In Psicologia Clinica Perinatale si utilizzano metodologie e strumenti di rilevazione dei dati che possono essere più o meno standardizzati, come i self report o i colloqui clinici: negli ultimi decenni tali dati possono venire integrati con i rilievi della psicobiologia e delle neuroscienze che attraverso evidenze biochimiche, neuroimaging, tracce EEG sustanziano quanto rilevato negli eventi psichici. L’osservazione è tra le metodologie d’indagine quella elettiva in Psicologia Clinica Perinatale , permette di valutare lo sviluppo del neonato e del bimbo : indispensabile se è ancora feto in utero o nei primi anni di vita, quando non ha possibilità di descrivere i suoi comportamenti, sentimenti, bisogni. L’osservazione non è di per sé una metodologia obiettiva, come quelle psicobiologiche o neuroscientifiche, nel senso di consentire una registrazione diretta e fedele della realtà attraverso strumentazioni elettromedicali, ma è esposta al rischio della soggettività, della parzialità dell’osservatore e agli errori o distorsioni che ne derivano. Osservare, benché non sia interpretare la realtà, è tuttavia un momento intermedio tra la percezione del fenomeno e la sua interpretazione. E d’altra parte anche la percezione risente di fattori soggettivi. Per tali caratteristiche inerenti all’osservatore umano, l’utilizzo dell’osservazione può soltanto approssimarsi, il più possibile, all’obbiettività: per ridurre appunto questa approssimazione, una conoscenza più oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile, deve fondarsi su procedure rigorose del metodo, con la formulazione di ipotesi, verifica sperimentale, raccolta dati, loro codifica e interpreta zione, convalidati dagli apporti di altre discipline. Per essere considerata una metodologia scientifica l’osservazione implica l’attivazione di un procedimento selettivo che si differenzia dal semplice guardare: l’osservatore si propone uno scopo e formula delle ipotesi, sulle quali pensa di ottenere delle informazioni. L’osservazione clinica perinatale non è mai un processo casuale ma deve essere programmata, inserita in un progetto con riferimento ad un modello esplicativo teorico che ne indichi le procedure controllate da seguire nella raccolta dati, cioè sistematiche, ripetibili e comunicabili, in un campo delimitato di indagine, orientata da idee, ipotesi e teorie. Per poter osservare in modo valido è necessario identificare delle variabili obiettive e controllabili che possano essere circoscritte attraverso categorie descrivibili e misurabili; la procedura deve essere ripetibile da altri osservatori e i risultati comunicabili secondo parametri obiettivi; i dati vanno registrati in maniera sistematica ed essere messi in relazione con proposizioni più generali, piuttosto che presentarsi come un insieme di curiosità interessanti. Il bimbo in epoca prenatale, monitorato attraverso le ecografie, poi osservato neonato e nei primi due anni di vita insieme i suoi genitori, sono l’“oggetto di studio” della Psicologia Clinica Perinatale: tali oggetti di indagine sono completamente differenti da quelli delle scienze della natura e questo rende il processo osservativo in una propria complessità. La durata e la frequenza delle osservazioni, così come gli strumenti usati per registrare i dati osservati dipendono prevalentemente dall’approccio teorico di riferimento: possono essere diversi il contesto (naturale, artificiale), le procedure di osservazione (diretta, indiretta), l’osservatore (neutrale, partecipe), i soggetti osservati (spontanei, guidati). In psicologia perinatale gli obiettivi possono essere diversi: è possibile osservare per acquisire e approfondire conoscenze per la ricerca o per valutare e poi intervenire in ambito clinico. Queste due finalità, di ricerca e clinica possono integrarsi e si arricchiscono vicendevolmente, anche se utilizzano strumenti, modalità e hanno obiettivi e motivazioni differenti. L’ambito clinico comporta l’uso dell’osservazione nella consultazione e nell’intervento terapeutico, l’ambito di ricerca consente di utilizzare l’osservazione a scopo conoscitivo. Il contesto in cui si svolge l’osservazione ha una sua particolare importanza in quanto può essere naturale o semi-strutturato o strutturato, a seconda se vengono inserite e controllate alcune variabili per avere parametri di confronto uniformi. L’osservazione in un contesto naturale è stata una delle prime metodologie utilizzate dalla psicoanalisi: successivamente la Teoria dell’Attaccamento e l’Infant Research hanno