Gli esperimenti esposti nel saggio propongono metodi alternativi per la definizione di spazialità impermanenti e in costante mutamento. Sperimentazioni che manifestano una tensione, del progetto contemporaneo, alla predisposizione di architetture ‘adattive’ continuamente sollecitate da richieste variabili e flessibili. Nella storia dell’architettura le correnti utopiche europee degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso hanno posto le basi per ricerche disciplinari sul tema dell’adattabilità costruttiva e funzionale degli edifici. Fra tutti gli straordinari personaggi10 che hanno animato il dibattito architettonico utopico del XX secolo sembra utile ricordare il pensiero di Archigram. Per il gruppo anglosassone il principio fondamentale sul quale fondare i manufatti edilizi “deve essere rivisto alla luce del progresso tecnologico e alla possibilità di aumentare la mobilità personale”, facendo emergere il “rifiuto alla permanenza.” Le elaborazioni progettuali dell’epoca, per lo più rimaste su carta, manifestano una tensione al rinnovamento della disciplina: le sovversive proposte muovono verso una rivoluzionaria concezione architettonica che troverà nelle geometrie instabili, deformabili e adattabili delle forme naturali una nuova logica di conformazione e di aggregazione delle parti. Nella contemporaneità è facile ritrovare architetture che si riferiscono alle correnti utopiche del secolo scorso; sembra quasi che nelle viscere metropolitane stia nascendo qualcosa di nuovo frutto di manipolazioni, concettuali e fisiche, dell’esistente capaci di rigenerare spazi urbani depressi o vaste zone industriali dismesse, portando l’architettura a scoprire una nuova espressività, una nuova scrittura che – come ci suggerisce Franco Purini – sia il risultato di una molteplicità di processi formali di tipo 'infettivo'.

Manipulations anti-table rase. Stratégies architecturales adaptatives

ANGI, Barbara
2014-01-01

Abstract

Gli esperimenti esposti nel saggio propongono metodi alternativi per la definizione di spazialità impermanenti e in costante mutamento. Sperimentazioni che manifestano una tensione, del progetto contemporaneo, alla predisposizione di architetture ‘adattive’ continuamente sollecitate da richieste variabili e flessibili. Nella storia dell’architettura le correnti utopiche europee degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso hanno posto le basi per ricerche disciplinari sul tema dell’adattabilità costruttiva e funzionale degli edifici. Fra tutti gli straordinari personaggi10 che hanno animato il dibattito architettonico utopico del XX secolo sembra utile ricordare il pensiero di Archigram. Per il gruppo anglosassone il principio fondamentale sul quale fondare i manufatti edilizi “deve essere rivisto alla luce del progresso tecnologico e alla possibilità di aumentare la mobilità personale”, facendo emergere il “rifiuto alla permanenza.” Le elaborazioni progettuali dell’epoca, per lo più rimaste su carta, manifestano una tensione al rinnovamento della disciplina: le sovversive proposte muovono verso una rivoluzionaria concezione architettonica che troverà nelle geometrie instabili, deformabili e adattabili delle forme naturali una nuova logica di conformazione e di aggregazione delle parti. Nella contemporaneità è facile ritrovare architetture che si riferiscono alle correnti utopiche del secolo scorso; sembra quasi che nelle viscere metropolitane stia nascendo qualcosa di nuovo frutto di manipolazioni, concettuali e fisiche, dell’esistente capaci di rigenerare spazi urbani depressi o vaste zone industriali dismesse, portando l’architettura a scoprire una nuova espressività, una nuova scrittura che – come ci suggerisce Franco Purini – sia il risultato di una molteplicità di processi formali di tipo 'infettivo'.
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