Nel film Il terzo uomo (1941), Orson Welles recita il suo noto monologo sull’orologio a cucù, elogiando la cultura italiana a dispetto di quella svizzera, paese neutrale durante la II Guerra mondiale. Esistono tanti esempi simili che ci inducono a una riflessione profonda sui sistemi di comunicazione attuali e sulle origini delle loro strutture e dinamiche. Quest’ultime, infatti, si sono create durante le guerre mondiali, compresa la Guerra Fredda. La questione della comunicazione in architettura viaggia parallelamente a quella globale. Da quando l’architettura è stata concepita come oggetto d’arte e, di conseguenza, è diventata oggetto di consumo, la progettazione architettonica e urbana è stata investita da tutta quella miriade di fenomeni complessi che coinvolgono la nostra stessa conoscenza quotidiana degli eventi mondiali. La propaganda delle guerre del Novecento ha insegnato a tutti gli addetti del mondo della comunicazione, che ‘vince’ chi conquista il maggior numero di pubblico. Da decenni, è noto a tutti che l’FBI e la CIA hanno combattuto la Guerra Fredda, finanziando artisti e intellettuali, affinché professassero il cosiddetto ‘americanismo’ (cfr. Fasanella 2013, p. 7; il caso degli Hilton Hotel in Carbone 2002, p. 416). La settima arte, più fluida e ‘leggera’ dell’architettura, ha espresso molto chiaramente questa forte influenza (cfr. Gardner, Nicholls, White 2012, pp. 208, 214-215; Shaw 2007, pp. 301-302). Anche gli architetti che cercarono di discostarsene o di opporsi, subirono comunque, anche inconsciamente, il fascino di una comunicazione fondata su uno dei veicoli più potenti della nostra epoca: l’immagine in movimento (cfr. la complessa storia del Bauhaus in Castillo 2006, p. 171). Non è un caso se tra il 1924 e il 1975, 53 architetti e studi professionali hanno prodotto altrettante opere filmiche.

Guerre e comunicazione nel XX secolo. Le influenze sull’architettura e la città in Italia.

Longo Olivia
2020-01-01

Abstract

Nel film Il terzo uomo (1941), Orson Welles recita il suo noto monologo sull’orologio a cucù, elogiando la cultura italiana a dispetto di quella svizzera, paese neutrale durante la II Guerra mondiale. Esistono tanti esempi simili che ci inducono a una riflessione profonda sui sistemi di comunicazione attuali e sulle origini delle loro strutture e dinamiche. Quest’ultime, infatti, si sono create durante le guerre mondiali, compresa la Guerra Fredda. La questione della comunicazione in architettura viaggia parallelamente a quella globale. Da quando l’architettura è stata concepita come oggetto d’arte e, di conseguenza, è diventata oggetto di consumo, la progettazione architettonica e urbana è stata investita da tutta quella miriade di fenomeni complessi che coinvolgono la nostra stessa conoscenza quotidiana degli eventi mondiali. La propaganda delle guerre del Novecento ha insegnato a tutti gli addetti del mondo della comunicazione, che ‘vince’ chi conquista il maggior numero di pubblico. Da decenni, è noto a tutti che l’FBI e la CIA hanno combattuto la Guerra Fredda, finanziando artisti e intellettuali, affinché professassero il cosiddetto ‘americanismo’ (cfr. Fasanella 2013, p. 7; il caso degli Hilton Hotel in Carbone 2002, p. 416). La settima arte, più fluida e ‘leggera’ dell’architettura, ha espresso molto chiaramente questa forte influenza (cfr. Gardner, Nicholls, White 2012, pp. 208, 214-215; Shaw 2007, pp. 301-302). Anche gli architetti che cercarono di discostarsene o di opporsi, subirono comunque, anche inconsciamente, il fascino di una comunicazione fondata su uno dei veicoli più potenti della nostra epoca: l’immagine in movimento (cfr. la complessa storia del Bauhaus in Castillo 2006, p. 171). Non è un caso se tra il 1924 e il 1975, 53 architetti e studi professionali hanno prodotto altrettante opere filmiche.
2020
979-12-80379-00-9
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11379/550035
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