sviluppato altre metodologie osservative di tipo sperimentale, in cui si può osservare il soggetto e la sua relazione diadica o triadica in laboratorio, attraverso l’introduzione di alcune variabili che aiutano il clinico e il ricercatore a studiare fenomeni che altrimenti non sarebbe possibile rilevare con l’osservazione naturalistica. I contesti naturale e sperimentale forniscono elementi indispensabili che vanno utilizzati in modo integrato: il contesto naturale permette di osservare il comportamento nelle sue manifestazioni spontanee, mentre la situazione sperimentale consente di avere ulteriori dati che non sono direttamente osservabili nel setting naturale, in quanto introduce variabili che possono essere controllate e modificate dall’osservatore. L’osservazione può essere condotta con modalità dirette e indirette a seconda se l’osservatore è presente nel contesto osservativo e registra gli eventi osservati senza interferire o cercando di fare meno interferenza possibile; quando l’osservatore non può raccogliere direttamente i dati osservativi o lo studio di eventi è difficilmente attuabile in contesti naturali o in laboratorio, è possibile raccogliere le informazioni necessarie attraverso l’utilizzo di interviste e questionari. Ciò che caratterizza l’osservazione è anche la relazione osservatore- osservato: questa è una delle modalità specifiche introdotte nella metodologia osservativa della psicoanalisi e che consente di raccogliere ulteriori dati sulle variabili emotivo-affettive del contesto e dei soggetti. La psicoanalisi ai suoi albori non ha utilizzato subito l’osservazione infantile: Freud ricavava i dati dell’infanzia dell’adulto in analisi, retrospettivamente. Le sue osservazioni dei bambini sono principalmente indirette, raccogliendo i dati osservativi dai resoconti dei genitori. È la figlia di Freud, Anna (1949, 1957), con l’“Osservazione del bambino” (1951) a introdurre questa metodologia di indagine sistematica, durante l’infanzia. Con Melanie Klein (1932) e la scuola inglese si afferma l’idea che, se si riesce ad intervenire precocemente con appropriati trattamenti, è possibile riscontrare miglioramenti o evitare stati anche gravi di disagio. Nel testo “Sull’osservazione del comportamento dei bambini nel primo anno di vita” (1952), la Klein mette in evidenza come il bambino esprima sentimenti precoci che possono essere osservati mentre vengono vissuti e riattualizzati durante l’azione ludica. Il merito della Klein sta nell’aver osservato il ripetersi di certi accadimenti nella psiche del bambino (1961), che permettono di rilevare in ambito teorico processi costanti della mente infantile: ciò ha consentito un passaggio dalla osservazione clinica a formulazioni teoriche dello sviluppo psichico infantile. Winnicott, in “L’Osservazione dei bambini piccoli in una situazione prefissata” (1941), pone l’accento sulla situazione relazionale e sostiene che debba essere osservata la diade madre/bambino come un’unità. Anche Spitz (1965) osserva i bimbi, nel “Primo anno di vita del bambino”, in situazioni di deprivazione affettiva, ed evidenzia come crescere entro contesti relazionali sia una condizione indispensabile per la formazione di strutture psichiche che consentano all’individuo di rapportarsi adeguatamente al mondo esterno: per conoscere le strutture psicologiche di un bimbo occorre indagare le caratteristiche e la qualità delle sue relazioni primarie. Se un buon rapporto con la madre consente un armonico sviluppo psicofisico, un legame disadatto può condurre a stati di disagio e di psicopatologia. La metodologia dell’Infant-Observation, messa a punto dalla Bick (1964) e poi dalla Harris (1980), dà una svolta decisiva alla metodologia dell’osservazione clinica del neonato. L’infant observation è una osservazione naturalistica, nell’ambiente in cui vive il piccolo, attraverso un rigoroso setting. L’osservatore è neutrale e partecipe al tempo stesso, segue l’evoluzione dell’unicità della relazione che si struttura all’interno della diade madre-bambino che poi descrive minuziosamente, in un successivo protocollo in cui evidenzia anche le emozioni provate: questo aspetto metodologico è fondamentale in quanto consente all’osservatore di partecipare all’atmosfera emozionale nella quale il bambino vive e cresce, e gli consente di affinare la sua capacità di rapportare gli stati emozionali della madre con quelli che osserva nel bambino, e di confrontare il supporto fornito dalla madre in rapporto ai bisogni fisici emotivi e cognitivi del bambino.

