In questi ultimi decenni le forme di violenza, abuso, maltrattamento nei confronti dei minori sono state oggetto di numerose attenzioni da parte di clinici ed operatori esperti, che a vario titolo si occupano di tutela dell’infanzia, con la fondazione anche di centri specializzati (CBM, CISMAI) che hanno portato a forme di protezione istituzionalizzate. Nel 1976, nel primo Congresso Internazionale tenutosi a Ginevra presso l’OMS, l’Europa ha iniziato a interessarsi del problema fondando la International Society for the Prevention of Child Abuse and Neglect. Nel 1979 si costituisce in Italia la International Society For Prevention of Child Abuse (AIPAI), Associazione Italiana per la Prevenzione dell’Abuso all’Infanzia. Facendo riferimento alla tutela dei diritti dell’infanzia, il Consiglio d’Europa (IV Colloquio Criminologico di Strasburgo, 1981), ha indicato come violenza ai danni dell’infanzia quell’insieme di atti e carenze che turbano gravemente il bambino, attentano alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, e che si manifesta con trascuratezza e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che dovrebbero aver cura di lui. La definizione della convenzione dei Diritti dei minori, approvata dall’UNICEF, dall’OMS, dall’UNESCO, dalla Croce Rossa e dall’ONU (1991), fa riferimento al “Danno o abuso fisico o mentale, trascuratezza o trattamento negligente, al maltrattamento, alle diverse forme di sfruttamento e abuso sessuale intese come induzione e coercizione di un bambino/a in attività sessuale illegale, lo sfruttamento nella prostituzione o in altre pratiche sessuali illegali, lo sfruttamento in spettacoli e materiali pornografici, torture o ad altre forme di trattamento o punizione crudeli, inumane o degradanti, allo sfruttamento economico e al coinvolgimento in lavori rischiosi. L’organizzazione mondiale della Sanità (WHO, 2002) ha specificato che il maltrattamento o lo sfruttamento del minore, l’abuso fisico, sessuale e/o emozionale, la trascuratezza, si riferiscono ad ogni atto che determini un danno effettivo o potenziale, che comprometta la salute, la sopravvivenza, lo sviluppo o la dignità del minore, nell’ambito di un rapporto di responsabilità, fiducia o potere. L’interesse per le problematiche relative ai disagi dell’infanzia in epoche precoci dello sviluppo è presente nella ricerca psicologica, soprattutto negli anni del dopoguerra, con gli studi sulla deprivazione delle cure materne da parte di numerosi studiosi come Spitz (1946) e Bowlby. Nel 1950 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) affidò a Bowlby la direzione di una ricerca su bambini che avevano perso la propria famiglia. Il rapporto, redatto nel 1951 con il titolo “Maternal Care and Mental Health”, era fondato su due concetti: quello dell’adeguatezza di cure materne e quello di mancanza di cure materne. Bowlby rivolse la sua attenzione alle istituzioni che si occupavano di adozioni ed affidamenti: le sue riflessioni su questo delicato argomento furono molto negative; egli sostenne infatti che negli istituti gli operatori addetti all’infanzia, anche quelli che fornivano un’accurata assistenza, riuscivano difficilmente ad instaurare rapporti che potessero favorire una crescita emotiva ed affettiva adeguata. Le ricerche, rigorose e confermate sperimentalmente, portarono Bowlby a formulare la Teoria dell’Attaccamento, che favorì una svolta epocale negli studi della psicologia dello sviluppo. A partire dagli anni ’60/’70 gli studi dell’Infant Research misero in evidenza le competenze del bambino già alla nascita e anche prima già in epoca prenatale. Questa nuova prospettiva aprì nuovi orizzonti sulle capacità del bambino, non inteso più come recettore passivo, ma attivo elaboratore e costruttore del proprio sviluppo, con una maggiore attenzione alle influenze dell’ambiente che può favorire la realizzazione o meno delle sue potenzialità di sviluppo. Il testo di Winnicott del 1965 “Sviluppo affettivo e ambiente” è emblematico della svolta importante in letteratura negli studi di psicoanalisi sullo sviluppo del bambino e delle sue relazioni. Vengono prese in attenta considerazione le relazioni con gli adulti significativi e la loro importante funzione affettivo-relazionale. Questi approcci all’infanzia rendono difficile accettare l’idea che vi possano essere “forme intenzionali di crudeltà, di violenza e