Il trattamento ortodontico di un paziente parodontopatico può essere effettuato con tutta tranquillità solamente quando tale patologia non si trova più in fase attiva. Qualora, infatti, si decidesse di applicare delle forze ortodontiche a denti il cui parodonto si trovi in uno stato di infiammazione attiva, alto sarebbe il rischio di ottenere un riassorbimento alterato ed incontrollato dell’osso alveolare attraverso cui questi denti vengono mossi, con il conseguente instaurarsi di difetti ossei verticali o orizzontali o l’aggravarsi di difetti già pre-esistenti. Perciò un paziente parodontopatico candidato ad un trattamento ortodontico deve essere innanzi tutto inserito in un protocollo di igiene orale professionale e di mantenimento domiciliare che abbia come scopo la rimozione dei depositi di placca e tartaro, la riduzione dei livelli di infiammazione gengivale e la guarigione delle tasche attive. In seguito ad una rivalutazione a distanza, qualora il paziente abbia raggiunto una manualità ed un’abilità tale da consentirgli il mantenimento quotidiano di un buon livello di igiene orale, è possibile iniziare un trattamento ortodontico la cui biomeccanica dovrà tenere conto dei bracci di forza spesso alterati che sono presenti a causa del riassorbimento osseo che permane come exitus della malattia parodontale, con conseguente alterazione dei rapporti dimensionali tra corona clinica e radice del dente e quindi con uno spostamento verticale del baricentro o centro di resistenza dentale a cui le forze ortodontiche devono essere applicate. Questo tipo di approccio, stante la collaborazione attiva del paziente quale conditio sine qua non, associato alla eventuale terapia parodontale chirurgica, è in grado di garantire la guarigione nella quasi totalità dei casi trattati. In una piccola percentuale di pazienti però tutto ciò non è sufficiente e perciò questo tipo di parodontopatia viene classificata come parodontopatia refrattaria. Da ciò deriva un’integrazione del protocollo meccanico-chirurgico con un approccio di tipo chimico che si avvale di diverse combinazioni di antisettici locali ed antibiotici locali o sistemici. Tra i protocolli di trattamento che si avvalgono di antibiotici assunti per via sistemica è stato di recente proposto l’utilizzo per periodi di tempo abbastanza lunghi (cicli di tre mesi ripetibili fino ad un massimo di tre volte consecutivamente) di doxiciclina iclato a basse dosi (20 mg, 2 volte al giorno). Tali dosi permettono alla doxiciclina di esplicare la sua attività inibitrice nei confronti delle collagenasi e delle metalloproteinasi della matrice coinvolte nei meccanismi che portano al riassorbimento dell’osso alveolare che avviene non solo durante la fase attiva della malattia parodontale, ma anche durante il movimento di un dente a cui sono applicate forze ortodontiche. Lo scopo del presente lavoro è di valutare se l’assunzione, da parte di un paziente con esiti di malattia parodontale, per un periodo di tempo di sei mesi di 20 mg di doxiciclina iclato due volte al giorno, possa modificare i meccanismi di rimodellamento dell’osso alveolare ad un livello tale da influenzare in modo clinicamente rilevante la resistenza opposta al movimento ortodontico dei singoli denti.

Effetti dell’assunzione sistemica di doxiciclina iclato sul movimento ortodontico

FONTANA, Paola;VISCONTI, Luca;DALESSANDRI, Domenico
2008-01-01

Abstract

Il trattamento ortodontico di un paziente parodontopatico può essere effettuato con tutta tranquillità solamente quando tale patologia non si trova più in fase attiva. Qualora, infatti, si decidesse di applicare delle forze ortodontiche a denti il cui parodonto si trovi in uno stato di infiammazione attiva, alto sarebbe il rischio di ottenere un riassorbimento alterato ed incontrollato dell’osso alveolare attraverso cui questi denti vengono mossi, con il conseguente instaurarsi di difetti ossei verticali o orizzontali o l’aggravarsi di difetti già pre-esistenti. Perciò un paziente parodontopatico candidato ad un trattamento ortodontico deve essere innanzi tutto inserito in un protocollo di igiene orale professionale e di mantenimento domiciliare che abbia come scopo la rimozione dei depositi di placca e tartaro, la riduzione dei livelli di infiammazione gengivale e la guarigione delle tasche attive. In seguito ad una rivalutazione a distanza, qualora il paziente abbia raggiunto una manualità ed un’abilità tale da consentirgli il mantenimento quotidiano di un buon livello di igiene orale, è possibile iniziare un trattamento ortodontico la cui biomeccanica dovrà tenere conto dei bracci di forza spesso alterati che sono presenti a causa del riassorbimento osseo che permane come exitus della malattia parodontale, con conseguente alterazione dei rapporti dimensionali tra corona clinica e radice del dente e quindi con uno spostamento verticale del baricentro o centro di resistenza dentale a cui le forze ortodontiche devono essere applicate. Questo tipo di approccio, stante la collaborazione attiva del paziente quale conditio sine qua non, associato alla eventuale terapia parodontale chirurgica, è in grado di garantire la guarigione nella quasi totalità dei casi trattati. In una piccola percentuale di pazienti però tutto ciò non è sufficiente e perciò questo tipo di parodontopatia viene classificata come parodontopatia refrattaria. Da ciò deriva un’integrazione del protocollo meccanico-chirurgico con un approccio di tipo chimico che si avvale di diverse combinazioni di antisettici locali ed antibiotici locali o sistemici. Tra i protocolli di trattamento che si avvalgono di antibiotici assunti per via sistemica è stato di recente proposto l’utilizzo per periodi di tempo abbastanza lunghi (cicli di tre mesi ripetibili fino ad un massimo di tre volte consecutivamente) di doxiciclina iclato a basse dosi (20 mg, 2 volte al giorno). Tali dosi permettono alla doxiciclina di esplicare la sua attività inibitrice nei confronti delle collagenasi e delle metalloproteinasi della matrice coinvolte nei meccanismi che portano al riassorbimento dell’osso alveolare che avviene non solo durante la fase attiva della malattia parodontale, ma anche durante il movimento di un dente a cui sono applicate forze ortodontiche. Lo scopo del presente lavoro è di valutare se l’assunzione, da parte di un paziente con esiti di malattia parodontale, per un periodo di tempo di sei mesi di 20 mg di doxiciclina iclato due volte al giorno, possa modificare i meccanismi di rimodellamento dell’osso alveolare ad un livello tale da influenzare in modo clinicamente rilevante la resistenza opposta al movimento ortodontico dei singoli denti.
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