L’articolo analizza la giurisprudenza della Corte costituzionale relativa agli atti assunti dal sistema delle Conferenze per provare a chiarire quale efficacia giuridica, in forza del principio di leale collaborazione, sia stata ad essi riconosciuta. Si è distinto, in particolare, il piano legislativo da quello regolamentare-amministrativo e si sono evidenziate le differenti ricadute ordinamentali che l’attività delle Conferenze produce entro la sfera statale o regionale. Ne è emerso un quadro composito che svela, a seconda dell’ambito indagato, il diverso trattamento riservato dal giudice costituzionale alle fonti “pattizie” senza perciò poter trarre conclusioni unitarie per i due livelli di governo. In particolare, il raccordo organizzativo che ha sede nelle Conferenze a contatto con la funzione legislativa statale ha rivelato il suo limite, in quanto si nega che sia giustiziabile il coinvolgimento regionale nella formazione delle leggi statali di interesse anche regionale. Sul fronte regionale, viceversa, gli atti delle Conferenze vincolano non soltanto l’attività amministrativa ma anche, e in primo luogo, l’attività legislativa spettante ai Consigli. Questa analisi porta a ridimensionare la tradizionale lettura del principio di leale collaborazione che si ritiene operi prevalentemente in favore delle Regioni: se è vero che, mediante i raccordi intergovernativi, le Regioni contribuiscono all’assunzione di decisioni che altrimenti sarebbero rimesse all’esclusiva volontà statale, ciò però spesso accade al prezzo di trasformare (e di fatto declassare) segmenti di competenza legislativa regionale in forme di compartecipazione all’attività esecutiva dello Stato delle quali la stessa legge regionale dovrà poi tener conto.
Dal raccordo politico al vincolo giuridico: l'attività della Conferenza Stato-Regioni secondo il giudice costituzionale
CARMINATI, Arianna
2009-01-01
Abstract
L’articolo analizza la giurisprudenza della Corte costituzionale relativa agli atti assunti dal sistema delle Conferenze per provare a chiarire quale efficacia giuridica, in forza del principio di leale collaborazione, sia stata ad essi riconosciuta. Si è distinto, in particolare, il piano legislativo da quello regolamentare-amministrativo e si sono evidenziate le differenti ricadute ordinamentali che l’attività delle Conferenze produce entro la sfera statale o regionale. Ne è emerso un quadro composito che svela, a seconda dell’ambito indagato, il diverso trattamento riservato dal giudice costituzionale alle fonti “pattizie” senza perciò poter trarre conclusioni unitarie per i due livelli di governo. In particolare, il raccordo organizzativo che ha sede nelle Conferenze a contatto con la funzione legislativa statale ha rivelato il suo limite, in quanto si nega che sia giustiziabile il coinvolgimento regionale nella formazione delle leggi statali di interesse anche regionale. Sul fronte regionale, viceversa, gli atti delle Conferenze vincolano non soltanto l’attività amministrativa ma anche, e in primo luogo, l’attività legislativa spettante ai Consigli. Questa analisi porta a ridimensionare la tradizionale lettura del principio di leale collaborazione che si ritiene operi prevalentemente in favore delle Regioni: se è vero che, mediante i raccordi intergovernativi, le Regioni contribuiscono all’assunzione di decisioni che altrimenti sarebbero rimesse all’esclusiva volontà statale, ciò però spesso accade al prezzo di trasformare (e di fatto declassare) segmenti di competenza legislativa regionale in forme di compartecipazione all’attività esecutiva dello Stato delle quali la stessa legge regionale dovrà poi tener conto.File | Dimensione | Formato | |
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