Le prime concezioni psicoanalitiche sullo sviluppo infantile si sono fondate sul modello energetico-pulsionale intrapsichico freudiano centrato su una serie di fasi di sviluppo, focalizzate sul complesso edipico come nucleo centrale della vita psichica. Pur avendo intuito l’importanza relazionale e i processi di tranfert e controtransfert presenti nel processo analitico, Freud ha tuttavia strutturato principalmente la sua teorizzazione su processi di difesa dalle pulsioni. L’importanza della relazione primaria del bambino con i suoi genitori, viene invece ritenuta di considerevole importanza da Ferenczi (1929) per lo sviluppo della personalità. Sarà la Klein a portare l’attenzione prevalente sulla relazione, anche se la sua “psicoanalisi dei bambini” viene condotta individualmente. La Klein (1932) struttura la tecnica del gioco dimostrando come tale tecnica permetta di rispettare nell’analisi infantile i principi teorici e tecnici su cui si fonda l’analisi degli adulti. Nella situazione di gioco, i bimbi possono esprimere aspetti di sé e fantasie inconsce delle proprie interazioni con i genitori che possono venire interpretati dall’analista attraverso le libere associazioni, come per i sogni nell’adulto. Nel gioco il bambino esprime sentimenti precoci che possono essere osservati mentre vengono vissuti e riattualizzati durante l’azione ludica. Il merito della Klein sta nell’aver colto il ripetersi di certi accadimenti nella psiche del bambino, evidenziando in ambito teorico processi costanti della mente infantile: ciò ha consentito un passaggio dalla osservazione clinica a successive formulazioni teoriche dello sviluppo psichico infantile. L’autrice evidenzia l’importanza dell’analisi del transfert, quando si attiva un intervento psicoterapeutico con il bimbo: questo argomento ha sollecitato non poche discussioni e controversie soprattutto in opposizione a Anna Freud. Questa infatti (1965), al contrario della Klein, ritiene che la tecnica del gioco non possa essere utilizzata similmente alle libere associazioni dell’adulto, perché il bimbo, non avendo consapevolezza di essere in analisi, non riesce a rappresentarsi la sua guarigione e dunque non potrebbe attivare il transfert sul terapeuta. Attraverso la tecnica dell’osservazione infantile, interviene con i bimbi mediante tecniche dirette e molto attive, sensibilizzandoli al loro disagio. Winnicott evidenzia come “A uno stadio molto precoce non è logico pensare a un individuo. Se si comincia a descrivere un bambino si scoprirà che si sta descrivendo un bambino e qualcun altro. Un bambino non può esistere da solo, ma è sostanzialmente una parte di una relazione” (Winnicott, 1987). Bion (1962) propone il concetto di “rêverie materna”, definita come quel particolare “stato sognante” in cui la madre dialoga con il proprio bambino, accogliendo i suoi stati affettivi negativi e restituendoglieli “bonificati”, cioè con una attribuzione di significato. Questo gli consente di poter così elaborare altre modalità di pensiero. Dunque, soprattutto con Winnicott (1970) e successivamente con Kreisler (1981), è stato possibile focalizzare meglio l’importanza, per lo sviluppo mentale precoce, della influenza della relazione con la figura di accudimento primaria: è la qualità dunque della relazione a determinare lo stato di salute psichica e psicosomatica dello sviluppo ed è l’influenza della relazione con la figura di accudimento primaria a favorire la manifestazione di problematiche che possano anche sfociare in patologie. Osservando le prime interazioni madre-neonato si può evidenziare come l’effetto patogeno di vissuti rimossi sia agito dalla madre nell’interazione precoce con il bimbo (Cramer, Stern, 1988), e come la madre può mettere in gioco con il suo bimbo i conflitti e le angosce che hanno animato la relazione primaria con la propria madre (Kreisler, Cramer, 1981). Si inizia così a ipotizzare una trasmissione intergenerazionale degli affetti. I processi di regolazione madre-bambino si presentano a progressivi livelli di complessità: nei primi mesi si organizzano come microregolazioni descritte da Stern (Stern,1977). Con il termine di “sintonizzazioni affettive”, Stern descrive eventi al di fuori della consapevolezza che riguardano momenti interattivi positivi tra il neonato e le figure di accudimento, in particolare la madre. È stata