Il leggio del coro di Rodengo (Bs) Il leggio di fra Raffaele, noto per le tarsie lignee può anche essere considerato una sorta di microarchitettura; un prezioso tassello del nuovo partito architettonico a cavallo fra XV e XVI secolo la cui vicenda critica può suscitare qualche perplessità. Se da una parte la documentazione archivistica, analizzata in questo contributo, fissa precisi momenti riguardanti la costruzione di un leggio, iniziata nel 1481 e conclusa nel terzo decennio del Cinquecento, dall’altra il linguaggio architettonico utilizzato, decisamente originale nel panorama dell’architettura veneta e lombarda di fine Quattrocento, sviluppa temi che sarebbero più consueti in quel periodo per un esperto di architettura o, in alternativa, potrebbero corrispondere a un maturo Cinquecento, ingenerando vaghi sospetti di possibili rifacimenti successivi. A mettere ulteriori problemi ci sono i nomi dei possibili autori che i documenti sembrano tramandare: il maestro ingegnario Cristoforo Rocchi, a questo proposito decisivo risulta il documento che testimonia la presenza negli anni Ottanta di un leggio precedente a quello attuale correlato all’assenza di notizie successive che consentono di ipotizzare un suo possibile riutilizzo, nel Cinquecento, da parte di fra Raffaele. Il profilo e la formazione di fra Raffaele, ciò che si sa delle sue opere precedenti discredita, piuttosto che avvalorare, la sua paternità del linguaggio architettonico “all’antica” che il leggio di Rodengo esibisce. Di contro Cristoforo Rocchi, architetto oltre che esperto intarsiatore e intagliatore, avrebbe potuto impostare un partito architettonico “bramantesco” per incorniciare le tarsie lignee ma grande è la distanza temporale fra la sua presenza a Rodengo e gli anni della completa definizione del leggio. Di conseguenza, in attesa di prove archivistiche inconfutabili, rimangono aperte più possibilità interpretative. Fra Raffaele, sicuro esecutore dell’opera, può aver realizzato e completato un leggio preesistente o comunque ideato da un “architetto e intagliatore” quale Cristoforo Rocchi negli anni Ottanta del Quattrocento, ma potrebbe anche aver acquisito nel suo processo di formazione itinerante, tipico delle maestranze olivetane di quel periodo, le conoscenze e la sensibilità per ideare egli stesso il leggio di Rodengo. In questo senso risulta determinante quanto analizzato in precedenza riguardo l’opera teorica, pittorica e architettonica di Francesco di Giorgio Martini e soprattutto la corrispondenza fra i luoghi nei quali il maestro senese interviene alla fine del Quattrocento e quelli frequentati da fra Raffaele e dal suo maestro (fra Giovanni da Verona) nel loro peregrinare da un monastero all’altro. In primis le opere in Siena a partire da quella realizzata per il monastero di Monte Oliveto Maggiore, luogo di permanenza sia di fra Raffaele, sia di fra Giovanni che non possono non aver ammirato la pala dell’Incoronata del proprio monastero, ma anche la pala della Natività nella chiesa di San Domenico e probabilmente, vista la notorietà di Francesco di Giorgio, le opere realizzate a Urbino per il duca di Montefeltro, nelle quali risultano evidenti le analogie con le soluzioni decorative e architettoniche utilizzate per ridefinire la nuova architettura di Brescia a cavallo fra XV e XVI secolo. Altri sono i momenti nei quali i dettami teorizzati da Francesco di Giorgio nel suo trattato possono aver condizionato il modus operandi dei maestri olivetani. Nella biblioteca monumentale di Monte Oliveto Maggiore, ad esempio, sono presenti dei capitelli a volute inverse attribuiti a fra Giovanni, che presentano forti analogie con le soluzioni di Francesco di Giorgio. Così come simile a molte opere del maestro senese è l’utilizzo del tema dei delfini e ancora delle volute inverse del leggio di Rodengo, non presenti in precedenti leggii olivetani. Stabilire coerenti relazioni fra arti minori (o applicate come l’intaglio e l’intarsio) e arti maggiori (pittura, scultura, architettura) è fondamentale per riconoscere il valore e l’importanza dell’architettura intagliata del leggio di Rodengo. Qualsiasi ipotesi attributiva venga considerata, ciò che permane è l’attualità e la raffinata qualità esecutiva dei temi intagliati a Rodengo che dovrebbero, a distanza di tempo, essere riconsiderati autonomamente alla stregua delle tarsie prospettiche. Questo studio e soprattutto il rilievo e il ridisegno del leggio vuole essere un punto di vista ulteriore e differente dal quale ammirare una straordinaria opera architettonica intagliata.

