Nel presente lavoro si vuole focalizzare il ruolo della motricità fetale nella comunicazione che intercorre tra la gestante e il suo bimbo e che, dopo le comunicazioni umorali dei primi mesi di gravidanza, conferisce a questa comunicazione un carattere più strettamente psichico, fondando una effettiva “relazione”, che sarà la matrice non solo delle vicende psicosomatiche perinatali, ma anche del futuro sviluppo psichico del neonato e del bimbo. Milani Comparetti riferisce della motricità del “bambino in utero” (Milani Comparetti, 1981) utilizzando in specifico la terminologia “bambino” per sottolineare che usare il termine feto pone troppe differenze tra il periodo della vita pre e postnatale: in realtà c’è tutta una continuità motoria nello sviluppo, dai primi patterns motori primari – PMP – individuati presenti dalla decima alla ventesima settimana, propri della specie e senza finalità funzionale, fino ai movimenti con valenze attive, e quindi comunicative. Prechtl (1984) fa riferimento ad una relazione di continuità tra tutta la motricità prenatale e quella dopo la nascita, mentre la maggior parte di altri autori la individuano solo in certi aspetti comportamentali, come ad esempio nei movimenti di stretching-rolling (Patrick, 1982), o nella ciclicità motoria ricorrente durante gli stati di sonno (Robertson, 1985, 1987), oppure in riferimento al movimento degli occhi e del corpo sempre durante gli stati di sonno (Pillai, James 1990). Le differenze sessuali sono un’altra variabile considerata dalla ricerca sperimentale (Almli, Ball, Wheeler, 2001), che dimostra una continuità tra i movimenti pre-natali e perinatali più evidente nelle femmine che nei maschi, sempre circoscritta agli stati di sonno. Nella vita fetale viene prodotto un numero enorme di cellule nervose e di sinapsi: l’esercizio motorio sembrerebbe essere funzionale perché alcune parti del sistema nervoso che si manifestano efficaci possano rimanere, mentre le altre regrediscono. Alcuni movimenti come la rotazione del capo e gli stiramenti non hanno una funzione durante la vita intrauterina, ma successivamente, perché necessari per la partecipazione attiva del bambino durante il parto. Anche nei movimenti non coordinati si possono individuare caratteristiche funzionali, come ad esempio l’attivazione dei muscoli estensori e flessori, prodromici di una successiva deambulazione precoce. Il movimento ha la funzione di permettere la specializzazione e il consolidamento anche del midollo spinale, che con l’encefalo controllerà e guiderà il movimento della vita postnatale. Dunque l’attività motoria serve al feto per imparare progressive ulteriori capacità di movimenti più organizzati. Ragionevole è allora considerare quanto la risposta materna possa modulare tali apprendimenti. Mentre le caratteristiche dei movimenti fetali e la loro epoca di insorgenza sembrano stabili, almeno nelle gravidanze fisiologiche, si riscontrano invece differenze interindividuali nella frequenza dei vari tipi di movimento riscontrabili in correlazione con le modalità di azioni quotidiane della madre, connesse principalmente ai ritmi sonno-veglia. La specificità motoria, come per altre competenze riscontrabili nello sviluppo, definisce le peculiari caratteristiche che contraddistinguono un feto dall’altro, che potremmo forse, azzardando, chiamare una sorta di “identità fetale”. Al momento attuale non conosciamo bene il significato che queste differenze tra un feto e l’altro potranno avere sulla vita futura del bambino ed in particolare sulle caratteristiche postnatali del comportamento, tuttavia è ragionevole supporre che abbiamo una qualche relazione con la successiva costruzione della mente. Dalle ecografie e dalle descrizioni delle donne è evidente che ci sono feti più in movimento di altri. L’influenza più o meno elevata di produzione materna di ormoni, può senz’altro modulare la quantità di movimenti fetali. La produzione di ormoni è però a sua volta in relazione con le funzioni emozionali che si attivano nella madre durante la gravidanza. Dunque attraverso la via ormonale il sistema emozionale della madre modulerebbe l’acquisizione motoria del feto. Tra madre e feto lo scambio emotivo avviene attraverso molteplici forme di interazione biochimica: se lo stato emotivo materno è piacevole e positivo, il feto ne trae benefici (endorfine e