L’ansia prenatale materna e i disturbi correlati sono stati rilevati in diversi studi internazionali condotti in gravidanza (Dennis et al., 2017; Leach et al., 2017), tuttavia il disturbo d’ansia nel periodo prenatale ha ricevuto meno attenzione di quanto meriti nella ricerca scientifica e nella pratica clinica, nonostante sia stato rilevato frequentemente in comorbidità con la depressione (Austin et al., 2010; Falah-Hassani et al., 2016), e alcuni studi rilevino sia anche più comune della depressione (Dennis et al., 2017; Fairbrother et al., 2016). Le complicanze prenatali che i genitori possono incontrare nel percorso di transizione alla genitorialità possono interferire nella relazione genitore-figlio, con il rischio di conseguenze significative nel corso degli anni per lo sviluppo del bambino (Milgrom et al., 2011; Meneghetti, 2007). L’ansia materna prenatale può causare effetti negativi a breve e lungo termine sia sulle madri che sugli esiti fetali/neonatali (Van den Bergh et al., 2005; Farias et al., 2013; Sanchez et al., 2013; Howard et al., 2014; Stein et al., 2014; Imbasciati, Cena 2015a,b; Field, 2018; Grigoriadis et al., 2018), con un aumento del rischio di suicidio e morbilità neonatale, associati a costi sanitari economici significativi (Bauer et al., 2016) . Nel periodo postnatale, l’ansia è uno dei disturbi mentali più frequenti (Dennis et al., 2017; Leach et al., 2017; Agostini, Minelli, 2015), anche più della depressione, e queste due condizioni spesso si verificano in concomitanza (Dennis et al., 2017; Falah-Assani et al., 2016). L’ansia postnatale può avere conseguenze negative sul benessere delle madri, sulla loro salute e sullo sviluppo dei loro figli. L’effetto dell’ansia comporta, per le donne stesse, un peggioramento della qualità della vita e della salute psicofisica, una riduzione delle loro capacità di svolgere attività quotidiane e prendersi cura del nuovo nato, esercitando pienamente le capacità genitoriali, con un aumento del rischio di malattie croniche, abuso di sostanze e un conseguente aumento dell’onere economico dei costi sanitari, una possibile perdita di guadagni economici e, in alcuni casi, disoccupazione (Pricewaterhouse, 2019). L’ansia postnatale può influenzare negativamente l’allattamento al seno (Tambelli et al., 2015) e le prime interazioni madrebambino (Riva Crugnola et al., 2016; Imbasciati, Cena 2015a,b, 2018, 2020) in un momento in cui i bambini sono più sensibili al loro ambiente, con conseguenti ripercussioni sul loro sviluppo comportamentale, cognitivo ed emotivo (Lucarelli et al., 2016; Vismara et al., 2016; Field, 2018). Tuttavia, questo disturbo affettivo, come per il periodo prenatale, anche per il periodo postnatale ha ricevuto meno attenzione di quanto meriti nella pratica clinica e nella ricerca di routine, rimanendo in gran parte non rilevato e non trattato .Gli studi internazionali in letteratura sulla prevalenza e sui fattori di rischio dell’ansia nel periodo postpartum sono limitati (Field, 2018); i pochi studi che hanno indagato l’associazione tra fattori demografici e socioeconomici e ansia postnatale materna (Leach et al., 2017; Field, 2018; Biaggi et al., 2016) hanno messo in evidenza che alcune variabili demografiche (ad es. età) e socioeconomiche (ad es. istruzione, occupazione, situazione finanziaria) sono associate a sintomi e/o disturbi d’ansia. I risultati sono però piuttosto controversi per la diversità di metodologie e strumenti utilizzati, le modalità e i tempi di raccolta dati.Gli obiettivi specifici di questo lavoro sono: valutare la prevalenza dell’ansia di stato nel periodo prenatale e postnatale (ulteriormente suddivisi per trimestri) e analizzare la loro associazione con fattori demografici e socioeconomici.

