Il contributo vuole offrire una riflessione in merito alla rilevata carenza emergente a livello normativo rispetto le competenze aggiuntive che le scuole di Specializzazione e di Dottorato offrono nel campo del restauro architettonico e che non sono qualificanti a livello amministrativo. Gli anni di studio aggiuntivi, che il laureato in architettura si impegna a seguire, non trovano un riconoscimento integrativo professionale, riferiti ai settori di lavoro specifici derivati dalla qualifica aggiuntiva assunta, se non restando nell’ambito universitario oppure ministeriale. Questi limiti riducono la necessità di una professionalizzazione come mostrato dalla limitata partecipazione di laureati alle scuole di specializzazione, ma, soprattutto, appaiono evidenti nella qualità del progetto di conservazione effettuato senza una competenza più pertinente. In questi casi, infatti, il risultato progettuale risulta insufficiente ad affrontare la gestione di tutte le dinamiche e competenze che ruotano attorno ad un bene culturale. Ne consegue una problematica di contrasto con i funzionari delle soprintendenze, i quali spesso si trovano nella necessità di dare informazioni per migliorare la qualità del progetto presentato senza che tuttavia il laureato in architettura abbia la formazione necessaria per comprenderle. Questa situazione si può attribuire al fatto che risultino insufficienti i pochi esami previsti nel curriculum universitario, in quanto non esauriscono l’auspicabile necessità di competenze e conoscenze minime utili per predisporre un corretto e integrato progetto di conservazione. Questo scollamento è evidente durante le fasi di progettazione, nelle quali sempre più frequentemente ci si trova a relazionarsi con esperti, quali restauratori o diagnosti, di cui non si riesce a comprendere il contributo utile o necessario all’interno del progetto, limitandolo a quello di rispondere ad un punto della check list proposta da qualche Soprintendenza. Il limite appare ancora più forte in fase di cantiere, quando può accadere che gli operatori attendano indicazioni esecutive o propongono azioni che la direzione lavori non sa valutare per mancanza di competenza. Questa situazione sta portando la figura professionale dell’architetto verso un ruolo controverso: da un lato responsabile di tutto l’universo che ruota intorno al concetto di conservazione e dall’altro senza gli strumenti adatti per una gestione capace del processo.
IL RESTAURO ARCHITETTONICO: UNA PROFESSIONE O UN HOBBY?
Barbara ScalaSupervision
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2021-01-01
Abstract
Il contributo vuole offrire una riflessione in merito alla rilevata carenza emergente a livello normativo rispetto le competenze aggiuntive che le scuole di Specializzazione e di Dottorato offrono nel campo del restauro architettonico e che non sono qualificanti a livello amministrativo. Gli anni di studio aggiuntivi, che il laureato in architettura si impegna a seguire, non trovano un riconoscimento integrativo professionale, riferiti ai settori di lavoro specifici derivati dalla qualifica aggiuntiva assunta, se non restando nell’ambito universitario oppure ministeriale. Questi limiti riducono la necessità di una professionalizzazione come mostrato dalla limitata partecipazione di laureati alle scuole di specializzazione, ma, soprattutto, appaiono evidenti nella qualità del progetto di conservazione effettuato senza una competenza più pertinente. In questi casi, infatti, il risultato progettuale risulta insufficiente ad affrontare la gestione di tutte le dinamiche e competenze che ruotano attorno ad un bene culturale. Ne consegue una problematica di contrasto con i funzionari delle soprintendenze, i quali spesso si trovano nella necessità di dare informazioni per migliorare la qualità del progetto presentato senza che tuttavia il laureato in architettura abbia la formazione necessaria per comprenderle. Questa situazione si può attribuire al fatto che risultino insufficienti i pochi esami previsti nel curriculum universitario, in quanto non esauriscono l’auspicabile necessità di competenze e conoscenze minime utili per predisporre un corretto e integrato progetto di conservazione. Questo scollamento è evidente durante le fasi di progettazione, nelle quali sempre più frequentemente ci si trova a relazionarsi con esperti, quali restauratori o diagnosti, di cui non si riesce a comprendere il contributo utile o necessario all’interno del progetto, limitandolo a quello di rispondere ad un punto della check list proposta da qualche Soprintendenza. Il limite appare ancora più forte in fase di cantiere, quando può accadere che gli operatori attendano indicazioni esecutive o propongono azioni che la direzione lavori non sa valutare per mancanza di competenza. Questa situazione sta portando la figura professionale dell’architetto verso un ruolo controverso: da un lato responsabile di tutto l’universo che ruota intorno al concetto di conservazione e dall’altro senza gli strumenti adatti per una gestione capace del processo.File | Dimensione | Formato | |
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