Con la presente analisi si intende focalizzare l’attenzione critica sullo sviluppo dell’interrelazione tra i concetti di equità e giustizia in un preciso genere letterario contemporaneo, il legal thriller, esaminando sia il contesto culturale che quello giuridico. Tale approccio interdisciplinare implica perciò un attento esame di differenti ambiti di ricerca per permettere un fertile confronto tra sviluppi paralleli e intersezioni di dottrine ed idee fondanti. La prima parte della presente analisi offre un excursus dettagliato del movimento “diritto e letteratura”, che codificò e conferì valore paradigmatico all’interesse delle discipline umanistiche per il diritto e le sue rappresentazioni culturali. Tale movimento percorse una parabola evolutiva che comportò un graduale ampliamento della propria prospettiva da “diritto e letteratura” a “diritto e cultura”: da un iniziale interesse alle pure corrispondenze letterarie e retoriche tra i due ambiti si focalizzò, infatti, in seguito sull’aspetto “umanistico” e sugli effetti del diritto sulla società. Naturale conseguenza di questo sviluppo è stata la proliferazione delle rappresentazioni del diritto nella cultura popolare in un’ottica di postmodernismo autoconsapevole. E’ importante focalizzare l’attenzione critica anche sulla “percezione della giustizia”, che induce l’uomo comune da un lato a rivolgersi al diritto e dall’altro a rifiutare lo stesso nel momento in cui crede di aver subito un torto. La ragione dell’inadeguatezza del diritto e della generale insoddisfazione e disillusione nei confronti dell’autorità e delle istituzioni legali può essere ricondotta ad un profondo divario ripetutamente posto in luce nella presente analisi: quello tra legalità e moralità. In tale ambito l’equità diviene lo strumento correttivo supplementare per sancire una soluzione “più giusta” nel caso in cui le regole sovra menzionate siano troppo rigide o limitate per assicurarla. Tali considerazioni iniziali sono seguite da un esame storico volto a porre in luce come il legal thriller, sin dalle sue origini, abbia sperimentato alterne fortune determinate dalla percezione comune, sentita nel preciso momento temporale, della professione giuridica. Gli autori inglesi scelti (P. D. James, Tim Parks, Frances Fyfield e Sarah Caudwell) differiscono molto l’uno dall’altro; permettendo cosí di osservare come la giustizia e l’equità possano essere rappresentate differentemente e di far risaltare le diverse soluzioni adottate dai protagonisti per raggiungere i propri risultati. I romanzi sono stati tutti scritti in un periodo che spazia dagli anni ottanta fino ai giorni nostri: questo periodo è, infatti, caratterizzato da un “postmodernismo affermativo”, che implica una consapevolezza da parte dell’uomo comune dell’imperfezione del diritto e della incapacità dello stesso di assicurare la giustizia, ma allo stesso tempo la volontà di riconoscere che un sistema fallace è sempre meglio di nessun sistema. Inoltre, il legal thriller sostiene che la situazione potrebbe essere migliorata grazie all’intervento di professionisti disposti a lottare in prima persona per assicurare giustizia a coloro che ne hanno necessità. La giustizia perfetta non appartiene a questo mondo; le dottrine legali e di equità possono, tuttavia, avvicinarsi molto al raggiungimento di tale perfezione ideale. Queste idee sono elementi costitutive del legal thriller contemporaneo, caratterizzato, in questo periodo storico, da un intenso e autorevole revival. Gli eroi e le eroine del legal thriller percepiscono la difficoltà che si origina dalla coesistenza dei concetti di “diritto” ed “equità”: coloro che riescono a conciliarli, contravvenendo al diritto solo quando questo impedisce loro di fare “la giusta cosa”, sono dipinti come professionisti equi ed imparziali che garantirebbero una maggior sicurezza del sistema legale rispetto a quella derivante dall’esercizio dei loro più materialisti colleghi. Nella analisi ampio spazio viene