Una caratteristica distintiva delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Information and Communication Technologies - ICT) risiede nella loro natura pervasiva, ossia nella capacità di trovare applicazione non solo in tutto lo spettro delle attività manifatturiere e di servizi, ma anche nei più svariati ambiti della vita quotidiana (Jovanovic e Rousseau, 2005). Questa caratteristica determina due fenomeni peculiari che si accompagnano alla diffusione delle ICT con conseguenze rilevanti nel mercato del lavoro. Da un lato continua a crescere una domanda di competenze digitali trasversale rispetto a occupazioni e settori di attività (OECD, 2016). Dall’altro lato si assiste a una crescente polarizzazione del mercato del lavoro fra mansioni di alto e basso profilo, a scapito delle professionalità intermedie (Michaels et al., 2014). Tale polarizzazione discende direttamente dalla natura programmabile delle ICT, che ne rende possibile ed economicamente conveniente l’utilizzo per automatizzare attività information-intensive ma codificabili, ossia le attività che più frequentemente rientrano nelle mansioni svolte dalle posizioni di medio livello. Risulta invece più costoso e meno efficace sostituire il lavoro degli addetti tramite soluzioni ICT quando le mansioni prevedono compiti più difficilmente codificabili in routine e procedure. Questo è vero sia nel caso di attività cognitive analitiche e relazionali, tipiche delle posizioni che richiedono le competenze più elevate, sia, all’estremo opposto della distribuzione dei ruoli lavorativi, nel caso di compiti incentrati sulla fornitura di sforzo fisico più che intellettuale in ambienti però scarsamente strutturati, prevalenti fra gli addetti con basse competenze (Autor et al., 2003). Il quadro tratteggiato suscita numerosi quesiti circa le direttrici di evoluzione dei mercati del lavoro, a livello macro-economico, e delle pratiche di gestione delle risorse umane adottate a livello di singola impresa per accompagnare e gestire i fenomeni in atto. L’attenzione dedicata anche dai mezzi di comunicazione di massa alla possibilità di un “futuro senza lavoro” in cui le macchine provvedono non solo alla produzione di beni materiali, ma anche alla elaborazione di contenuti (Magnani, 2017), con rilevanti rischi di ulteriore polarizzazione nella distribuzione della ricchezza (Elliott, 2016) sottolinea l’esigenza di analisi scientifiche dedicate a chiarire la consistenza e la portata dei fenomeni in atto anche nel nostro Paese. Questo articolo vuole quindi verificare se è possibile ravvisare nel mercato del lavoro italiano una polarizzazione delle professioni rispetto alla complessità dei contenuti delle mansioni e alla distribuzione delle retribuzioni. Si vuole inoltre indagare se tale polarizzazione appare correlata in misura significativa all’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sul posto di lavoro. L’analisi empirica si avvale di due indagini statistiche effettuate dall’INAPP (l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) presso campioni statisticamente rappresentativi del lavoro dipendente in Italia. La prima indagine è contenuta nell’archivio “Organizzazione, Apprendimento, Competenze” (OAC), che riguarda 3.605 interviste effettuate nel 2004 in Italia presso un campione rappresentativo di addetti nel comparto privato dell’industria manifatturiera e dei servizi e raccoglie informazioni sulle condizioni lavorative e sull’esperienza nel mercato del lavoro. La seconda fonte informativa è offerta dalla rilevazione 2010 sulla Qualità del Lavoro (QdL) in Italia. La QdL è un’indagine periodica che raccoglie informazioni su diverse dimensioni connesse alla qualità dell’esperienza lavorativa, includendo la condizione lavorativa degli occupati, gli obiettivi e le pratiche organizzative delle aziende, le esigenze dei lavoratori e le opportunità di formazione e sviluppo di competenze. L’edizione 2010 include un campione di 5.004 occupati nel settore pubblico e privato. Le analisi statistiche presentate nell’articolo mostrano, anche all’interno del breve intervallo di tempo considerato, segnali di polarizzazione delle occupazioni nel mercato del lavoro italiano in funzione del grado di complessità delle mansioni. La diffusione delle tecnologie digitali risulta inoltre cresciuta a tassi superiori fra le occupazioni non routinarie, per quanto riguarda i profili professionali più qualificati, e fra le occupazioni routinarie, nel caso dei profili professionali meno complessi, suggerendo così un impatto differenziato delle ICT in funzione dei contenuti della mansione. I processi di polarizzazione riscontrati non appaiono però chiaramente collegati alle dinamiche retributive.