catecolamine), se invece lo scambio emozionale è negativo il feto può subire una forte scarica adrenalinica. Le emozioni materne possono dunque influenzare in vario modo lo sviluppo neurocomportamentale fetale: situazioni di depressione materna sarebbero origine di stati di minore attività motoria e irritabilità del feto (Field, 1995; Dipiero, 1996). Lo stress psicologico materno può essere fonte di disturbi neurobiologici fetali: in particolare è evidenziabile l’influenza negativa degli stati di ansia e di condizioni prolungate di stress materno con un aumento della attività motoria fetale che si manifesta con pattern abnormali e disorganizzati e periodi di ipocinesia. Situazioni particolarmente stressanti nella vita della madre gestante sono correlate a complicazioni e rischi ostetrici, come nascite premature o presentazioni difficili o comunque difficoltà nel travaglio. La comunicazione emotiva tra madre e feto è comunque dimostrata da molte ricerche sperimentali. Per esempio, se si stimola la gestante con immagini emotigene, rispettivamente attivanti o rilassanti, si riscontrano ecograficamente nel feto variazioni della motricità che dicono di una avvenuta comunicazione. La Piontelli (1987, 1988) sottolinea come ogni feto manifesti differenze comportamentali che con certe modalità proseguono in ambito neonatale, anche se le esperienze e la natura dell’ambiente dopo la nascita mutano. L’autrice sottolinea che le esperienze prenatali possano avere risonanze emozionali profonde sul bambino, in modo determinante sul suo futuro sviluppo, soprattutto se gli eventi sono rinforzati da successive esperienze neonatali. Tutti gli autori sono concordi sul fatto che i movimenti fetali, che segnalano alla donna in modo tangibile la presenza concreta di un essere separato da lei, sono una linea di demarcazione importante nell’evoluzione del processo di gestazione: la linea oltre la quale lo sviluppo del bimbo è essenzialmente prodotto dalla comunicazione che avviene tra di lui e la madre. I movimenti fetali sembrano essere correlati inversamente a quelli della madre: dai monitoraggi emerge che il feto sembra maggiormente muoversi quando questa si riposa. La distribuzione della quantità di movimenti nell’arco della giornata è opposto a quello della madre: si muove durante la notte e meno al mattino. La produzione di acido lattico, che raggiunge il livello massimo quando la madre riposa dopo una attività, può essere uno stimolo ai movimenti fetali . Nelle ore notturne il feto si muove di più, mentre quando la madre riprende la sua attività avviene il contrario. Questa alternanza comunicativa sembra simile a quella che si ritrova alla nascita, tra madre e bambino, e che viene descritta da Stern (1985) come “danza”, perché presenta ritmicità e alternanza comunicativa. Quando la madre si muove, è come se il feto attraverso i movimenti partecipasse alla sua comunicazione, fatta di gesti e ritualità quotidiane; è come se imparasse attraverso ad essi a conoscere la “sua mamma”, il suo carattere, le sue abitudini, i suoi interessi, il suo lavoro, il suo benessere e il suo stress. Quando la mamma si riposa e lo può “ascoltare”, il bimbo inizia la sua comunicazione attraverso i movimenti fetali e inizia a farsi conoscere dalla sua mamma. Può così avere inizio un dialogo che la mamma, e il padre, possono modulare, anche attraverso stimolazioni addominali come massaggi, carezze, e voci rivolte direttamente al bimbo. Soldera (Soldera, 1995) riporta descrizioni di come vengano in genere avvertiti questi movimenti dalle donne: ricorre a descrizioni gioiose che li paragonano a carezze, borboglii, ad una specie di onda che massaggia l’interno del ventre. La percezione dei movimenti del feto rende più consapevole la donna di una effettiva e viva presenza dentro di lei, con cui può iniziare a comunicare e relazionarsi, massaggiandosi il ventre. Il feto comunque sollecitato da contatti aptonomici, può reagire con un comportamento motorio: e la madre attenta e sensibile ai segnali del feto potrà avviare una comunicazione primaria attraverso un primitivo codice non verbale. Il significato comunicativo attribuito ai movimenti fetali è però di più complessa dimostrazione. Il bambino in utero “fa le sue proposte”: secondo Milani Comparetti (1981) il suo movimento ha un senso e una finalità rivolti all’ambiente esterno. La