osservata una similitudine tra gli scambi affettivi che intercorrono nella relazione primaria tra la madre e il bambino con quelli tra terapeuta e paziente: questi particolari aspetti sarebbero alla base delle potenzialità trasformative delle relazioni. Il genitore si sintonizza con lo stato affettivo del bimbo e rispecchiandone il comportamento lo traduce in differenti modalità espressive, utilizzando canali comunicativi diversi: questo scambio costituisce la base su cui il bambino fonda i propri apprendimenti e impara a modulare le sue risposte verso il mondo esterno (Stern et al., 1984). Nei primi tempi della vita del bimbo, il genitore, in particolare la madre, si trova in un particolare stato affettivo definito (Stern, 1995) “costellazione materna”, in cui la dipendenza del figlio e il suo accudimento hanno caratteristiche predominanti per l’organizzazione psichica (Stern et al., 1999). Stern contribuisce a implementare di dati l’area di intersezione tra la psicoanalisi e la psicologia dello sviluppo, focalizzando l’attenzione sugli scambi affettivi tra genitore e bambino: con la tecnica della microanalisi delle interazioni genitore-bambino e evidenzia come si sviluppi già nel bambino piccolo un “senso del Sé” (Stern, 1985), attraverso una continuità di esperienze di condivisione di significati e affetti (1986, 1988) entro la relazione con il caregiver. Sin dai primi tempi della vita sarebbe presente una concezione di un sé in relazione con l’altro (1983) che contribuisce ad una esperienza strutturante di organizzazione psichica nel bambino (1989). Il senso del sé ha il suo fondamento nella esperienza di condivisione degli affetti (1990) che il bimbo sperimenta nella relazione con il genitore: attraverso una continuità di rapporti sarà possibile per il bimbo una generalizzazione degli schemi e delle rappresentazioni degli eventi condivisi con il genitore, che gli consentirà di crearsi delle aspettative e confrontarsi rispetto a nuove interazioni sociali. Gli studi nell’ambito dell’Infant Research e della psicologia dello sviluppo con le teorie interattivo-costruzioniste hanno evidenziato come le competenze percettive presenti già alla nascita si esplichino entro lo scambio comunicativo primario nella coppia genitore-bambino e consentano la nascita del pensiero: il neonato è in grado di stabilire forme di interazione differenziate con l’altro, che gli permettono di ricevere e di elaborare informazioni. Questa dotazione iniziale non è innata ma viene appresa precocemente in epoca neonatale, addirittura prenatale, attraverso l’interazione gestante/feto. Nelle attuali ricerche, la nascita del pensiero viene collocata nelle prime relazioni affettive che il neonato stabilisce con la madre o con chi svolge la funzione di caregiver: è l’introiezione di queste prime esperienze a costituire le basi poi di quelle future, comunicative, relazionali e di pensiero dell’individuo. Lo sviluppo di un sistema relazionale si manifesta attraverso l’attenzione e la cura delle figure affettive di riferimento, mediante una regolazione di reciproche interazioni che consentono al bimbo di sviluppare un senso di Sé. La ricerca in questo settore ha avuto un impulso notevole dopo la seconda metà del secolo scorso e si rivolge soprattutto ad indagare i dati relativi allo sviluppo mentale all’interno della relazione madre-bambino: a partire dalla vita fetale e attraverso le esperienze di interazione con il corpo della madre si costiuirebbe una progressiva costruzione di strutture mentali primarie. La relazione con i genitori viene via via ad assumere nell’ambito della letteratura una valenza fondamentale per lo sviluppo infantile (Sameroff, Emde, 1989); i problemi del bimbo non possono più venire letti solo a livello intrapsichico, ma c’è un coinvolgimento degli aspetti di relazione con il caregiver. Quanto più il bimbo è piccolo, quanto più la relazione di dipendenza è caratterizzata dall’“unità” e la terapia deve prendere in considerazione modalità diverse di trattamento, in cui la diade genitorebambino si pone nella sua complessità: si fa riferimento così a “disturbi relazionali” e l’obiettivo allora diventa intervenire sulle modalità disfunzionali attraverso i membri della relazione, bimbo e caregiver simultaneamente

Cena Loredana-La “consultazione terapeutica”nel periodo perinatale

CENA, Loredana
2015-01-01

