Processi neuropsicobiologici di fallimento del progetto generativo, possono insidiosamente presentarsi in diversi momenti della gestazione: vanno tenuti in considerazione gli aspetti interiori, simbolici connessi a doppia via con i processi biologici della dimensione psicosomatica della gravidanza. Nei casi di aborto spontaneo e di morte endouterina la donna e il suo corpo costituiscono lo scenario primario del dramma perinatale.In questo lavoro si prendono in considerazione gli aspetti complessi dei vissuti materni. La temporalità in cui avviene il doloroso evento, nelle prime fasi della gestazione o successivamente per morte endouterina, così come in seguito per nascita prematura o nel periodo neonatale, assumono per la donna significazioni specifiche, a seconda delle fasi evolutive della gestazione. Le patologie della fisiologia riproduttiva, i miscarriage, sono un fenomeno frequente nei paesi occidentali, di società ad economia avanzata che comportano complesse difficoltà nelle scelte genitoriali. L’apparente prevalenza delle scoperte scientifiche, l’espandersi di tecnologie troppo spesso non sottoposte a prova di efficacia, hanno indotto nelle donne una falsa sicurezza sulle possibilità di prevenire o risolvere i problemi in campo riproduttivo, generando aspettative sempre più irrealistiche: la morte, come evento naturale del ciclo vitale, è sempre meno presente nell’esperienza quotidiana, in un mondo in cui anche l’invecchiamento è procrastinato dalle migliori condizioni di vita e negato dai miti di bellezza e della giovinezza. La morte endouterina – stillbirth – a volte può venire equiparata all’aborto naturale, ma tra questi due tipi di perdita ci sono processi psichici differenti: i movimenti fetali indicano un confine che non è solo legale, ma relazionale e di comunicazione madre-bambino. Se l’aborto avviene agli inizi di una gravidanza, prima della percezione dei movimenti fetali, i vissuti del bambino immaginario sono connessi prevalentemente a “fantasie“ e alla percezione del battito cardiaco, o visiva durante le ecografie, ma con l’avanzamento della gravidanza la presenza del bimbo può essere percepita quotidianamente attraverso i movimenti fetali, che comportano vicissitudini psichiche e fantasie materne diventando l’indicatore principale del benessere fetale, segnando una linea di demarcazione tra la vita e la morte: nei casi di stillbirth, il silenzio e l’assenza di movimento diventano l’espressione della tragica realtà della morte endouterina. Il trauma/dramma della morte endouterina – stillbirth – si colloca nell’ambito della complessità di questi vissuti e assume connotazioni duplici per la donna: il dolore per la morte del bimbo e la sofferenza di dover partorire un bimbo morto. Nell’assistenza ostetrica esistono protocolli su cui si conviene per l’espletamento del parto, naturale o indotto, ma non c’è concordanza invece sulla gestione emotiva e comportamentale a livello di assistenza psicologica: la donna e la coppia sono spesso lasciati soli. Con la morte del bimbo la donna viene colpita nella sua identità di madre, una madre non sufficientemente buona, un corpo femminile che si trasforma da contenitore di vita a contenitore di morte. Nei casi di aborto spontaneo, stillbirth o morte neonatale non resta niente: l’utero è vuoto e le immagini comuni di una madre con in braccio il suo bambino non possono sussistere; in questa dolorosa esperienza “nascita/morte” devono paradossalmente coesistere contemporaneamente. La madre sente che il suo utero è stato “cattivo”, è diventato una “tomba” per il bambino; non può esercitare la funzione genitoriale, c’è un senso di perdita “ho fallito, non sono riuscita a diventare madre, odio il mio corpo…” Le angosce e i fantasmi di morte che possono aver contrassegnato la gravidanza sembrano purtroppo essersi realizzati, e per la donna i vissuti sono doppiamente drammatici e traumatici. I fantasmi di morte che possono aver attraversato i vissuti materni durante la gestazione diventano reali con il prevalere di un fantasma di “cattiva madre”. Per la donna la doppia identificazione con la propria madre e con il figlio deve fare un vorticoso e inaspettato percorso a ritroso: la madre dovrà comunque partorire un bimbo, anche se è morto, e la sua vita non sarà mai più “come prima”. Dovrà risolvere le duplici identificazioni che hanno scandito la gestazione psichica; quella con sua madre, perché lei non diventerà mai più la madre di quel bimbo lì, e anche l’identificazione con il figlio deve concludersi, trasformarsi; dentro di lei ora c’è un bimbo morto, che deve essere espulso perché è una minaccia per la sua vita: la donna può difendersi da questi angosciosi vissuti traumatici con meccanismi di negazione e di dissociazione: “non voglio vedere il bambino, non l’ho fatto io… non è successo nulla, toglietemi questo ingombro dal ventre…” La perdita del bambino è connessa anche alla risoluzione di altri processi fisiologici iniziati con la gestazione: il corpo della madre è biologicamente preparato all’allattamento, ma questo non potrà più essere espletato. La corporeità materna e le vicissitudini fantasmatiche connesse ai processi biologici della gravidanza, sono il ”luogo“ da cui partire per una rielaborazione psichica dei processi connessi al concepimento e alla gestazione, dunque per la madre anche del dramma a seguito della interruzione involontaria della gravidanza o della morte endouterina e della elaborazione del lutto, affinché con il suo corpo possa accogliere una nuova maternità.

