L’art. 117, c. 3, Cost. – com’è noto – contempla il “governo del territorio” tra le competenze legislative concorrenti Stato-Regioni. Stante il carattere omnicomprensivo della locuzione utilizzata dal Legislatore costituzionale, non è facile definirne i contorni; in particolare, quali discipline, interventi ed attività sono in esso inclusi e quali – all’opposto – ne rimangono esclusi. La difficoltà emerge già dalla lettera dell’art. 117 Cost., nel quale sono elencate altre materie che ictu oculi si intersecano con quella del “governo del territorio”. Ciò vale per la competenza esclusiva statale della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”; ciò vale per le competenze concorrenti in materia di “porti e aeroporti civili”, “grandi reti di trasporto”, “ordinamento della comunicazione”, “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”; ciò vale per talune competenze ora considerate residuali, quali la “caccia”, le “cave”, “l’agricoltura”, i “lavori pubblici”. Mentre l’intersezione con altre materie di competenza concorrente non desta problemi quanto alla necessità di definire i reciproci ambiti oggettivi, poiché tutte accomunate dal limite dei “principi fondamentali” dettati dalla legge statale, identicamente non può concludersi per l’intersezione con le competenze esclusive statali o regionali. Le prime, infatti, rendono ammissibili penetrazioni della legislazione nazionale ben oltre i “principi fondamentali”; le seconde – all’opposto – consentono alla legislazione regionale di svincolarsi da quella statale. Si comprende – quindi – l’importanza della determinazione del perimetro di una materia (se tale può definirsi), quella del “governo del territorio”, attorno alla quale gravitano “materie” (o “materie non materie”), rientranti in competenze legislative di diversa natura. Non solo. Necessita di definizione un ulteriore ambito perimetrale, quello relativo ai “principi fondamentali”. Ad entrambi gli scopi fanno da supporto le pronunce della Corte costituzionale. La Corte costituzionale, a differenza di quanto fatto per altre locuzioni parimenti generiche e funzionalmente orientate (“tutela dell’ambiente …”, “livelli essenziali delle prestazioni …”), non si è (finora) soffermata sulla qualificazione “in astratto” della (natura della) competenza, preferendo procedere al suo “ritaglio” in concreto, sulla base delle fattispecie ad essa sottoposte. Questo procedere case by case, consente – comunque – di estrapolare in via induttiva gli elementi essenziali per ricostruire, da un lato, l’ambito (oggettivo o funzionale che sia) del “governo del territorio”; dall’altro lato, il limite entro il quale sono legittimati a spingersi i principi fondamentali che lo “governano” e dai quali le Regioni non possono prescindere. Dalla giurisprudenza costituzionale esaminata emerge come la Corte abbia ricostruito la materia del “governo del territorio” sia in via positiva (indicando ambiti che vi rientrano) che in via negativa (ritagliandone gli ambiti che rimarrebbero fuori dal suo confine). Quanto ai “principi fondamentali” che governano la materia, dalla giurisprudenza costituzionale emerge come siano suscettibili di estendersi sino al dettaglio in due ipotesi, quando il “governo del territorio” si interseca con “materie” trasversali (quali la tutela dell’ambiente) e quando si verificano i presupposti per l’operatività del principio di sussidiarietà. Ne deriva che la Regione si potrà trovare a dover sopportare – in nome di istanze ed interessi che ne trascendono i confini – incisivi interventi che localizzano impianti oltre che opere pubbliche sul proprio territorio, non solo senza poterli disciplinare legislativamente, ma – nell’ambito delle funzioni amministrative – vedendo affidata la tutela della propria posizione (peraltro talora superabile in caso di diniego) all’istituto dell’intesa, nel corso di un procedimento amministrativo che rimane – tuttavia – radicato a livello centrale (basti pensare al procedimento di individuazione e localizzazione delle infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici di cui alla c.d. legge obiettivo; nonché di individuazione e “validazione” del sito per il deposito delle scorie radioattive). Ma il “prezzo” pagato dalla Regione, destinata a subire il ridimensionamento e la dequalificazione (da legislativa ad amministrativa) in un ambito di competenza che – con maggior immediatezza – è manifestazione della autonomia dell’ente, quale il “governo” degli usi ammissibili sul proprio territorio, non può certo considerarsi (quantomeno in linea di principio) irragionevole. Esso è espressione di un “bilanciamento”, di un “punto di equilibrio”: evitare che le istanze autonomistiche si traducano in un pregiudizio al superiore “interesse nazionale”. E’ pur sempre – in definitiva – questo il “titolo” sotteso agli interventi statali incidenti sull’assetto territoriale delle singole regioni, siano essi “trasversali”, in quanto legittimati da esigenze unitarie di tutela dell’ambiente, siano essi “verticali”, per il principio ascensoriale di sussidiarietà. Del resto, che istanze autonomiste e centraliste fossero (in primis) destinate a “scontrarsi” proprio in materia di “governo del territorio” era insito nell’oggetto di tale competenza: il