di malvagità verso i bambini ad opera degli stessi genitori. A lungo si è pensato che l’impulso, lo scoppio d’ira, la perdita di controllo della razionalità fossero segno di non intenzionalità, ma che l’emergere di emozioni forti incontrollate e incontrollabili fossero segno di non intenzionalità, di non volontà di "nuocere”. Di qui la necessità di studiare la formazione della struttura della mente con particolare riferimento a questo tipo di genitori. Gli effetti relativi alla violenza nelle forme sia acute sia croniche implicano l’incidenza di alcune variabili come l’età dei bambini (quanto più precoce è l’età del bambino quanto più questi è vulnerabile), le loro capacità di coping, le difese cognitive e la capacità di esprimere le emozioni in modo più diretto, le modalità con cui reagiscono in termini di azione, pensieri, emozioni, oppure come si intrecciano tra loro esperienze e contesti di sviluppo. Studi in questo settore specifico (Di Blasio et al., 1999) evidenziano la gravità delle conseguenze che la violenza può provocare soprattutto nei soggetti in via di sviluppo: vengono pertanto ricercati indicatori probabili, segnali più o meno tipici che permettano di attivare processi di prevenzione della violenza sui minori, individuando anche forme di trattamento e presa in carico dei servizi sociali. Diverse possono essere le forme di violenza, in cui possono incorrere le piccole vittime: forme esplicite e rilevabili, altre più occulte e subdole, che possono anche coesistere; l’importante è poter individuare i possibili fattori di rischio e le possibili conseguenze. Accanto ai fattori di rischio tuttavia vanno individuati i fattori protettivi, che possono modificare le traiettorie evolutive del rischio e dunque determinare anche in modo inatteso una buona capacità di resilienza da parte dell’infante. Oltre ai fattori patogeni vanno studiati dunque anche i fattori protettivi e soprattutto le caratteristiche che essi assumono nella interazione con i possibili fattori di rischio, e con tutte le eventuali condizioni negative.

Cena Loredana-Maltrattamenti, abusi, trascuratezza dell’infanzia: teoria dell’attaccamento, psicoanalisi e neuroscienze

CENA, Loredana
Writing – Review & Editing
2015-01-01

Abstract

In questi ultimi decenni le forme di violenza, abuso, maltrattamento nei confronti dei minori sono state oggetto di numerose attenzioni da parte di clinici ed operatori esperti, che a vario titolo si occupano di tutela dell’infanzia, con la fondazione anche di centri specializzati (CBM, CISMAI) che hanno portato a forme di protezione istituzionalizzate. Nel 1976, nel primo Congresso Internazionale tenutosi a Ginevra presso l’OMS, l’Europa ha iniziato a interessarsi del problema fondando la International Society for the Prevention of Child Abuse and Neglect. Nel 1979 si costituisce in Italia la International Society For Prevention of Child Abuse (AIPAI), Associazione Italiana per la Prevenzione dell’Abuso all’Infanzia. Facendo riferimento alla tutela dei diritti dell’infanzia, il Consiglio d’Europa (IV Colloquio Criminologico di Strasburgo, 1981), ha indicato come violenza ai danni dell’infanzia quell’insieme di atti e carenze che turbano gravemente il bambino, attentano alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, e che si manifesta con trascuratezza e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che dovrebbero aver cura di lui. La definizione della convenzione dei Diritti dei minori, approvata dall’UNICEF, dall’OMS, dall’UNESCO, dalla Croce Rossa e dall’ONU (1991), fa riferimento al “Danno o abuso fisico o mentale, trascuratezza o trattamento negligente, al maltrattamento, alle diverse forme di sfruttamento e abuso sessuale intese come induzione e coercizione di un bambino/a in attività sessuale illegale, lo sfruttamento nella prostituzione o in altre pratiche sessuali illegali, lo sfruttamento in spettacoli e materiali pornografici, torture o ad altre forme di trattamento o punizione crudeli, inumane o degradanti, allo sfruttamento economico e al coinvolgimento in lavori rischiosi. L’organizzazione mondiale della Sanità (WHO, 2002) ha specificato che il maltrattamento o lo sfruttamento del minore, l’abuso fisico, sessuale e/o emozionale, la trascuratezza, si riferiscono ad ogni atto che determini un danno effettivo o potenziale, che comprometta la salute, la sopravvivenza, lo