madre può cogliere questi segnali e tentare di decodificarli: potrà interpretarli con “oggi è agitato”, oppure ”è addormentato”; in altri termini ella risponde alle fantasie che tali movimenti evocano in lei. I movimenti fetali comunicano dunque in relazione alla interpretazione che ne fa la madre, ma è proprio questa che ne restituisce al bimbo un “significato”: ella dà significato ai movimenti del bimbo e pertanto gli insegna a modularli secondo un dialogo. Stern (Stern et al., 1999) afferma che le madri si raffigurano i movimenti del bambino all’interno dell’utero per poi aggiungerli al profilo che va definendosi del loro bambino fantasticato, e a cui iniziano ad attribuire tratti di carattere. Si tende cioè a dare un senso al comportamento del bambino, assegnando significati ad ogni movimento che compie, con attribuzioni di senso. Queste “proiezioni” della madre introducono il bambino nel mondo simbolico dell’adulto. Lo stimolo percettivo verrebbe utilizzato dalla madre per dare sfogo a tutte le fantasie relative a come sarà il suo bambino, al carattere che avrà, a che cosa farà, e via dicendo: in tal modo il bambino opererà identificazioni coi tratti del carattere e coi comportamenti dei genitori. In termini psicoanalitici più precisi possiamo dire che la madre opera “identificazioni proiettive”, che immettono nel bimbo significati. Questi, in quanto modulati dalla madre, spiegano la trasmissione di modalità psichiche dalla madre al bimbo. Una comunicazione come sopra descritta, basata sulle interpretazioni, o attribuzioni, date dalla madre ai segnali del bimbo induce a importanti ipotesi. Visto che in tal “dialogo” la madre introduce, per così dire, elementi simbolici propri, e quindi immette nel bimbo parte delle sue strutture mentali, viene da considerare quanto questa trasmissione possa essere fondamentale per lo sviluppo mentale del bimbo, ed ancor più quanto questo sviluppo dipenda dalla “qualità” degli elementi mentali introdotti dalla madre: e quanto una patologia materna possa essere indotta, anzi introdotta nel figlio già in epoca fetale. Più semplicemente, nella misura in cui la madre è attenta a rispondere adeguatamente ai segnali del bimbo, dando loro un significato adeguato all’interazione e quindi ad un armonico sviluppo mentale per il bimbo stesso in quel momento, possiamo presumere che questi svilupperà una disposizione alla simbolizzazione: dunque poi anche al linguaggio e alla sua futura autonoma capacità relazionale, probabilmente ottimale. Nella misura invece in cui una madre, poco attenta alla decodifica dei segnali del bimbo, gli immetterà quasi a forza elementi suoi propri, senza molto dialogare e molto di più intrusivamente inducendogli le sue strutture funzionali, verrebbe da ipotizzare che questo bimbo (forse per la formazione di “oggetti cattivi”) crescerà sviluppando atteggiamenti di pensiero passivi, oppure al contrario oppositivi, ma comunque con scarse disposizioni, a sua volta, al dialogo interpersonale. Le strutture protomentali si trasmettono così di generazione in generazione. Un importante cambiamento della motricità del feto si verifica nella seconda metà della gravidanza. Sono possibili percezioni di maggiori contrazioni uterine che si manifestano con un indurimento e poi progressivo rilassamento dell’addome. Tali contrazioni suscitano stati di forte ansia scatenata dai conflitti connessi al pregresso sviluppo psicosessuale che, se non sono sufficientemente metabolizzati, possono condurre ad una situazione di ipertonia muscolare uterina, che scatenerà a sua volta un ulteriore aumento della motricità fetale: si attiva un anomalo circuito che si autoalimenta, per cui contratture uterine daranno origine a una motricità fetale scorretta e via di seguito. La comunicazione motoria gestante/feto va pertanto ben oltre il significato comunicazionale isolato della percezione da parte della madre dei movimenti attivi fetali: questi si integrano in una più vasta e continuativa comunicazione motoria, a sua volta integrata nella più generale comunica zione tattile, propriocettivo-motoria, umorale, nonché mediata da altre vie sensoriali, per esempio sonore. Ciò che accade nella mente della madre, pertanto, costituisce oggetto centrale per lo studio della relazione gestante/feto e per l’individuazione di indici prognostici sul futuro sviluppo del bimbo.