Ansia perinatale materna e conseguenze per il bambino: fattori di rischio e protezione durante la gravidanza e nel periodo postpartum

Cena Loredana
Writing – Review & Editing
;
Trainini Alice
Data Curation
;
Stefana Alberto
Writing – Review & Editing
2023-01-01

Abstract

L’ansia prenatale materna e i disturbi correlati sono stati rilevati in diversi studi internazionali condotti in gravidanza (Dennis et al., 2017; Leach et al., 2017), tuttavia il disturbo d’ansia nel periodo prenatale ha ricevuto meno attenzione di quanto meriti nella ricerca scientifica e nella pratica clinica, nonostante sia stato rilevato frequentemente in comorbidità con la depressione (Austin et al., 2010; Falah-Hassani et al., 2016), e alcuni studi rilevino sia anche più comune della depressione (Dennis et al., 2017; Fairbrother et al., 2016). Le complicanze prenatali che i genitori possono incontrare nel percorso di transizione alla genitorialità possono interferire nella relazione genitore-figlio, con il rischio di conseguenze significative nel corso degli anni per lo sviluppo del bambino (Milgrom et al., 2011; Meneghetti, 2007). L’ansia materna prenatale può causare effetti negativi a breve e lungo termine sia sulle madri che sugli esiti fetali/neonatali (Van den Bergh et al., 2005; Farias et al., 2013; Sanchez et al., 2013; Howard et al., 2014; Stein et al., 2014; Imbasciati, Cena 2015a,b; Field, 2018; Grigoriadis et al., 2018), con un aumento del rischio di suicidio e morbilità neonatale, associati a costi sanitari economici significativi (Bauer et al., 2016) . Nel periodo postnatale, l’ansia è uno dei disturbi mentali più frequenti (Dennis et al., 2017; Leach et al., 2017; Agostini, Minelli, 2015), anche più della depressione, e queste due condizioni spesso si verificano in concomitanza (Dennis et al., 2017; Falah-Assani et al., 2016). L’ansia postnatale può avere conseguenze negative sul benessere delle madri, sulla loro salute e sullo sviluppo dei loro figli. L’effetto dell’ansia comporta, per le donne stesse, un peggioramento della qualità della vita e della salute psicofisica, una riduzione delle loro capacità di svolgere attività quotidiane e prendersi cura del nuovo nato, esercitando pienamente le capacità genitoriali, con un aumento del rischio di malattie croniche, abuso di sostanze e un conseguente aumento dell’onere economico dei costi sanitari, una possibile perdita di guadagni economici e, in alcuni casi, disoccupazione (Pricewaterhouse, 2019). L’ansia postnatale può influenzare negativamente l’allattamento al seno (Tambelli et al., 2015) e le prime interazioni madrebambino (Riva Crugnola et al., 2016; Imbasciati, Cena 2015a,b, 2018, 2020) in un momento in cui i bambini sono più sensibili al loro ambiente, con conseguenti ripercussioni sul loro sviluppo comportamentale, cognitivo ed emotivo (Lucarelli et al., 2016; Vismara et al., 2016; Field, 2018). Tuttavia, questo disturbo affettivo, come per il periodo prenatale, anche per il periodo postnatale ha ricevuto meno attenzione di quanto meriti nella pratica clinica e nella ricerca di routine, rimanendo in gran parte non rilevato e non trattato .Gli studi internazionali in letteratura sulla prevalenza e sui fattori di rischio dell’ansia nel periodo postpartum sono limitati (Field, 2018); i pochi studi che hanno indagato l’associazione tra fattori demografici e socioeconomici e ansia postnatale materna (Leach et al., 2017; Field, 2018; Biaggi et al., 2016) hanno messo in evidenza che alcune variabili demografiche (ad es. età) e socioeconomiche (ad es. istruzione, occupazione, situazione finanziaria) sono associate a sintomi e/o disturbi d’ansia. I risultati sono però piuttosto controversi per la diversità di metodologie e strumenti utilizzati, le modalità e i tempi di raccolta dati.Gli obiettivi specifici di questo lavoro sono: valutare la prevalenza dell’ansia di stato nel periodo prenatale e postnatale (ulteriormente suddivisi per trimestri) e analizzare la loro associazione con fattori demografici e socioeconomici.
2023
9788835138266
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