L'architettura intagliata e intarsiata dell'abbazia di San Nicolò in Rodengo

M. De Paoli
2020-01-01

Abstract

Il leggio del coro di Rodengo (Bs) Il leggio di fra Raffaele, noto per le tarsie lignee può anche essere considerato una sorta di microarchitettura; un prezioso tassello del nuovo partito architettonico a cavallo fra XV e XVI secolo la cui vicenda critica può suscitare qualche perplessità. Se da una parte la documentazione archivistica, analizzata in questo contributo, fissa precisi momenti riguardanti la costruzione di un leggio, iniziata nel 1481 e conclusa nel terzo decennio del Cinquecento, dall’altra il linguaggio architettonico utilizzato, decisamente originale nel panorama dell’architettura veneta e lombarda di fine Quattrocento, sviluppa temi che sarebbero più consueti in quel periodo per un esperto di architettura o, in alternativa, potrebbero corrispondere a un maturo Cinquecento, ingenerando vaghi sospetti di possibili rifacimenti successivi. A mettere ulteriori problemi ci sono i nomi dei possibili autori che i documenti sembrano tramandare: il maestro ingegnario Cristoforo Rocchi, a questo proposito decisivo risulta il documento che testimonia la presenza negli anni Ottanta di un leggio precedente a quello attuale correlato all’assenza di notizie successive che consentono di ipotizzare un suo possibile riutilizzo, nel Cinquecento, da parte di fra Raffaele. Il profilo e la formazione di fra Raffaele, ciò che si sa delle sue opere precedenti discredita, piuttosto che avvalorare, la sua paternità del linguaggio architettonico “all’antica” che il leggio di Rodengo esibisce. Di contro Cristoforo Rocchi, architetto oltre che esperto intarsiatore e intagliatore, avrebbe potuto impostare un partito architettonico “bramantesco” per incorniciare le tarsie lignee ma grande è la distanza temporale fra la sua presenza a Rodengo e gli anni della completa definizione del leggio. Di conseguenza, in attesa di prove archivistiche inconfutabili, rimangono aperte più possibilità interpretative. Fra Raffaele, sicuro esecutore dell’opera, può aver realizzato e completato un leggio preesistente o comunque ideato da un “architetto e intagliatore” quale Cristoforo Rocchi negli anni Ottanta del Quattrocento, ma potrebbe anche aver acquisito nel suo processo di formazione itinerante, tipico delle maestranze olivetane di quel periodo, le conoscenze e la sensibilità per ideare egli stesso il leggio di Rodengo. In questo senso risulta determinante quanto analizzato in precedenza riguardo l’opera teorica, pittorica e architettonica di Francesco di Giorgio Martini e soprattutto la corrispondenza fra i luoghi nei quali il maestro senese interviene alla fine del Quattrocento e quelli frequentati da fra Raffaele e dal suo maestro (fra Giovanni da Verona) nel loro peregrinare da un monastero all’altro. In primis le opere in Siena a partire da quella realizzata per il monastero di Monte Oliveto Maggiore, luogo di permanenza sia di fra Raffaele, sia di fra Giovanni che non possono non aver ammirato la pala dell’Incoronata del proprio monastero, ma anche la pala della Natività nella chiesa di San Domenico e probabilmente, vista la notorietà di Francesco di Giorgio, le opere realizzate a Urbino per il duca di Montefeltro, nelle quali risultano evidenti le analogie con le soluzioni decorative e architettoniche utilizzate per ridefinire la nuova architettura di Brescia a cavallo fra XV e XVI secolo. Altri sono i momenti nei quali i dettami teorizzati da Francesco di Giorgio nel suo trattato possono aver condizionato il modus operandi dei maestri olivetani. Nella biblioteca monumentale di Monte Oliveto Maggiore, ad esempio, sono presenti dei capitelli a volute inverse attribuiti a fra Giovanni, che presentano forti analogie con le soluzioni di Francesco di Giorgio. Così come simile a molte opere del maestro senese è l’utilizzo del tema dei delfini e ancora delle volute inverse del leggio di Rodengo, non presenti in precedenti leggii olivetani. Stabilire coerenti relazioni fra arti minori (o applicate come l’intaglio e l’intarsio) e arti maggiori (pittura, scultura, architettura) è fondamentale per riconoscere il valore e l’importanza dell’architettura intagliata del leggio di Rodengo. Qualsiasi ipotesi attributiva venga considerata, ciò che permane è l’attualità e la raffinata qualità esecutiva dei temi intagliati a Rodengo che dovrebbero, a distanza di tempo, essere riconsiderati autonomamente alla stregua delle tarsie prospettiche. Questo studio e soprattutto il rilievo e il ridisegno del leggio vuole essere un punto di vista ulteriore e differente dal quale ammirare una straordinaria opera architettonica intagliata.
2020
9788838250071
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