Cena L. Morte endouterina: corporeità materna e dramma perinatale

Cena L.
2018-01-01

Abstract

Processi neuropsicobiologici di fallimento del progetto generativo, possono insidiosamente presentarsi in diversi momenti della gestazione: vanno tenuti in considerazione gli aspetti interiori, simbolici connessi a doppia via con i processi biologici della dimensione psicosomatica della gravidanza. Nei casi di aborto spontaneo e di morte endouterina la donna e il suo corpo costituiscono lo scenario primario del dramma perinatale.In questo lavoro si prendono in considerazione gli aspetti complessi dei vissuti materni. La temporalità in cui avviene il doloroso evento, nelle prime fasi della gestazione o successivamente per morte endouterina, così come in seguito per nascita prematura o nel periodo neonatale, assumono per la donna significazioni specifiche, a seconda delle fasi evolutive della gestazione. Le patologie della fisiologia riproduttiva, i miscarriage, sono un fenomeno frequente nei paesi occidentali, di società ad economia avanzata che comportano complesse difficoltà nelle scelte genitoriali. L’apparente prevalenza delle scoperte scientifiche, l’espandersi di tecnologie troppo spesso non sottoposte a prova di efficacia, hanno indotto nelle donne una falsa sicurezza sulle possibilità di prevenire o risolvere i problemi in campo riproduttivo, generando aspettative sempre più irrealistiche: la morte, come evento naturale del ciclo vitale, è sempre meno presente nell’esperienza quotidiana, in un mondo in cui anche l’invecchiamento è procrastinato dalle migliori condizioni di vita e negato dai miti di bellezza e della giovinezza. La morte endouterina – stillbirth – a volte può venire equiparata all’aborto naturale, ma tra questi due tipi di perdita ci sono processi psichici differenti: i movimenti fetali indicano un confine che non è solo legale, ma relazionale e di comunicazione madre-bambino. Se l’aborto avviene agli inizi di una gravidanza, prima della percezione dei movimenti fetali, i vissuti del bambino immaginario sono connessi prevalentemente a “fantasie“ e alla percezione del battito cardiaco, o visiva durante le ecografie, ma con l’avanzamento della gravidanza la presenza del bimbo può essere percepita quotidianamente attraverso i movimenti fetali, che comportano vicissitudini psichiche e fantasie materne diventando l’indicatore principale del benessere fetale, segnando una linea di demarcazione tra la vita e la morte: nei casi di stillbirth, il silenzio e l’assenza di movimento diventano l’espressione della tragica realtà della morte endouterina. Il trauma/dramma della morte endouterina – stillbirth – si colloca nell’ambito della complessità di questi vissuti e assume connotazioni duplici per la donna: il dolore per la morte del bimbo e la sofferenza di dover partorire un bimbo morto. Nell’assistenza ostetrica esistono protocolli su cui si conviene per l’espletamento del parto, naturale o indotto, ma non c’è concordanza invece sulla gestione emotiva e comportamentale a livello di assistenza psicologica: la donna e la coppia sono spesso lasciati soli. Con la morte del bimbo la donna viene colpita nella sua identità di madre, una madre non sufficientemente buona, un corpo femminile che si trasforma da contenitore di vita a contenitore di morte. Nei casi di aborto spontaneo, stillbirth o morte neonatale non resta niente: l’utero è vuoto e le immagini comuni di una madre con in braccio il suo bambino non possono sussistere; in questa dolorosa esperienza “nascita/morte” devono paradossalmente coesistere contemporaneamente. La madre sente che il suo utero è stato “cattivo”, è diventato una “tomba” per il bambino; non può esercitare la funzione genitoriale, c’è un senso di perdita “ho fallito, non sono riuscita a diventare madre, odio il mio corpo…” Le angosce e i fantasmi di morte che possono aver contrassegnato la gravidanza sembrano purtroppo essersi realizzati, e per la donna i vissuti sono doppiamente drammatici e traumatici. I fantasmi di morte che possono aver attraversato i vissuti materni durante la gestazione diventano reali con il prevalere di un fantasma di “cattiva madre”. Per la donna la doppia identificazione con la propria madre e con il figlio deve fare un vorticoso e inaspettato percorso a ritroso: la madre dovrà comunque partorire un bimbo, anche se è morto, e la sua vita non sarà mai più “come prima”. Dovrà risolvere le duplici identificazioni che hanno scandito la gestazione psichica; quella con sua madre, perché lei non diventerà mai più la madre di quel bimbo lì, e anche l’identificazione con il figlio deve concludersi, trasformarsi; dentro di lei ora c’è un bimbo morto, che deve essere espulso perché è una minaccia per la sua vita: la donna può difendersi da questi angosciosi vissuti traumatici con meccanismi di negazione e di dissociazione: “non voglio vedere il bambino, non l’ho fatto io… non è successo nulla, toglietemi questo ingombro dal ventre…” La perdita del bambino è connessa anche alla risoluzione di altri processi fisiologici iniziati con la gestazione: il corpo della madre è biologicamente preparato all’allattamento, ma questo non potrà più essere espletato. La corporeità materna e le vicissitudini fantasmatiche connesse ai processi biologici della gravidanza, sono il ”luogo“ da cui partire per una rielaborazione psichica dei processi connessi al concepimento e alla gestazione, dunque per la madre anche del dramma a seguito della interruzione involontaria della gravidanza o della morte endouterina e della elaborazione del lutto, affinché con il suo corpo possa accogliere una nuova maternità.
2018
978-88-917-6193-4
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