L’Amministrazione finanziaria e parte della giurisprudenza tendono a dare rilevanza, ai fini della determinazione dell’imposta di registro dovuta, all’«effetto economico finale», rappresentato dalla cessione, all’acquirente delle partecipazioni, del bene immobile o dell’azienda conferita, censurando il carattere elusivo del ricorso allo schema del conferimento seguito da cessione della partecipazione e, pertanto, assoggettando l’operazione de qua all’imposta di registro dovuta per la cessione dell’immobile o dell’azienda, al lordo di qualunque passività. Tale ricostruzione troverebbe fondamento proprio nell’art. 20 d.p.r. n. 131/1986, ai sensi del quale l’imposta, prescindendo dal titolo o dalla forma apparente, deve essere applicata tenendo conto dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici degli atti: tale norma consentirebbe di determinare l’imposta dovuta in ragione della «causa reale» dell’operazione economica complessivamente realizzata, dunque prescindendo dal nomen iuris attribuito all’atto, ovvero dagli elementi emergenti dall’«assetto cartolare», dando invece rilevanza ad un presunto «intento negoziale oggettivamente unico» perseguito dalle parti, ricostruito sulla base (anche e soprattutto) di elementi extratestuali rispetto all’atto sottoposto a registrazione. Al contrario, nell’opposta prospettiva, per «effetti giuridici» sono da intendersi quelli «civilistici» e non v’è dubbio che, sulla base dell’art. 20 d.p.r. n. 131/1986, l’Amministrazione finanziaria può certamente prescindere dal nomen iuris attribuito all’atto dalle parti ma, nell’esercizio di tale potere di accertamento, dovrà limitarsi alla riqualificazione giuridica dell’atto, senza poter attribuire rilievo alle vicende economiche eventualmente sottese al medesimo o a qualunque altro elemento che sia esterno rispetto all’atto registrato. Nell’ambito dell’imposta di registro non esiste, infatti, una generale norma antielusiva e nell’applicazione dell’art. 20 d.p.r. n. 131/1986 deve darsi rilevanza agli «effetti giuridici» («civilistici») degli atti e non già a quelli «economici». È necessario che lo strumento di contrasto dei fenomeni elusivi sia previsto in un’esplicita fonte legislativa, la quale sola è in grado di evitare il pericolo che la lotta all’abuso del diritto si tramuti in un «abuso del potere». Anche a prescindere dalla codificazione di una regola generale anti-abuso e dalla “questione” della rilevanza di elementi extratestuali in sede di applicazione dell’art. 20 d.p.r. n. 131/1981, deve ritenersi quanto meno necessario un intervento normativo chiarificatore in punto di esatta individuazione del criterio temporale (in specie con riferimento al dies a quo) per la contestazione di fenomeni elusivi in materia d’imposta di registro.

L'interpretazione degli atti e l'elusione fiscale nel sistema dell'imposta di registro

CORASANITI, Giuseppe
2012-01-01

Abstract

L’Amministrazione finanziaria e parte della giurisprudenza tendono a dare rilevanza, ai fini della determinazione dell’imposta di registro dovuta, all’«effetto economico finale», rappresentato dalla cessione, all’acquirente delle partecipazioni, del bene immobile o dell’azienda conferita, censurando il carattere elusivo del ricorso allo schema del conferimento seguito da cessione della partecipazione e, pertanto, assoggettando l’operazione de qua all’imposta di registro dovuta per la cessione dell’immobile o dell’azienda, al lordo di qualunque passività. Tale ricostruzione troverebbe fondamento proprio nell’art. 20 d.p.r. n. 131/1986, ai sensi del quale l’imposta, prescindendo dal titolo o dalla forma apparente, deve essere applicata tenendo conto dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici degli atti: tale norma consentirebbe di determinare l’imposta dovuta in ragione della «causa reale» dell’operazione economica complessivamente realizzata, dunque prescindendo dal nomen iuris attribuito all’atto, ovvero dagli elementi emergenti dall’«assetto cartolare», dando invece rilevanza ad un presunto «intento negoziale oggettivamente unico» perseguito dalle parti, ricostruito sulla base (anche e soprattutto) di elementi extratestuali rispetto all’atto sottoposto a registrazione. Al contrario, nell’opposta prospettiva, per «effetti giuridici» sono da intendersi quelli «civilistici» e non v’è dubbio che, sulla base dell’art. 20 d.p.r. n. 131/1986, l’Amministrazione finanziaria può certamente prescindere dal nomen iuris attribuito all’atto dalle parti ma, nell’esercizio di tale potere di accertamento, dovrà limitarsi alla riqualificazione giuridica dell’atto, senza poter attribuire rilievo alle vicende economiche eventualmente sottese al medesimo o a qualunque altro elemento che sia esterno rispetto all’atto registrato. Nell’ambito dell’imposta di registro non esiste, infatti, una generale norma antielusiva e nell’applicazione dell’art. 20 d.p.r. n. 131/1986 deve darsi rilevanza agli «effetti giuridici» («civilistici») degli atti e non già a quelli «economici». È necessario che lo strumento di contrasto dei fenomeni elusivi sia previsto in un’esplicita fonte legislativa, la quale sola è in grado di evitare il pericolo che la lotta all’abuso del diritto si tramuti in un «abuso del potere». Anche a prescindere dalla codificazione di una regola generale anti-abuso e dalla “questione” della rilevanza di elementi extratestuali in sede di applicazione dell’art. 20 d.p.r. n. 131/1981, deve ritenersi quanto meno necessario un intervento normativo chiarificatore in punto di esatta individuazione del criterio temporale (in specie con riferimento al dies a quo) per la contestazione di fenomeni elusivi in materia d’imposta di registro.
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