Per comprendere la natura degli interventi che nel tempo hanno interessato il patrimonio architettonico e artistico “lombardo” è indispensabile cogliere la differenza fra restauro e conservazione e fra interventi post e preunitari. Il restauro è stato nei secoli un atteggiamento mutevole in rapporto alla considerazione dei reperti antichi e più in generale alla loro attualizzazione o modernizzazione. Di conseguenza il restauro ha assunto differenti fisionomie nei vari periodi storici o nell’interpretazione data da istituzioni pubbliche e private, basti ricordare come tutti i codici della conservazione pongono sempre il restauro quale intervento estremo ed eccezionale. L’Ottocento è il secolo nel quale si compiono riflessioni teoriche fondamentali e i maggiori sforzi per costituire un apparato legislativo e degli organi operativi in merito alla tutela. Per capire la natura di un intervento sull’esistente, in questo periodo, è decisiva la consapevolezza dei concetti e degli approcci metodologici sottesi all’intervento stesso. In questo senso l’Unità d’Italia costituisce un primo spartiacque fra interventi “privati”, prevalenti nel periodo preunitario e caratterizzati dall’autoritarismo degli antichi stati o da un romantico municipalismo, e interventi promossi dal “pubblico” dopo l’Unità che, progressivamente, tendono ad un sempre più accentuato centralismo garante di obiettivi omogenei. Ciò soprattutto nell’Italia settentrionale e in particolare in Lombardia, come avvenuto con la scuola di Camillo Boito e l’opera di Luca Beltrami, suo miglior allievo. Per una migliore comprensione di quanto detto può essere d’aiuto l’analisi diacronica di alcuni interventi significativi, sul patrimonio architettonico e artistico esistente, effettuati tra Otto e Novecento. I casi di Brescia, Monza e Castelseprio costituiscono gli esempi che ci consentono di seguire meglio quanto abbiamo appena rilevato.
Recuperi longobardi nell'architettura lombarda postunitaria
M. De paoli
2021-01-01
Abstract
Per comprendere la natura degli interventi che nel tempo hanno interessato il patrimonio architettonico e artistico “lombardo” è indispensabile cogliere la differenza fra restauro e conservazione e fra interventi post e preunitari. Il restauro è stato nei secoli un atteggiamento mutevole in rapporto alla considerazione dei reperti antichi e più in generale alla loro attualizzazione o modernizzazione. Di conseguenza il restauro ha assunto differenti fisionomie nei vari periodi storici o nell’interpretazione data da istituzioni pubbliche e private, basti ricordare come tutti i codici della conservazione pongono sempre il restauro quale intervento estremo ed eccezionale. L’Ottocento è il secolo nel quale si compiono riflessioni teoriche fondamentali e i maggiori sforzi per costituire un apparato legislativo e degli organi operativi in merito alla tutela. Per capire la natura di un intervento sull’esistente, in questo periodo, è decisiva la consapevolezza dei concetti e degli approcci metodologici sottesi all’intervento stesso. In questo senso l’Unità d’Italia costituisce un primo spartiacque fra interventi “privati”, prevalenti nel periodo preunitario e caratterizzati dall’autoritarismo degli antichi stati o da un romantico municipalismo, e interventi promossi dal “pubblico” dopo l’Unità che, progressivamente, tendono ad un sempre più accentuato centralismo garante di obiettivi omogenei. Ciò soprattutto nell’Italia settentrionale e in particolare in Lombardia, come avvenuto con la scuola di Camillo Boito e l’opera di Luca Beltrami, suo miglior allievo. Per una migliore comprensione di quanto detto può essere d’aiuto l’analisi diacronica di alcuni interventi significativi, sul patrimonio architettonico e artistico esistente, effettuati tra Otto e Novecento. I casi di Brescia, Monza e Castelseprio costituiscono gli esempi che ci consentono di seguire meglio quanto abbiamo appena rilevato.File | Dimensione | Formato | |
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