I bifosfonati sono una classe di farmaci largamente raccomandata nella terapia di alcune neoplasie in cui compaia anche un’ipercalcemia severa, nella cura del mieloma multiplo e nella riduzione del rischio di osteoporosi di varia origine, oltre che nel trattamento di alcune lesioni osteolitiche secondarie a carcinomi della prostata o della mammella. Il loro meccanismo d’azione prevede l’inibizione del riassorbimento del tessuto osseo da parte degli osteoclasti con un aumento del volume osseo sia corticale, sia trabecolare. La metabolizzazione di questi farmaci è quasi nulla, essi pertanto permangono nell’osso per un periodo di tempo lunghissimo. Tra i loro effetti collaterali quali diarrea, nausea, vomito, dolori addominali ed infiammazione e possibile erosione della mucosa esofagea, se ne conoscono anche di pertinenza odontoiatrica. Il più temuto è sicuramente l’osteonecrosi mandibolare (incidenza dall’0.8% al 12%) soprattutto in seguito a terapia endovenosa e in associazione spesso con traumatismi quali interventi chirurgici o estrattivi. Esistono, seppur in forme più lievi e tollerabili, anche degli effetti a livello ortodontico. Il trattamento ortodontico in pazienti trattati con bifosfonati risulta più lungo in quanto vi è un progressivo rallentamento nel movimento degli elementi dentari che, tuttavia, risultano maggiormente mobili. Inoltre è stato evidenziato che denti sottoposti a trattamento ortodontico in questi pazienti risultano successivamente più difficili da spostare in un eventuale ritrattamento. Radiograficamente si osservano aree di sclerosi intorno alle radici degli elementi dentari, il legamento parodontale può apparire oscurato o si può presentare un allargamento dello spazio dello stesso (ciò può dipendere dalla concomitanza di fattori traumatici, batterici o dalle normali variazioni dell’anatomia ossea). Probabilmente questa è anche la chiave con cui approcciare pazienti che assumono i bifosfonati, chiedendo essenzialmente un intervento del curante con una modulazione corretta della terapia o addirittura uno stop di questa, mesi prima di iniziare procedure orotodontiche o di chirurgia orale. Si è appreso infatti che uno stop nella terapia minimizza tutti quegli effetti indesiderati a livello ortodontico ed è riportato che un trattamento in tali condizioni può essere assimilato al range di trattamenti normali in soggetti sani. E’ però necessario che l’ortodontista abbia ben chiare le possibilità di insuccessi quando tratta un paziente con tali caratteristiche e sia molto attento a rilevare ogni segno. Ciò è sicuramente utile nel trattamento ortodontico e nella comunicazione con gli altri specialisti coinvolti nel management dei pazienti in cura con bifosfonati.

Trattamento ortodontico in pazienti osteoporotici curati con bifosfonati

DALESSANDRI, Domenico;LAFFRANCHI, Laura;FONTANA, Paola;VISCONTI, Luca
2010-01-01

Abstract

I bifosfonati sono una classe di farmaci largamente raccomandata nella terapia di alcune neoplasie in cui compaia anche un’ipercalcemia severa, nella cura del mieloma multiplo e nella riduzione del rischio di osteoporosi di varia origine, oltre che nel trattamento di alcune lesioni osteolitiche secondarie a carcinomi della prostata o della mammella. Il loro meccanismo d’azione prevede l’inibizione del riassorbimento del tessuto osseo da parte degli osteoclasti con un aumento del volume osseo sia corticale, sia trabecolare. La metabolizzazione di questi farmaci è quasi nulla, essi pertanto permangono nell’osso per un periodo di tempo lunghissimo. Tra i loro effetti collaterali quali diarrea, nausea, vomito, dolori addominali ed infiammazione e possibile erosione della mucosa esofagea, se ne conoscono anche di pertinenza odontoiatrica. Il più temuto è sicuramente l’osteonecrosi mandibolare (incidenza dall’0.8% al 12%) soprattutto in seguito a terapia endovenosa e in associazione spesso con traumatismi quali interventi chirurgici o estrattivi. Esistono, seppur in forme più lievi e tollerabili, anche degli effetti a livello ortodontico. Il trattamento ortodontico in pazienti trattati con bifosfonati risulta più lungo in quanto vi è un progressivo rallentamento nel movimento degli elementi dentari che, tuttavia, risultano maggiormente mobili. Inoltre è stato evidenziato che denti sottoposti a trattamento ortodontico in questi pazienti risultano successivamente più difficili da spostare in un eventuale ritrattamento. Radiograficamente si osservano aree di sclerosi intorno alle radici degli elementi dentari, il legamento parodontale può apparire oscurato o si può presentare un allargamento dello spazio dello stesso (ciò può dipendere dalla concomitanza di fattori traumatici, batterici o dalle normali variazioni dell’anatomia ossea). Probabilmente questa è anche la chiave con cui approcciare pazienti che assumono i bifosfonati, chiedendo essenzialmente un intervento del curante con una modulazione corretta della terapia o addirittura uno stop di questa, mesi prima di iniziare procedure orotodontiche o di chirurgia orale. Si è appreso infatti che uno stop nella terapia minimizza tutti quegli effetti indesiderati a livello ortodontico ed è riportato che un trattamento in tali condizioni può essere assimilato al range di trattamenti normali in soggetti sani. E’ però necessario che l’ortodontista abbia ben chiare le possibilità di insuccessi quando tratta un paziente con tali caratteristiche e sia molto attento a rilevare ogni segno. Ciò è sicuramente utile nel trattamento ortodontico e nella comunicazione con gli altri specialisti coinvolti nel management dei pazienti in cura con bifosfonati.
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