anche donato alla descrizione dettagliata delle caratteristiche peculiari di avvocati, di pubblici ministeri, di avvocati difensori, delle donne avvocato e dei giudici. Le dottrine conformi alle regole di equità, esplicate nella presente analisi, sono fondamentalmente analizzate da un punto di vista umanistico e letterario; viene, tuttavia, preso in considerazione anche il contesto storico e legale al fine di non perdere traccia delle specificità tecniche dell’attuale valore morale di tali dottrine. In tal modo, si accresce la presenza dell’equità nella ricerca della giustizia – ricondotta, nel caso specifico, agli scenari ipotetici offerti dalla letteratura. La coscienza è la prima dottrina legale a dover essere presa in considerazione: l’equità, infatti, era originalmente percepita come la “coscienza del Re”: in seguito, tuttavia, si trasformò da elemento collettivo in percezione individuale e tale cambiamento comportò un graduale allontanamento della stessa dalle leggi umane in favore di un più potente codice morale. Per questa ragione l’equità è sempre stata materia privilegiata di molti romanzi, che hanno scandagliato tali decisioni “secondo equità”. La discrezione giuridica rappresenta il margine di flessibilità offerto inizialmente dall’equità quale mezzo correttivo atto ad adeguare una sentenza al caso specifico; affondava anch’essa le proprie radici nella moralità e, più precisamente, nell’idea che essa potesse compensare una mancanza di chiarezza nell’applicazione di una legge attraverso i giudici. Di conseguenza, il ragionevole dubbio e la funzione dello stesso di assicurare che l’imputato sia giudicato colpevole solo nel caso in cui il giudice e la giuria possano proclamare in coscienza la sua colpevolezza richiamano alla mente i concetti di coscienza e discrezione, come anche una doverosa e attenta considerazione delle circostanze particolari caratteristiche di ogni processo. La giustizia poetica, infine, è uno strumento letterario attraverso il quale viene perseguita una “giustizia correttiva” all’interno di un romanzo quando il diritto, ostacolato dal suo obbligo di intervenire solo nei casi di trasgressione legale, non può punire il colpevole con mezzi propri, ma lo fa presentando un “equo intreccio” di soluzioni finali e di giudizi sotto forma di punizioni che rimandano all’atto illecito originario. La lettura critica dei romanzi attraverso queste dottrine morali e legali, perciò, avvalora la tesi secondo la quale l’equità è un concetto fondante del genere legal thriller e rappresenta la componente più duttile e soggettiva della ricerca di giustizia da parte dell’umanità. Le osservazioni conclusive del presente studio reiterano l’assoluta necessità di ricercare la giustizia attraverso mezzi sia legali che equi e l’esigenza che tale ricerca sia condotta da persone interessate al raggiungimento della giustizia. Questo intento può essere conseguito attraverso “l’etica della critica” in quanto strumento epistemologico attraverso il quale si possono dibattere idee e proposte sulla giustizia e sul suo sostenimento, non compromettendo, al contempo, idee consolidate di comprovata utilità. In un mondo cosmopolita quale quello attuale, infatti, la fusione e l’intreccio di usanze, di culture e di legislazioni rende sempre più incalzante la necessità di riconciliare multiple percezioni di giustizia e ingiustizia e di promuovere una presa di coscienza dell’esistenza di nuove categorie, assicurando, al tempo stesso, un sistema legale stabile e affidabile in grado di mantenere l’ordine. Questa ricerca di equilibrio è presente nel legal thriller, ed è riconducibile al tentativo del genere stesso di conciliare la fiducia e l’affidamento riposto dal diritto negli esiti confortanti e inoppugnabili dei propri testi con l’abilità della letteratura di discutere e confutare concezioni obsolete attraverso narrazioni di ordine, di caos e di reintegrazione dell’ordine tramite soluzioni alternative e schemi di pensiero innovativi.