Cena Loredana, Imbasciati Antonio-L’Osservazione clinica perinatale e l’approccio psicobiologico allo studio delle prime relazioni genitore-bambino

CENA, Loredana
Writing – Review & Editing
;
2015-01-01

Abstract

In Psicologia Clinica Perinatale si utilizzano metodologie e strumenti di rilevazione dei dati che possono essere più o meno standardizzati, come i self report o i colloqui clinici: negli ultimi decenni tali dati possono venire integrati con i rilievi della psicobiologia e delle neuroscienze che attraverso evidenze biochimiche, neuroimaging, tracce EEG sustanziano quanto rilevato negli eventi psichici. L’osservazione è tra le metodologie d’indagine quella elettiva in Psicologia Clinica Perinatale , permette di valutare lo sviluppo del neonato e del bimbo : indispensabile se è ancora feto in utero o nei primi anni di vita, quando non ha possibilità di descrivere i suoi comportamenti, sentimenti, bisogni. L’osservazione non è di per sé una metodologia obiettiva, come quelle psicobiologiche o neuroscientifiche, nel senso di consentire una registrazione diretta e fedele della realtà attraverso strumentazioni elettromedicali, ma è esposta al rischio della soggettività, della parzialità dell’osservatore e agli errori o distorsioni che ne derivano. Osservare, benché non sia interpretare la realtà, è tuttavia un momento intermedio tra la percezione del fenomeno e la sua interpretazione. E d’altra parte anche la percezione risente di fattori soggettivi. Per tali caratteristiche inerenti all’osservatore umano, l’utilizzo dell’osservazione può soltanto approssimarsi, il più possibile, all’obbiettività: per ridurre appunto questa approssimazione, una conoscenza più oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile, deve fondarsi su procedure rigorose del metodo, con la formulazione di ipotesi, verifica sperimentale, raccolta dati, loro codifica e interpreta zione, convalidati dagli apporti di altre discipline. Per essere considerata una metodologia scientifica l’osservazione implica l’attivazione di un procedimento selettivo che si differenzia dal semplice guardare: l’osservatore si propone uno scopo e formula delle ipotesi, sulle quali pensa di ottenere delle informazioni. L’osservazione clinica perinatale non è mai un processo casuale ma deve essere programmata, inserita in un progetto con riferimento ad un modello esplicativo teorico che ne indichi le procedure controllate da seguire nella raccolta dati, cioè sistematiche, ripetibili e comunicabili, in un campo delimitato di indagine, orientata da idee, ipotesi e teorie. Per poter osservare in modo valido è necessario identificare delle variabili obiettive e controllabili che possano essere circoscritte attraverso categorie descrivibili e misurabili; la procedura deve essere ripetibile da altri osservatori e i risultati comunicabili secondo parametri obiettivi; i dati vanno registrati in maniera sistematica ed essere messi in relazione con proposizioni più generali, piuttosto che presentarsi come un insieme di curiosità interessanti. Il bimbo in epoca prenatale, monitorato attraverso le ecografie, poi osservato neonato e nei primi due anni di vita insieme i suoi genitori, sono l’“oggetto di studio” della Psicologia Clinica Perinatale: tali oggetti di indagine sono completamente differenti da quelli delle scienze della natura e questo rende il processo osservativo in una propria complessità. La durata e la frequenza delle osservazioni, così come gli strumenti usati per registrare i dati osservati dipendono prevalentemente dall’approccio teorico di riferimento: possono essere diversi il contesto (naturale, artificiale), le procedure di osservazione (diretta, indiretta), l’osservatore (neutrale, partecipe), i soggetti osservati (spontanei, guidati). In psicologia perinatale gli obiettivi possono essere diversi: è possibile osservare per acquisire e approfondire conoscenze per la ricerca o per valutare e poi intervenire in ambito clinico. Queste due finalità, di ricerca e clinica possono integrarsi e si arricchiscono vicendevolmente, anche se utilizzano strumenti, modalità e hanno obiettivi e motivazioni differenti. L’ambito clinico comporta l’uso dell’osservazione nella consultazione e nell’intervento terapeutico, l’ambito di ricerca consente di utilizzare l’osservazione a scopo conoscitivo. Il contesto in cui si svolge l’osservazione ha una sua particolare importanza in quanto può essere naturale o semi-strutturato o strutturato, a seconda se vengono inserite e controllate alcune variabili per avere parametri di confronto uniformi. L’osservazione in un contesto naturale è stata una delle prime metodologie utilizzate dalla psicoanalisi: