La finalità del lavoro è effettuare un’analisi empirica in merito all’impatto potenzialmente prodotto dall’utilizzo degli indici di allerta previsti nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza (da qui CCI). Lo scopo è identificare, in termini di incidenza, il numero delle imprese che presentano le caratteristiche di una potenziale crisi e che, come tali, devono essere soggette alle norme previste dal CCI, con particolare riguardo all’attività dell’Organismo di composizione della crisi di impresa (OCRI). Per effettuare questa analisi pilota si è scelta la Lombardia, la prima regione economica d’Italia, caratterizzata dal maggior numero di imprese: 15,8% delle attive e 15,6% delle registrate. Se l’attenzione fosse posta solo sulle società di capitale, l’incidenza aumenterebbe ulteriormente: 20,6% le attive, 19,4% le registrate1. La popolazione, articolata per settori di attività (sezioni e divisioni), è costituita da tutte le società di capitale attive lombarde, articolate in base al Codice Ateco, con fatturato compreso tra 2 e 40 milioni, che dispongono di tutti i bilanci nel periodo esaminato, il triennio 2017-2019: sarà molto importante estendere l’analisi, appena saranno disponibili i bilanci, al 2020. La banca dati utilizzata è AIDA. Le imprese complessivamente analizzate sono pari a 27.861 (Tabella 1): va precisato che non per tutti gli indicatori il numero è identico, a causa della possibile indisponibilità di talune informazioni: tuttavia, gli scostamenti sono modesti. Il numero non cambia nei tre anni esaminati. L’incidenza maggiore, tenuto anche conto del contesto geo-economico esaminato, è della manifattura; seguono il commercio all’ingrosso e i servizi alle imprese: insieme rappresentano circa il 70% del totale. L’analisi ha messo in evidenza una ricorrenza limitata di situazioni problematiche emergente dagli indici settoriali, con una capacità predittiva, seppur fondata su un numero limitato di casi, contenuta. Il numero di imprese, con fatturato compreso tra 2 e 40 milioni, che nel 2019 (bilancio 2019) non rispettavano la soglia del patrimonio netto o superavano tutte quelle dei cinque indicatori, è compreso tra 426 e 45914. Il numero delle imprese in crisi potrebbe certamente cambiare utilizzando il DSCR, anche se qualche dubbio permane sull’affidabilità nel calcolo dello stesso. Particolare attenzione andrebbe dedicata alle relazioni tra i diversi livelli del sistema di indici, in quanto sono assai contenute le imprese con patrimonio netto inadeguato (negativo o al di sotto del minimo legale) che superano tutte le soglie. Si dovrebbe quindi pensare anche a step intermedi: ferma restando l’attivazione della procedura formale al superamento delle cinque soglie, sarebbe opportuno che a fronte, ad esempio, del superamento di tre soglie, l’impresa attivi dei percorsi di approfondimento “informali”, cioè esclusivamente interni, finalizzati alla prima individuazione di potenziali sintomi di crisi. Questo dovrebbe comportare una riflessione sugli indicatori selezionati: il punto 2 dell’art. 13, dedicato agli indicatori di crisi, prevede che “Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al comma 1 che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa”. Il lavoro molto approfondito del Consiglio ha portato a identificare gli stessi indicatori per tutti i settori, cambiando le soglie per le varie tipologie di attività economica: è opportuno riflettere se questa fosse davvero la richiesta normativa oppure se, almeno per taluni settori o codici ISTAT (Ateco) con attività molto peculiare (si pensi all’edilizia, al commercio e altri ancora), non fosse più opportuno individuare indici diversi, più coerenti con le caratteristiche del loro processo di produzione economica. Ulteriore considerazione, sempre relativa agli indicatori, riguarda le soglie: vista la differente situazione economica esistente nel momento della stima rispetto a quella coincidente con l’utilizzo effettivo e tenuto conto che la revisione deve essere svolta, da parte del Consiglio, con cadenza almeno triennale (quindi possibile anche su periodi inferiori se necessario), sarebbe preferibile ridefinire tali soglie alla luce del primo impiego previsto per settembre 2021. Altro punto di riflessione riguarda la richiesta di valutazione unitaria (art. 13, punto 2). Nel caso di specie l’unitarietà è considerata come superamento contestuale delle soglie dei cinque indicatori (il patrimonio netto e il DSCR si considerano singolarmente). Altri modi possibili sono la previsione di pesi o di punteggi di sintesi in base agli scostamenti dai valori medi o di riferimento: in questo caso l’analisi sarebbe più raffinata in quanto, come già scritto, il problema sostanziale non è solo superare la soglia ma di quanto. Anche se nella ricerca non si è calcolato e utilizzato il DSCR, vale la pena di formulare alcune considerazioni: non sarà agevole valutare, nei casi concreti, l’affidabilità delle informazioni di cui dispongono le imprese, soprattutto le più piccole, tenendo anche conto che il rendiconto finanziario, cioè la tavola che rispecchia lo spirito del DSCR, non è obbligatorio per buona parte delle aziende. Altra considerazione attiene al periodo a cui si riferisce l’indicatore, cioè sei mesi: sarebbe più logico, anche per uniformarlo a quello individuato dai principi contabili per valutare la continuità aziendale, estendere tale intervallo ai dodici mesi.