The Debate Between the Concepts of Justice and Equity in the XX Century Anglo-Saxon Legal Thriller

DOERR ROXANNE BARBARA
2012-01-01

Abstract

Con la presente analisi si intende focalizzare l’attenzione critica sullo sviluppo dell’interrelazione tra i concetti di equità e giustizia in un preciso genere letterario contemporaneo, il legal thriller, esaminando sia il contesto culturale che quello giuridico. Tale approccio interdisciplinare implica perciò un attento esame di differenti ambiti di ricerca per permettere un fertile confronto tra sviluppi paralleli e intersezioni di dottrine ed idee fondanti. La prima parte della presente analisi offre un excursus dettagliato del movimento “diritto e letteratura”, che codificò e conferì valore paradigmatico all’interesse delle discipline umanistiche per il diritto e le sue rappresentazioni culturali. Tale movimento percorse una parabola evolutiva che comportò un graduale ampliamento della propria prospettiva da “diritto e letteratura” a “diritto e cultura”: da un iniziale interesse alle pure corrispondenze letterarie e retoriche tra i due ambiti si focalizzò, infatti, in seguito sull’aspetto “umanistico” e sugli effetti del diritto sulla società. Naturale conseguenza di questo sviluppo è stata la proliferazione delle rappresentazioni del diritto nella cultura popolare in un’ottica di postmodernismo autoconsapevole. E’ importante focalizzare l’attenzione critica anche sulla “percezione della giustizia”, che induce l’uomo comune da un lato a rivolgersi al diritto e dall’altro a rifiutare lo stesso nel momento in cui crede di aver subito un torto. La ragione dell’inadeguatezza del diritto e della generale insoddisfazione e disillusione nei confronti dell’autorità e delle istituzioni legali può essere ricondotta ad un profondo divario ripetutamente posto in luce nella presente analisi: quello tra legalità e moralità. In tale ambito l’equità diviene lo strumento correttivo supplementare per sancire una soluzione “più giusta” nel caso in cui le regole sovra menzionate siano troppo rigide o limitate per assicurarla. Tali considerazioni iniziali sono seguite da un esame storico volto a porre in luce come il legal thriller, sin dalle sue origini, abbia sperimentato alterne fortune determinate dalla percezione comune, sentita nel preciso momento temporale, della professione giuridica. Gli autori inglesi scelti (P. D. James, Tim Parks, Frances Fyfield e Sarah Caudwell) differiscono molto l’uno dall’altro; permettendo cosí di osservare come la giustizia e l’equità possano essere rappresentate differentemente e di far risaltare le diverse soluzioni adottate dai protagonisti per raggiungere i propri risultati. I romanzi sono stati tutti scritti in un periodo che spazia dagli anni ottanta fino ai giorni nostri: questo periodo è, infatti, caratterizzato da un “postmodernismo affermativo”, che implica una consapevolezza da parte dell’uomo comune dell’imperfezione del diritto e della incapacità dello stesso di assicurare la giustizia, ma allo stesso tempo la volontà di riconoscere che un sistema fallace è sempre meglio di nessun sistema. Inoltre, il legal thriller sostiene che la situazione potrebbe essere migliorata grazie all’intervento di professionisti disposti a lottare in prima persona per assicurare giustizia a coloro che ne hanno necessità. La giustizia perfetta non appartiene a questo mondo; le dottrine legali e di equità possono, tuttavia, avvicinarsi molto al raggiungimento di tale perfezione ideale. Queste idee sono elementi costitutive del legal thriller contemporaneo, caratterizzato, in questo periodo storico, da un intenso e autorevole revival. Gli eroi e le eroine del legal thriller percepiscono la difficoltà che si origina dalla coesistenza dei concetti di “diritto” ed “equità”: coloro che riescono a conciliarli, contravvenendo al diritto solo quando questo impedisce loro di fare “la giusta cosa”, sono dipinti come professionisti equi ed imparziali che garantirebbero una maggior sicurezza del sistema legale rispetto a quella derivante dall’esercizio dei loro più materialisti