successivamente la Teoria dell’Attaccamento e l’Infant Research hanno sviluppato altre metodologie osservative di tipo sperimentale, in cui si può osservare il soggetto e la sua relazione diadica o triadica in laboratorio, attraverso l’introduzione di alcune variabili che aiutano il clinico e il ricercatore a studiare fenomeni che altrimenti non sarebbe possibile rilevare con l’osservazione naturalistica. I contesti naturale e sperimentale forniscono elementi indispensabili che vanno utilizzati in modo integrato: il contesto naturale permette di osservare il comportamento nelle sue manifestazioni spontanee, mentre la situazione sperimentale consente di avere ulteriori dati che non sono direttamente osservabili nel setting naturale, in quanto introduce variabili che possono essere controllate e modificate dall’osservatore. L’osservazione può essere condotta con modalità dirette e indirette a seconda se l’osservatore è presente nel contesto osservativo e registra gli eventi osservati senza interferire o cercando di fare meno interferenza possibile; quando l’osservatore non può raccogliere direttamente i dati osservativi o lo studio di eventi è difficilmente attuabile in contesti naturali o in laboratorio, è possibile raccogliere le informazioni necessarie attraverso l’utilizzo di interviste e questionari. Ciò che caratterizza l’osservazione è anche la relazione osservatore- osservato: questa è una delle modalità specifiche introdotte nella metodologia osservativa della psicoanalisi e che consente di raccogliere ulteriori dati sulle variabili emotivo-affettive del contesto e dei soggetti. La psicoanalisi ai suoi albori non ha utilizzato subito l’osservazione infantile: Freud ricavava i dati dell’infanzia dell’adulto in analisi, retrospettivamente. Le sue osservazioni dei bambini sono principalmente indirette, raccogliendo i dati osservativi dai resoconti dei genitori. È la figlia di Freud, Anna (1949, 1957), con l’“Osservazione del bambino” (1951) a introdurre questa metodologia di indagine sistematica, durante l’infanzia. Con Melanie Klein (1932) e la scuola inglese si afferma l’idea che, se si riesce ad intervenire precocemente con appropriati trattamenti, è possibile riscontrare miglioramenti o evitare stati anche gravi di disagio. Nel testo “Sull’osservazione del comportamento dei bambini nel primo anno di vita” (1952), la Klein mette in evidenza come il bambino esprima sentimenti precoci che possono essere osservati mentre vengono vissuti e riattualizzati durante l’azione ludica. Il merito della Klein sta nell’aver osservato il ripetersi di certi accadimenti nella psiche del bambino (1961), che permettono di rilevare in ambito teorico processi costanti della mente infantile: ciò ha consentito un passaggio dalla osservazione clinica a formulazioni teoriche dello sviluppo psichico infantile. Winnicott, in “L’Osservazione dei bambini piccoli in una situazione prefissata” (1941), pone l’accento sulla situazione relazionale e sostiene che debba essere osservata la diade madre/bambino come un’unità. Anche Spitz (1965) osserva i bimbi, nel “Primo anno di vita del bambino”, in situazioni di deprivazione affettiva, ed evidenzia come crescere entro contesti relazionali sia una condizione indispensabile per la formazione di strutture psichiche che consentano all’individuo di rapportarsi adeguatamente al mondo esterno: per conoscere le strutture psicologiche di un bimbo occorre indagare le caratteristiche e la qualità delle sue relazioni primarie. Se un buon rapporto con la madre consente un armonico sviluppo psicofisico, un legame disadatto può condurre a stati di disagio e di psicopatologia. La metodologia dell’Infant-Observation, messa a punto dalla Bick (1964) e poi dalla Harris (1980), dà una svolta decisiva alla metodologia dell’osservazione clinica del neonato. L’infant observation è una osservazione naturalistica, nell’ambiente in cui vive il piccolo, attraverso un rigoroso setting. L’osservatore è neutrale e partecipe al tempo stesso, segue l’evoluzione dell’unicità della relazione che si struttura all’interno della diade madre-bambino che poi descrive minuziosamente, in un successivo protocollo in cui evidenzia anche le emozioni provate: questo aspetto metodologico è fondamentale in quanto consente all’osservatore di partecipare all’atmosfera emozionale nella quale il bambino vive e cresce, e gli consente di affinare la sua capacità di rapportare gli stati emozionali della madre con quelli che osserva nel bambino, e di confrontare il supporto fornito dalla madre in rapporto ai bisogni fisici emotivi e cognitivi del bambino.
2015
978-88-917-1013-0
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