La polarizzazione del lavoro nell’era digitale: un’analisi empirica del caso italiano

F. Sgobbi
2017-01-01

Abstract

Una caratteristica distintiva delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Information and Communication Technologies - ICT) risiede nella loro natura pervasiva, ossia nella capacità di trovare applicazione non solo in tutto lo spettro delle attività manifatturiere e di servizi, ma anche nei più svariati ambiti della vita quotidiana (Jovanovic e Rousseau, 2005). Questa caratteristica determina due fenomeni peculiari che si accompagnano alla diffusione delle ICT con conseguenze rilevanti nel mercato del lavoro. Da un lato continua a crescere una domanda di competenze digitali trasversale rispetto a occupazioni e settori di attività (OECD, 2016). Dall’altro lato si assiste a una crescente polarizzazione del mercato del lavoro fra mansioni di alto e basso profilo, a scapito delle professionalità intermedie (Michaels et al., 2014). Tale polarizzazione discende direttamente dalla natura programmabile delle ICT, che ne rende possibile ed economicamente conveniente l’utilizzo per automatizzare attività information-intensive ma codificabili, ossia le attività che più frequentemente rientrano nelle mansioni svolte dalle posizioni di medio livello. Risulta invece più costoso e meno efficace sostituire il lavoro degli addetti tramite soluzioni ICT quando le mansioni prevedono compiti più difficilmente codificabili in routine e procedure. Questo è vero sia nel caso di attività cognitive analitiche e relazionali, tipiche delle posizioni che richiedono le competenze più elevate, sia, all’estremo opposto della distribuzione dei ruoli lavorativi, nel caso di compiti incentrati sulla fornitura di sforzo fisico più che intellettuale in ambienti però scarsamente strutturati, prevalenti fra gli addetti con basse competenze (Autor et al., 2003). Il quadro tratteggiato suscita numerosi quesiti circa le direttrici di evoluzione dei mercati del lavoro, a livello macro-economico, e delle pratiche di gestione delle risorse umane adottate a livello di singola impresa per accompagnare e gestire i fenomeni in atto. L’attenzione dedicata anche dai mezzi di comunicazione di massa alla possibilità di un “futuro senza lavoro” in cui le macchine provvedono non solo alla produzione di beni materiali, ma anche alla elaborazione di contenuti (Magnani, 2017), con rilevanti rischi di ulteriore polarizzazione nella distribuzione della ricchezza (Elliott, 2016) sottolinea l’esigenza di analisi scientifiche dedicate a chiarire la consistenza e la portata dei fenomeni in atto anche nel nostro Paese. Questo articolo vuole quindi verificare se è possibile ravvisare nel mercato del lavoro italiano una polarizzazione delle professioni rispetto alla complessità dei contenuti delle mansioni e alla distribuzione delle retribuzioni. Si vuole inoltre indagare se tale polarizzazione appare correlata in misura significativa all’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sul posto di lavoro. L’analisi empirica si avvale di due indagini statistiche effettuate dall’INAPP (l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) presso campioni statisticamente rappresentativi del lavoro dipendente in Italia. La prima indagine è contenuta nell’archivio “Organizzazione, Apprendimento, Competenze” (OAC), che riguarda 3.605 interviste effettuate nel 2004 in Italia presso un campione rappresentativo di addetti nel comparto privato dell’industria manifatturiera e dei servizi e raccoglie informazioni sulle condizioni lavorative e sull’esperienza nel mercato del lavoro. La seconda fonte informativa è offerta dalla rilevazione 2010 sulla Qualità del Lavoro (QdL) in Italia. La QdL è un’indagine periodica che raccoglie informazioni su diverse dimensioni connesse alla qualità dell’esperienza lavorativa, includendo la condizione lavorativa degli occupati, gli obiettivi e le pratiche organizzative delle aziende, le esigenze dei lavoratori e le opportunità di formazione e sviluppo di competenze. L’edizione 2010 include un campione di 5.004 occupati nel settore pubblico e privato. Le analisi statistiche presentate nell’articolo mostrano, anche all’interno del breve intervallo di tempo considerato, segnali di polarizzazione delle occupazioni nel mercato del lavoro italiano in funzione del grado di complessità delle mansioni. La diffusione delle tecnologie digitali risulta inoltre cresciuta a tassi superiori fra le occupazioni non routinarie, per quanto riguarda i profili professionali più qualificati, e fra le occupazioni routinarie, nel caso dei profili professionali meno complessi, suggerendo così un impatto differenziato delle ICT in funzione dei contenuti della mansione. I processi di polarizzazione riscontrati non appaiono però chiaramente collegati alle dinamiche retributive.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11379/502902
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