colleghi. Nella analisi ampio spazio viene anche donato alla descrizione dettagliata delle caratteristiche peculiari di avvocati, di pubblici ministeri, di avvocati difensori, delle donne avvocato e dei giudici. Le dottrine conformi alle regole di equità, esplicate nella presente analisi, sono fondamentalmente analizzate da un punto di vista umanistico e letterario; viene, tuttavia, preso in considerazione anche il contesto storico e legale al fine di non perdere traccia delle specificità tecniche dell’attuale valore morale di tali dottrine. In tal modo, si accresce la presenza dell’equità nella ricerca della giustizia – ricondotta, nel caso specifico, agli scenari ipotetici offerti dalla letteratura. La coscienza è la prima dottrina legale a dover essere presa in considerazione: l’equità, infatti, era originalmente percepita come la “coscienza del Re”: in seguito, tuttavia, si trasformò da elemento collettivo in percezione individuale e tale cambiamento comportò un graduale allontanamento della stessa dalle leggi umane in favore di un più potente codice morale. Per questa ragione l’equità è sempre stata materia privilegiata di molti romanzi, che hanno scandagliato tali decisioni “secondo equità”. La discrezione giuridica rappresenta il margine di flessibilità offerto inizialmente dall’equità quale mezzo correttivo atto ad adeguare una sentenza al caso specifico; affondava anch’essa le proprie radici nella moralità e, più precisamente, nell’idea che essa potesse compensare una mancanza di chiarezza nell’applicazione di una legge attraverso i giudici. Di conseguenza, il ragionevole dubbio e la funzione dello stesso di assicurare che l’imputato sia giudicato colpevole solo nel caso in cui il giudice e la giuria possano proclamare in coscienza la sua colpevolezza richiamano alla mente i concetti di coscienza e discrezione, come anche una doverosa e attenta considerazione delle circostanze particolari caratteristiche di ogni processo. La giustizia poetica, infine, è uno strumento letterario attraverso il quale viene perseguita una “giustizia correttiva” all’interno di un romanzo quando il diritto, ostacolato dal suo obbligo di intervenire solo nei casi di trasgressione legale, non può punire il colpevole con mezzi propri, ma lo fa presentando un “equo intreccio” di soluzioni finali e di giudizi sotto forma di punizioni che rimandano all’atto illecito originario. La lettura critica dei romanzi attraverso queste dottrine morali e legali, perciò, avvalora la tesi secondo la quale l’equità è un concetto fondante del genere legal thriller e rappresenta la componente più duttile e soggettiva della ricerca di giustizia da parte dell’umanità. Le osservazioni conclusive del presente studio reiterano l’assoluta necessità di ricercare la giustizia attraverso mezzi sia legali che equi e l’esigenza che tale ricerca sia condotta da persone interessate al raggiungimento della giustizia. Questo intento può essere conseguito attraverso “l’etica della critica” in quanto strumento epistemologico attraverso il quale si possono dibattere idee e proposte sulla giustizia e sul suo sostenimento, non compromettendo, al contempo, idee consolidate di comprovata utilità. In un mondo cosmopolita quale quello attuale, infatti, la fusione e l’intreccio di usanze, di culture e di legislazioni rende sempre più incalzante la necessità di riconciliare multiple percezioni di giustizia e ingiustizia e di promuovere una presa di coscienza dell’esistenza di nuove categorie, assicurando, al tempo stesso, un sistema legale stabile e affidabile in grado di mantenere l’ordine. Questa ricerca di equilibrio è presente nel legal thriller, ed è riconducibile al tentativo del genere stesso di conciliare la fiducia e l’affidamento riposto dal diritto negli esiti confortanti e inoppugnabili dei propri testi con l’abilità della letteratura di discutere e confutare concezioni obsolete attraverso narrazioni di ordine, di caos e di reintegrazione dell’ordine tramite soluzioni alternative e schemi di pensiero innovativi.
2012
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