territorio, appunto, sul quale operano diversi livelli di “governo” (quindi di interessi). Non a caso, il legislatore della revisione costituzionale lo ha inserito tra le competenze concorrenti. Non a caso, la Corte ha ammesso il declassamento dell’intervento regionale (dal piano legislativo) al rango “amministrativo” dell’intesa. Ne scaturisce che la materia del “governo del territorio” non coincide con la competenza legislativa regionale, potendo difettarne l’esercizio in nome di superiori istanze unitarie. Esse possono invadere il campo del “governo del territorio” dall’esterno, attraverso il richiamo ad un distinto titolo di competenza (la tutela dell’ambiente); oppure sorgere al suo interno, attraverso il principio di sussidiarietà, adeguatezza, proporzionalità. Il ruolo della Regione risulta maggiormente sacrificato nella prima piuttosto che nella seconda ipotesi. Infatti, come statuito dalla Corte, lo spostamento delle competenze legislative (e amministrative) sulla base del principio di sussidiarietà è destinato a subire l’intervento partecipativo regionale: la leale collaborazione offre – quindi – una garanzia al rispetto delle reciproche sfere di competenza. Non identicamente sembra potersi concludere nell’ipotesi in cui la materia del “governo del territorio” sia tagliata “trasversalmente” da pretese esigenze di tutela (uniforme) dell’ambiente. Vero è che in questo ambito sussiste un titolo di competenza esclusiva statale, altrettanto vero è che la natura funzionale dello stesso si presta ad incidere su una materia di competenza concorrente regionale (il governo del territorio) e che – come ammesso dalla Corte – non esclude che le regioni (senza violare le esigenze di uniformità) possano disciplinarlo (nell’esercizio delle loro competenze). Proprio tale “intricata intersecazione” con un ambito di competenza (il governo del territorio) dalle notevoli potenzialità espansive e nel quale (particolarmente) si avverte l’esigenza di rispettare la “autodeterminazione” regionale, fa sorgere un “bisogno” garantistico che solo il principio di leale collaborazione potrebbe tutelare. Perché – allora – non farlo operare al di là delle ipotesi in cui l’intervento statale è sorretto dalla sussidiarietà, facendolo penetrare in quelle in cui lo Stato interviene esercitando una competenza trasversale? In questo modo, la “ragionevolezza” del “prezzo” pagato dalle Regioni, troverebbe un riscontro (ed una maggiore tutela) procedimentale, evitando facili (ed autoreferenziali) assunzioni di “esigenze di tutela uniforme”.

La Corte “compone” e “riparte” la competenza relativa al “governo del territorio”

MACCABIANI, Nadia
2005-01-01

Abstract

L’art. 117, c. 3, Cost. – com’è noto – contempla il “governo del territorio” tra le competenze legislative concorrenti Stato-Regioni. Stante il carattere omnicomprensivo della locuzione utilizzata dal Legislatore costituzionale, non è facile definirne i contorni; in particolare, quali discipline, interventi ed attività sono in esso inclusi e quali – all’opposto – ne rimangono esclusi. La difficoltà emerge già dalla lettera dell’art. 117 Cost., nel quale sono elencate altre materie che ictu oculi si intersecano con quella del “governo del territorio”. Ciò vale per la competenza esclusiva statale della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”; ciò vale per le competenze concorrenti in materia di “porti e aeroporti civili”, “grandi reti di trasporto”, “ordinamento della comunicazione”, “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”; ciò vale per talune competenze ora considerate residuali, quali la “caccia”, le “cave”, “l’agricoltura”, i “lavori pubblici”. Mentre l’intersezione con altre materie di competenza concorrente non desta problemi quanto alla necessità di definire i reciproci ambiti oggettivi, poiché tutte accomunate dal limite dei “principi fondamentali” dettati dalla legge statale, identicamente non può concludersi per l’intersezione con le competenze esclusive statali o regionali. Le prime, infatti, rendono ammissibili penetrazioni della legislazione nazionale ben oltre i “principi fondamentali”; le seconde – all’opposto – consentono alla legislazione regionale di svincolarsi da quella statale. Si comprende – quindi – l’importanza della determinazione del perimetro di una materia (se tale può definirsi), quella del “governo del territorio”, attorno alla quale gravitano “materie” (o “materie non materie”), rientranti in competenze legislative di diversa natura. Non solo. Necessita di definizione un ulteriore ambito perimetrale, quello relativo ai “principi fondamentali”. Ad entrambi gli scopi fanno da supporto le pronunce della Corte costituzionale. La Corte costituzionale, a differenza di quanto fatto per altre locuzioni parimenti generiche e funzionalmente orientate (“tutela dell’ambiente …”, “livelli essenziali delle prestazioni …”), non si è (finora) soffermata sulla qualificazione “in astratto” della (natura della) competenza, preferendo procedere al suo “ritaglio” in concreto, sulla base delle fattispecie ad essa sottoposte. Questo procedere case by case, consente – comunque – di estrapolare in via induttiva gli elementi essenziali per ricostruire, da un lato, l’ambito (oggettivo o funzionale che sia) del “governo del