I segnali d'allerta nelle imprese lombarde. Gli indicatori di crisi
Teodori, Claudio
;Birtalan, Annamaria
2021-01-01
Abstract
La finalità del lavoro è effettuare un’analisi empirica in merito all’impatto potenzialmente prodotto dall’utilizzo degli indici di allerta previsti nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza (da qui CCI). Lo scopo è identificare, in termini di incidenza, il numero delle imprese che presentano le caratteristiche di una potenziale crisi e che, come tali, devono essere soggette alle norme previste dal CCI, con particolare riguardo all’attività dell’Organismo di composizione della crisi di impresa (OCRI). Per effettuare questa analisi pilota si è scelta la Lombardia, la prima regione economica d’Italia, caratterizzata dal maggior numero di imprese: 15,8% delle attive e 15,6% delle registrate. Se l’attenzione fosse posta solo sulle società di capitale, l’incidenza aumenterebbe ulteriormente: 20,6% le attive, 19,4% le registrate1. La popolazione, articolata per settori di attività (sezioni e divisioni), è costituita da tutte le società di capitale attive lombarde, articolate in base al Codice Ateco, con fatturato compreso tra 2 e 40 milioni, che dispongono di tutti i bilanci nel periodo esaminato, il triennio 2017-2019: sarà molto importante estendere l’analisi, appena saranno disponibili i bilanci, al 2020. La banca dati utilizzata è AIDA. Le imprese complessivamente analizzate sono pari a 27.861 (Tabella 1): va precisato che non per tutti gli indicatori il numero è identico, a causa della possibile indisponibilità di talune informazioni: tuttavia, gli scostamenti sono modesti. Il numero non cambia nei tre anni esaminati. L’incidenza maggiore, tenuto anche conto del contesto geo-economico esaminato, è della manifattura; seguono il commercio all’ingrosso e i servizi alle imprese: insieme rappresentano circa il 70% del totale. L’analisi ha messo in evidenza una ricorrenza limitata di situazioni problematiche emergente dagli indici settoriali, con una capacità predittiva, seppur fondata su un numero limitato di casi, contenuta. Il numero di imprese, con fatturato compreso tra 2 e 40 milioni, che nel 2019 (bilancio 2019) non rispettavano la soglia del patrimonio netto o superavano tutte quelle dei cinque indicatori, è compreso tra 426 e 45914. Il numero delle imprese in crisi potrebbe certamente cambiare utilizzando il DSCR, anche se qualche dubbio permane sull’affidabilità nel calcolo dello stesso. Particolare attenzione andrebbe dedicata alle relazioni tra i diversi livelli del sistema di indici, in quanto sono assai contenute le imprese con patrimonio netto inadeguato (negativo o al di sotto del minimo legale) che superano tutte le soglie. Si dovrebbe quindi pensare anche a step intermedi: ferma restando l’attivazione della procedura formale al superamento delle cinque soglie, sarebbe opportuno che a fronte, ad esempio, del superamento di tre soglie, l’impresa attivi dei percorsi di approfondimento “informali”, cioè esclusivamente interni, finalizzati alla prima individuazione di potenziali sintomi di crisi. Questo dovrebbe comportare una riflessione sugli indicatori selezionati: il punto 2 dell’art. 13, dedicato agli indicatori di crisi, prevede che “Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al comma 1 che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa”. Il lavoro molto approfondito del Consiglio ha portato a identificare gli stessi indicatori per tutti i settori, cambiando le soglie per le varie tipologie di attività economica: è opportuno riflettere se questa fosse davvero la richiesta normativa oppure se, almeno per taluni settori o codici ISTAT (Ateco) con attività molto peculiare (si pensi all’edilizia, al commercio e altri ancora), non fosse più opportuno individuare indici diversi, più coerenti con le caratteristiche del loro processo di produzione economica. Ulteriore considerazione, sempre relativa agli indicatori, riguarda le soglie: vista la differente situazione economica esistente nel momento della stima rispetto a quella coincidente con l’utilizzo effettivo e tenuto conto che la revisione deve essere svolta, da parte del Consiglio, con cadenza almeno triennale (quindi possibile anche su periodi inferiori se necessario), sarebbe preferibile ridefinire tali soglie alla luce del primo impiego previsto per settembre 2021. Altro punto di riflessione riguarda la richiesta di valutazione unitaria (art. 13, punto 2). Nel caso di specie l’unitarietà è considerata come superamento contestuale delle soglie dei cinque indicatori (il patrimonio netto e il DSCR si considerano singolarmente). Altri modi possibili sono la previsione di pesi o di punteggi di sintesi in base agli scostamenti dai valori medi o di riferimento: in questo caso l’analisi sarebbe più raffinata in quanto, come già scritto, il problema sostanziale non è solo superare la soglia ma di quanto. Anche se nella ricerca non si è calcolato e utilizzato il DSCR, vale la pena di formulare alcune considerazioni: non sarà agevole valutare, nei casi concreti, l’affidabilità delle informazioni di cui dispongono le imprese, soprattutto le più piccole, tenendo anche conto che il rendiconto finanziario, cioè la tavola che rispecchia lo spirito del DSCR, non è obbligatorio per buona parte delle aziende. Altra considerazione attiene al periodo a cui si riferisce l’indicatore, cioè sei mesi: sarebbe più logico, anche per uniformarlo a quello individuato dai principi contabili per valutare la continuità aziendale, estendere tale intervallo ai dodici mesi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.