Abstract

Le prime concezioni psicoanalitiche sullo sviluppo infantile si sono fondate sul modello energetico-pulsionale intrapsichico freudiano centrato su una serie di fasi di sviluppo, focalizzate sul complesso edipico come nucleo centrale della vita psichica. Pur avendo intuito l’importanza relazionale e i processi di tranfert e controtransfert presenti nel processo analitico, Freud ha tuttavia strutturato principalmente la sua teorizzazione su processi di difesa dalle pulsioni. L’importanza della relazione primaria del bambino con i suoi genitori, viene invece ritenuta di considerevole importanza da Ferenczi (1929) per lo sviluppo della personalità. Sarà la Klein a portare l’attenzione prevalente sulla relazione, anche se la sua “psicoanalisi dei bambini” viene condotta individualmente. La Klein (1932) struttura la tecnica del gioco dimostrando come tale tecnica permetta di rispettare nell’analisi infantile i principi teorici e tecnici su cui si fonda l’analisi degli adulti. Nella situazione di gioco, i bimbi possono esprimere aspetti di sé e fantasie inconsce delle proprie interazioni con i genitori che possono venire interpretati dall’analista attraverso le libere associazioni, come per i sogni nell’adulto. Nel gioco il bambino esprime sentimenti precoci che possono essere osservati mentre vengono vissuti e riattualizzati durante l’azione ludica. Il merito della Klein sta nell’aver colto il ripetersi di certi accadimenti nella psiche del bambino, evidenziando in ambito teorico processi costanti della mente infantile: ciò ha consentito un passaggio dalla osservazione clinica a successive formulazioni teoriche dello sviluppo psichico infantile. L’autrice evidenzia l’importanza dell’analisi del transfert, quando si attiva un intervento psicoterapeutico con il bimbo: questo argomento ha sollecitato non poche discussioni e controversie soprattutto in opposizione a Anna Freud. Questa infatti (1965), al contrario della Klein, ritiene che la tecnica del gioco non possa essere utilizzata similmente alle libere associazioni dell’adulto, perché il bimbo, non avendo consapevolezza di essere in analisi, non riesce a rappresentarsi la sua guarigione e dunque non potrebbe attivare il transfert sul terapeuta. Attraverso la tecnica dell’osservazione infantile, interviene con i bimbi mediante tecniche dirette e molto attive, sensibilizzandoli al loro disagio. Winnicott evidenzia come “A uno stadio molto precoce non è logico pensare a un individuo. Se si comincia a descrivere un bambino si scoprirà che si sta descrivendo un bambino e qualcun altro. Un bambino non può esistere da solo, ma è sostanzialmente una parte di una relazione” (Winnicott, 1987). Bion (1962) propone il concetto di “rêverie materna”, definita come quel particolare “stato sognante” in cui la madre dialoga con il proprio bambino, accogliendo i suoi stati affettivi negativi e restituendoglieli “bonificati”, cioè con una attribuzione di significato. Questo gli consente di poter così elaborare altre modalità di pensiero. Dunque, soprattutto con Winnicott (1970) e successivamente con Kreisler (1981), è stato possibile focalizzare meglio l’importanza, per lo sviluppo mentale precoce, della influenza della relazione con la figura di accudimento primaria: è la qualità dunque della relazione a determinare lo stato di salute psichica e psicosomatica dello sviluppo ed è l’influenza della relazione con la figura di accudimento primaria a favorire la manifestazione di problematiche che possano anche sfociare in patologie. Osservando le prime interazioni madre-neonato si può evidenziare come l’effetto patogeno di vissuti rimossi sia agito dalla madre nell’interazione precoce con il bimbo (Cramer, Stern, 1988), e come la madre può mettere in gioco con il suo bimbo i conflitti e le angosce che hanno animato la relazione primaria con la propria madre (Kreisler, Cramer, 1981). Si inizia così a ipotizzare una trasmissione intergenerazionale degli affetti. I processi di regolazione madre-bambino si presentano a progressivi livelli di complessità: nei primi mesi si organizzano come microregolazioni descritte da Stern (Stern,1977). Con il termine di “sintonizzazioni affettive”, Stern descrive eventi al di fuori della consapevolezza che riguardano momenti interattivi positivi tra il neonato e le figure di accudimento, in particolare la