La recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 26 luglio 2017, resa nel caso Jafari (C-646/16), torna sui criteri per determinare lo Stato competente a trattare una domanda di protezione internazionale, contenuti nel c.d. regolamento “Dublino III”. Ancora una volta la Corte ne sancisce l’inderogabilità, anche in presenza di un ingente afflusso di richiedenti asilo. Lo scritto mira ad evidenziare come le conclusioni alle quali perviene la Corte suscitino alcune perplessità, se si pensa che, da un lato, la sentenza viene resa in un momento in cui è in atto un tentativo di riforma di quel “sistema Dublino” che, attribuendo la competenza a trattare la domanda di protezione internazionale allo Stato di primo ingresso finisce per accollare agli Stati posti ai confini, naturalmente più esposti alle ondate migratorie, il peso maggiore in termine di gestione dei flussi; dall’altro, essa pare non tenere in debita considerazione l’eccezionalità della situazione alla base del ricorso in esame, caratterizzata da un afflusso ingente di richiedenti asilo a cavallo del 2015 e il 2016 sulla c.d. “rotta balcanica”, a causa della quale gli Stati di primo ingresso, in assenza di parallele misure adottate dall’Unione europea, hanno dovuto utilizzare l’espediente degli “ingressi tollerati” per alleviare la pressione migratoria lungo i propri confini.

Il “Sistema Dublino” non è derogabile: note a margine della sentenza della Corte di giustizia del 26 luglio 2017, causa C-646/2016, Jafari

DI STASIO, Chiara
2017-01-01

Abstract

La recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 26 luglio 2017, resa nel caso Jafari (C-646/16), torna sui criteri per determinare lo Stato competente a trattare una domanda di protezione internazionale, contenuti nel c.d. regolamento “Dublino III”. Ancora una volta la Corte ne sancisce l’inderogabilità, anche in presenza di un ingente afflusso di richiedenti asilo. Lo scritto mira ad evidenziare come le conclusioni alle quali perviene la Corte suscitino alcune perplessità, se si pensa che, da un lato, la sentenza viene resa in un momento in cui è in atto un tentativo di riforma di quel “sistema Dublino” che, attribuendo la competenza a trattare la domanda di protezione internazionale allo Stato di primo ingresso finisce per accollare agli Stati posti ai confini, naturalmente più esposti alle ondate migratorie, il peso maggiore in termine di gestione dei flussi; dall’altro, essa pare non tenere in debita considerazione l’eccezionalità della situazione alla base del ricorso in esame, caratterizzata da un afflusso ingente di richiedenti asilo a cavallo del 2015 e il 2016 sulla c.d. “rotta balcanica”, a causa della quale gli Stati di primo ingresso, in assenza di parallele misure adottate dall’Unione europea, hanno dovuto utilizzare l’espediente degli “ingressi tollerati” per alleviare la pressione migratoria lungo i propri confini.
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