Nel panorama dei piani di difesa antiaerea del patrimonio artistico italiano messi a punto dal governo nazionale già alla metà degli anni Trenta, il caso di Roma è evidentemente eccezionale. Infatti, non si trattava solo della città con la più straordinaria concentrazione di monumenti ed opere d’arte del Paese, ma anche della capitale dell’Impero. In questa veste - più che in ogni altro luogo - le sue opere d’arte dovevano dimostrarsi agli occhi del mondo «perfettamente al sicuro». Come è noto, tuttavia, le opere di presidio non poterono essere attuate su vasta scala, né erano in grado di difendere i monumenti in caso di un colpo diretto. Il programma previde dunque che per la capitale la difesa monumentale fosse attuata in due tempi, privilegiando per primi quei monumenti ritenuti più significativi e la cui rovina avrebbe rappresentato «un vero lutto per l’arte». Ma insigni vestigia rimanevano totalmente indifese, sia per motivi economici, sia per problemi di carattere eminentemente tecnico, cui si tentò di ovviare in seguito, istituendo un’apposita Commissione di esperti. La rapida evoluzione della tecnologia bellica e le scelte strategiche dei belligeranti (mediante il vasto impiego di bombe e spezzoni incendiari), inoltre, non garantiva più l’efficacia contro gli incendi delle prime opere di protezione iniziate con urgenza allo scoppio delle ostilità, che prevedevano che i monumenti - preventivamente imbottiti con materiale poco combustibile - fossero riparati da impalcature lignee a sostegno di sacchetti di sabbia. A seguito di clamorosi episodi occorsi in altre città, in cui questi presìdi favorirono l’intensificarsi dei roghi (chiesa di Santa Chiara a Napoli), nel Paese ci fu una diffusa riorganizzazione nei metodi di blindatura. Anche - e soprattutto - a Roma dunque, è possibile individuare una seconda fase di interventi, in cui alle impalcature lignee fu preferito l’utilizzo di murature in cemento armato e laterizio, come nei noti casi delle colonne Traiana ed Antonina.

«Si vis pacem, para bellum!». La protezione antiaerea dei monumenti dell’Urbe (1939-1943)

COCCOLI, Carlotta
2014-01-01

Abstract

Nel panorama dei piani di difesa antiaerea del patrimonio artistico italiano messi a punto dal governo nazionale già alla metà degli anni Trenta, il caso di Roma è evidentemente eccezionale. Infatti, non si trattava solo della città con la più straordinaria concentrazione di monumenti ed opere d’arte del Paese, ma anche della capitale dell’Impero. In questa veste - più che in ogni altro luogo - le sue opere d’arte dovevano dimostrarsi agli occhi del mondo «perfettamente al sicuro». Come è noto, tuttavia, le opere di presidio non poterono essere attuate su vasta scala, né erano in grado di difendere i monumenti in caso di un colpo diretto. Il programma previde dunque che per la capitale la difesa monumentale fosse attuata in due tempi, privilegiando per primi quei monumenti ritenuti più significativi e la cui rovina avrebbe rappresentato «un vero lutto per l’arte». Ma insigni vestigia rimanevano totalmente indifese, sia per motivi economici, sia per problemi di carattere eminentemente tecnico, cui si tentò di ovviare in seguito, istituendo un’apposita Commissione di esperti. La rapida evoluzione della tecnologia bellica e le scelte strategiche dei belligeranti (mediante il vasto impiego di bombe e spezzoni incendiari), inoltre, non garantiva più l’efficacia contro gli incendi delle prime opere di protezione iniziate con urgenza allo scoppio delle ostilità, che prevedevano che i monumenti - preventivamente imbottiti con materiale poco combustibile - fossero riparati da impalcature lignee a sostegno di sacchetti di sabbia. A seguito di clamorosi episodi occorsi in altre città, in cui questi presìdi favorirono l’intensificarsi dei roghi (chiesa di Santa Chiara a Napoli), nel Paese ci fu una diffusa riorganizzazione nei metodi di blindatura. Anche - e soprattutto - a Roma dunque, è possibile individuare una seconda fase di interventi, in cui alle impalcature lignee fu preferito l’utilizzo di murature in cemento armato e laterizio, come nei noti casi delle colonne Traiana ed Antonina.
2014
978-88-8271-333-1
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