madre. È stata osservata una similitudine tra gli scambi affettivi che intercorrono nella relazione primaria tra la madre e il bambino con quelli tra terapeuta e paziente: questi particolari aspetti sarebbero alla base delle potenzialità trasformative delle relazioni. Il genitore si sintonizza con lo stato affettivo del bimbo e rispecchiandone il comportamento lo traduce in differenti modalità espressive, utilizzando canali comunicativi diversi: questo scambio costituisce la base su cui il bambino fonda i propri apprendimenti e impara a modulare le sue risposte verso il mondo esterno (Stern et al., 1984). Nei primi tempi della vita del bimbo, il genitore, in particolare la madre, si trova in un particolare stato affettivo definito (Stern, 1995) “costellazione materna”, in cui la dipendenza del figlio e il suo accudimento hanno caratteristiche predominanti per l’organizzazione psichica (Stern et al., 1999). Stern contribuisce a implementare di dati l’area di intersezione tra la psicoanalisi e la psicologia dello sviluppo, focalizzando l’attenzione sugli scambi affettivi tra genitore e bambino: con la tecnica della microanalisi delle interazioni genitore-bambino e evidenzia come si sviluppi già nel bambino piccolo un “senso del Sé” (Stern, 1985), attraverso una continuità di esperienze di condivisione di significati e affetti (1986, 1988) entro la relazione con il caregiver. Sin dai primi tempi della vita sarebbe presente una concezione di un sé in relazione con l’altro (1983) che contribuisce ad una esperienza strutturante di organizzazione psichica nel bambino (1989). Il senso del sé ha il suo fondamento nella esperienza di condivisione degli affetti (1990) che il bimbo sperimenta nella relazione con il genitore: attraverso una continuità di rapporti sarà possibile per il bimbo una generalizzazione degli schemi e delle rappresentazioni degli eventi condivisi con il genitore, che gli consentirà di crearsi delle aspettative e confrontarsi rispetto a nuove interazioni sociali. Gli studi nell’ambito dell’Infant Research e della psicologia dello sviluppo con le teorie interattivo-costruzioniste hanno evidenziato come le competenze percettive presenti già alla nascita si esplichino entro lo scambio comunicativo primario nella coppia genitore-bambino e consentano la nascita del pensiero: il neonato è in grado di stabilire forme di interazione differenziate con l’altro, che gli permettono di ricevere e di elaborare informazioni. Questa dotazione iniziale non è innata ma viene appresa precocemente in epoca neonatale, addirittura prenatale, attraverso l’interazione gestante/feto. Nelle attuali ricerche, la nascita del pensiero viene collocata nelle prime relazioni affettive che il neonato stabilisce con la madre o con chi svolge la funzione di caregiver: è l’introiezione di queste prime esperienze a costituire le basi poi di quelle future, comunicative, relazionali e di pensiero dell’individuo. Lo sviluppo di un sistema relazionale si manifesta attraverso l’attenzione e la cura delle figure affettive di riferimento, mediante una regolazione di reciproche interazioni che consentono al bimbo di sviluppare un senso di Sé. La ricerca in questo settore ha avuto un impulso notevole dopo la seconda metà del secolo scorso e si rivolge soprattutto ad indagare i dati relativi allo sviluppo mentale all’interno della relazione madre-bambino: a partire dalla vita fetale e attraverso le esperienze di interazione con il corpo della madre si costiuirebbe una progressiva costruzione di strutture mentali primarie. La relazione con i genitori viene via via ad assumere nell’ambito della letteratura una valenza fondamentale per lo sviluppo infantile (Sameroff, Emde, 1989); i problemi del bimbo non possono più venire letti solo a livello intrapsichico, ma c’è un coinvolgimento degli aspetti di relazione con il caregiver. Quanto più il bimbo è piccolo, quanto più la relazione di dipendenza è caratterizzata dall’“unità” e la terapia deve prendere in considerazione modalità diverse di trattamento, in cui la diade genitorebambino si pone nella sua complessità: si fa riferimento così a “disturbi relazionali” e l’obiettivo allora diventa intervenire sulle modalità disfunzionali attraverso i membri della relazione, bimbo e caregiver simultaneamente
2015
978-88-917-1013-0
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