono un modello adottato in alcuni istituti italiani nei quali la guida spirituale alla professione di fede islamica viene affidata a soggetti conosciuti e affidabili, formatisi all’interno di percorsi educativi condivisi con le comunità islamiche del territorio.
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