sviluppo o la dignità del minore, nell’ambito di un rapporto di responsabilità, fiducia o potere. L’interesse per le problematiche relative ai disagi dell’infanzia in epoche precoci dello sviluppo è presente nella ricerca psicologica, soprattutto negli anni del dopoguerra, con gli studi sulla deprivazione delle cure materne da parte di numerosi studiosi come Spitz (1946) e Bowlby. Nel 1950 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) affidò a Bowlby la direzione di una ricerca su bambini che avevano perso la propria famiglia. Il rapporto, redatto nel 1951 con il titolo “Maternal Care and Mental Health”, era fondato su due concetti: quello dell’adeguatezza di cure materne e quello di mancanza di cure materne. Bowlby rivolse la sua attenzione alle istituzioni che si occupavano di adozioni ed affidamenti: le sue riflessioni su questo delicato argomento furono molto negative; egli sostenne infatti che negli istituti gli operatori addetti all’infanzia, anche quelli che fornivano un’accurata assistenza, riuscivano difficilmente ad instaurare rapporti che potessero favorire una crescita emotiva ed affettiva adeguata. Le ricerche, rigorose e confermate sperimentalmente, portarono Bowlby a formulare la Teoria dell’Attaccamento, che favorì una svolta epocale negli studi della psicologia dello sviluppo. A partire dagli anni ’60/’70 gli studi dell’Infant Research misero in evidenza le competenze del bambino già alla nascita e anche prima già in epoca prenatale. Questa nuova prospettiva aprì nuovi orizzonti sulle capacità del bambino, non inteso più come recettore passivo, ma attivo elaboratore e costruttore del proprio sviluppo, con una maggiore attenzione alle influenze dell’ambiente che può favorire la realizzazione o meno delle sue potenzialità di sviluppo. Il testo di Winnicott del 1965 “Sviluppo affettivo e ambiente” è emblematico della svolta importante in letteratura negli studi di psicoanalisi sullo sviluppo del bambino e delle sue relazioni. Vengono prese in attenta considerazione le relazioni con gli adulti significativi e la loro importante funzione affettivo-relazionale. Questi approcci all’infanzia rendono difficile accettare l’idea che vi possano essere “forme intenzionali di crudeltà, di violenza e di malvagità verso i bambini ad opera degli stessi genitori. A lungo si è pensato che l’impulso, lo scoppio d’ira, la perdita di controllo della razionalità fossero segno di non intenzionalità, ma che l’emergere di emozioni forti incontrollate e incontrollabili fossero segno di non intenzionalità, di non volontà di "nuocere”. Di qui la necessità di studiare la formazione della struttura della mente con particolare riferimento a questo tipo di genitori. Gli effetti relativi alla violenza nelle forme sia acute sia croniche implicano l’incidenza di alcune variabili come l’età dei bambini (quanto più precoce è l’età del bambino quanto più questi è vulnerabile), le loro capacità di coping, le difese cognitive e la capacità di esprimere le emozioni in modo più diretto, le modalità con cui reagiscono in termini di azione, pensieri, emozioni, oppure come si intrecciano tra loro esperienze e contesti di sviluppo. Studi in questo settore specifico (Di Blasio et al., 1999) evidenziano la gravità delle conseguenze che la violenza può provocare soprattutto nei soggetti in via di sviluppo: vengono pertanto ricercati indicatori probabili, segnali più o meno tipici che permettano di attivare processi di prevenzione della violenza sui minori, individuando anche forme di trattamento e presa in carico dei servizi sociali. Diverse possono essere le forme di violenza, in cui possono incorrere le piccole vittime: forme esplicite e rilevabili, altre più occulte e subdole, che possono anche coesistere; l’importante è poter individuare i possibili fattori di rischio e le possibili conseguenze. Accanto ai fattori di rischio tuttavia vanno individuati i fattori protettivi, che possono modificare le traiettorie evolutive del rischio e dunque determinare anche in modo inatteso una buona capacità di resilienza da parte dell’infante. Oltre ai fattori patogeni vanno studiati dunque anche i fattori protettivi e soprattutto le caratteristiche che essi assumono nella interazione con i possibili fattori di rischio, e con tutte le eventuali condizioni negative.
2015
978-88-917-1013-0
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