È un principio condiviso quello per cui le parti che si ritengano ingiustamente danneggiate dal provvedimento di un magistrato adottato nell’esercizio delle sue funzioni debbano avere la possibilità di far valere le proprie ragioni in un procedimento di natura giurisdizionale. È questa la ratio della disciplina sulla responsabilità civile dei magistrati (rappresentata, in Italia, dalla legge n. 117 del 1988), che deve tuttavia contemperare l’aspetto della responsabilità con quello, costituzionalmente garantito, della tutela dell’indipendenza ed autonomia della magistratura. Fin dalle sue prime applicazioni, la l. 117/88 ha suscitato una generale insoddisfazione, per il basso livello di tutela da essa accordato al cittadino danneggiato, aggravato da un’interpretazione spesso restrittiva, da parte della giurisprudenza (anche costituzionale), delle disposizioni in essa contenute. La stessa è stata fatta oggetto – indirettamente – anche di alcune pronunce della Corte di Giustizia, che hanno sollevato dubbi di compatibilità con il diritto dell’Unione europea (sentenze Köbler del 2003 e Traghetti del Mediterraneo Spa del 2006). In particolare, con la pronuncia Traghetti del Mediterraneo Spa la Corte di Giustizia ha affermato che «il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale», e che «il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente». Molti commentatori hanno sottolineato come tale sentenza abbia fatto emergere la non conformità al diritto europeo della normativa italiana sulla responsabilità civile dei magistrati, «scardinando» l’impianto della l. 117/1988. In realtà, la sentenza della Corte dell’Unione europea si riferisce esclusivamente alla responsabilità dello Stato in conseguenza di violazioni commesse dai suoi organi giurisdizionali, richiedendo al legislatore di porre mano alla normativa in materia di responsabilità statale per superare i limiti attualmente previsti, mentre non fa alcun riferimento alla responsabilità dei magistrati. Tale lettura è peraltro in linea con l’esigenza che il principio della responsabilità di cui all’art. 28 Cost. debba necessariamente essere bilanciato con quello dell’autonomia e indipendenza dei magistrati. Ciò non esclude, tuttavia, che la responsabilità del magistrato possa essere fatta valere in altro modo: eventuali attività illecite del magistrato, che non possano farsi rientrare nel campo d’azione delle norme sulla responsabilità civile, ben potrebbero infatti essere sindacate in sede di controllo disciplinare, ricorrendone i presupposti. Il controllo disciplinare può in tal modo sopperire ai limiti previsti dalla normativa sulla responsabilità civile, fungendo da deterrente nei confronti dei magistrati, i quali, pur non essendo soggetti, in caso di condotta non gravemente colposa ai sensi della l. 117/88, alla sanzione risarcitoria, potrebbero comunque incorrere in una sanzione disciplinare.

Failure to Apply the EU Law and «Internal» Disciplinary Offence

APOSTOLI, Adriana
2010-01-01

Abstract

È un principio condiviso quello per cui le parti che si ritengano ingiustamente danneggiate dal provvedimento di un magistrato adottato nell’esercizio delle sue funzioni debbano avere la possibilità di far valere le proprie ragioni in un procedimento di natura giurisdizionale. È questa la ratio della disciplina sulla responsabilità civile dei magistrati (rappresentata, in Italia, dalla legge n. 117 del 1988), che deve tuttavia contemperare l’aspetto della responsabilità con quello, costituzionalmente garantito, della tutela dell’indipendenza ed autonomia della magistratura. Fin dalle sue prime applicazioni, la l. 117/88 ha suscitato una generale insoddisfazione, per il basso livello di tutela da essa accordato al cittadino danneggiato, aggravato da un’interpretazione spesso restrittiva, da parte della giurisprudenza (anche costituzionale), delle disposizioni in essa contenute. La stessa è stata fatta oggetto – indirettamente – anche di alcune pronunce della Corte di Giustizia, che hanno sollevato dubbi di compatibilità con il diritto dell’Unione europea (sentenze Köbler del 2003 e Traghetti del Mediterraneo Spa del 2006). In particolare, con la pronuncia Traghetti del Mediterraneo Spa la Corte di Giustizia ha affermato che «il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale», e che «il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente». Molti commentatori hanno sottolineato come tale sentenza abbia fatto emergere la non conformità al diritto europeo della normativa italiana sulla responsabilità civile dei magistrati, «scardinando» l’impianto della l. 117/1988. In realtà, la sentenza della Corte dell’Unione europea si riferisce esclusivamente alla responsabilità dello Stato in conseguenza di violazioni commesse dai suoi organi giurisdizionali, richiedendo al legislatore di porre mano alla normativa in materia di responsabilità statale per superare i limiti attualmente previsti, mentre non fa alcun riferimento alla responsabilità dei magistrati. Tale lettura è peraltro in linea con l’esigenza che il principio della responsabilità di cui all’art. 28 Cost. debba necessariamente essere bilanciato con quello dell’autonomia e indipendenza dei magistrati. Ciò non esclude, tuttavia, che la responsabilità del magistrato possa essere fatta valere in altro modo: eventuali attività illecite del magistrato, che non possano farsi rientrare nel campo d’azione delle norme sulla responsabilità civile, ben potrebbero infatti essere sindacate in sede di controllo disciplinare, ricorrendone i presupposti. Il controllo disciplinare può in tal modo sopperire ai limiti previsti dalla normativa sulla responsabilità civile, fungendo da deterrente nei confronti dei magistrati, i quali, pur non essendo soggetti, in caso di condotta non gravemente colposa ai sensi della l. 117/88, alla sanzione risarcitoria, potrebbero comunque incorrere in una sanzione disciplinare.
2010
9788895610115
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