territorio”; dall’altro lato, il limite entro il quale sono legittimati a spingersi i principi fondamentali che lo “governano” e dai quali le Regioni non possono prescindere. Dalla giurisprudenza costituzionale esaminata emerge come la Corte abbia ricostruito la materia del “governo del territorio” sia in via positiva (indicando ambiti che vi rientrano) che in via negativa (ritagliandone gli ambiti che rimarrebbero fuori dal suo confine). Quanto ai “principi fondamentali” che governano la materia, dalla giurisprudenza costituzionale emerge come siano suscettibili di estendersi sino al dettaglio in due ipotesi, quando il “governo del territorio” si interseca con “materie” trasversali (quali la tutela dell’ambiente) e quando si verificano i presupposti per l’operatività del principio di sussidiarietà. Ne deriva che la Regione si potrà trovare a dover sopportare – in nome di istanze ed interessi che ne trascendono i confini – incisivi interventi che localizzano impianti oltre che opere pubbliche sul proprio territorio, non solo senza poterli disciplinare legislativamente, ma – nell’ambito delle funzioni amministrative – vedendo affidata la tutela della propria posizione (peraltro talora superabile in caso di diniego) all’istituto dell’intesa, nel corso di un procedimento amministrativo che rimane – tuttavia – radicato a livello centrale (basti pensare al procedimento di individuazione e localizzazione delle infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici di cui alla c.d. legge obiettivo; nonché di individuazione e “validazione” del sito per il deposito delle scorie radioattive). Ma il “prezzo” pagato dalla Regione, destinata a subire il ridimensionamento e la dequalificazione (da legislativa ad amministrativa) in un ambito di competenza che – con maggior immediatezza – è manifestazione della autonomia dell’ente, quale il “governo” degli usi ammissibili sul proprio territorio, non può certo considerarsi (quantomeno in linea di principio) irragionevole. Esso è espressione di un “bilanciamento”, di un “punto di equilibrio”: evitare che le istanze autonomistiche si traducano in un pregiudizio al superiore “interesse nazionale”. E’ pur sempre – in definitiva – questo il “titolo” sotteso agli interventi statali incidenti sull’assetto territoriale delle singole regioni, siano essi “trasversali”, in quanto legittimati da esigenze unitarie di tutela dell’ambiente, siano essi “verticali”, per il principio ascensoriale di sussidiarietà. Del resto, che istanze autonomiste e centraliste fossero (in primis) destinate a “scontrarsi” proprio in materia di “governo del territorio” era insito nell’oggetto di tale competenza: il territorio, appunto, sul quale operano diversi livelli di “governo” (quindi di interessi). Non a caso, il legislatore della revisione costituzionale lo ha inserito tra le competenze concorrenti. Non a caso, la Corte ha ammesso il declassamento dell’intervento regionale (dal piano legislativo) al rango “amministrativo” dell’intesa. Ne scaturisce che la materia del “governo del territorio” non coincide con la competenza legislativa regionale, potendo difettarne l’esercizio in nome di superiori istanze unitarie. Esse possono invadere il campo del “governo del territorio” dall’esterno, attraverso il richiamo ad un distinto titolo di competenza (la tutela dell’ambiente); oppure sorgere al suo interno, attraverso il principio di sussidiarietà, adeguatezza, proporzionalità. Il ruolo della Regione risulta maggiormente sacrificato nella prima piuttosto che nella seconda ipotesi. Infatti, come statuito dalla Corte, lo spostamento delle competenze legislative (e amministrative) sulla base del principio di sussidiarietà è destinato a subire l’intervento partecipativo regionale: la leale collaborazione offre – quindi – una garanzia al rispetto delle reciproche sfere di competenza. Non identicamente sembra potersi concludere nell’ipotesi in cui la materia del “governo del territorio” sia tagliata “trasversalmente” da pretese esigenze di tutela (uniforme) dell’ambiente. Vero è che in questo ambito sussiste un titolo di competenza esclusiva statale, altrettanto vero è che la natura funzionale dello stesso si presta ad incidere su una materia di competenza concorrente regionale (il governo del territorio) e che – come ammesso dalla Corte – non esclude che le regioni (senza violare le esigenze di uniformità) possano disciplinarlo (nell’esercizio delle loro competenze). Proprio tale “intricata intersecazione” con un ambito di competenza (il governo del territorio) dalle notevoli potenzialità espansive e nel quale (particolarmente) si avverte l’esigenza di rispettare la “autodeterminazione” regionale, fa sorgere un “bisogno” garantistico che solo il principio di leale collaborazione potrebbe tutelare. Perché – allora – non farlo operare al di là delle ipotesi in cui l’intervento statale è sorretto dalla sussidiarietà, facendolo penetrare in quelle in cui lo Stato interviene esercitando una competenza trasversale? In questo modo, la “ragionevolezza” del “prezzo” pagato dalle Regioni, troverebbe un riscontro (ed una maggiore tutela) procedimentale, evitando facili (ed autoreferenziali) assunzioni di “esigenze di tutela uniforme”.
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