Cena Loredana-La vita psichica primaria: movimenti fetali e origini neurobiologiche dell’Intersoggettività

CENA, Loredana
Writing – Review & Editing
2015-01-01

Abstract

Nel presente lavoro si vuole focalizzare il ruolo della motricità fetale nella comunicazione che intercorre tra la gestante e il suo bimbo e che, dopo le comunicazioni umorali dei primi mesi di gravidanza, conferisce a questa comunicazione un carattere più strettamente psichico, fondando una effettiva “relazione”, che sarà la matrice non solo delle vicende psicosomatiche perinatali, ma anche del futuro sviluppo psichico del neonato e del bimbo. Milani Comparetti riferisce della motricità del “bambino in utero” (Milani Comparetti, 1981) utilizzando in specifico la terminologia “bambino” per sottolineare che usare il termine feto pone troppe differenze tra il periodo della vita pre e postnatale: in realtà c’è tutta una continuità motoria nello sviluppo, dai primi patterns motori primari – PMP – individuati presenti dalla decima alla ventesima settimana, propri della specie e senza finalità funzionale, fino ai movimenti con valenze attive, e quindi comunicative. Prechtl (1984) fa riferimento ad una relazione di continuità tra tutta la motricità prenatale e quella dopo la nascita, mentre la maggior parte di altri autori la individuano solo in certi aspetti comportamentali, come ad esempio nei movimenti di stretching-rolling (Patrick, 1982), o nella ciclicità motoria ricorrente durante gli stati di sonno (Robertson, 1985, 1987), oppure in riferimento al movimento degli occhi e del corpo sempre durante gli stati di sonno (Pillai, James 1990). Le differenze sessuali sono un’altra variabile considerata dalla ricerca sperimentale (Almli, Ball, Wheeler, 2001), che dimostra una continuità tra i movimenti pre-natali e perinatali più evidente nelle femmine che nei maschi, sempre circoscritta agli stati di sonno. Nella vita fetale viene prodotto un numero enorme di cellule nervose e di sinapsi: l’esercizio motorio sembrerebbe essere funzionale perché alcune parti del sistema nervoso che si manifestano efficaci possano rimanere, mentre le altre regrediscono. Alcuni movimenti come la rotazione del capo e gli stiramenti non hanno una funzione durante la vita intrauterina, ma successivamente, perché necessari per la partecipazione attiva del bambino durante il parto. Anche nei movimenti non coordinati si possono individuare caratteristiche funzionali, come ad esempio l’attivazione dei muscoli estensori e flessori, prodromici di una successiva deambulazione precoce. Il movimento ha la funzione di permettere la specializzazione e il consolidamento anche del midollo spinale, che con l’encefalo controllerà e guiderà il movimento della vita postnatale. Dunque l’attività motoria serve al feto per imparare progressive ulteriori capacità di movimenti più organizzati. Ragionevole è allora considerare quanto la risposta materna possa modulare tali apprendimenti. Mentre le caratteristiche dei movimenti fetali e la loro epoca di insorgenza sembrano stabili, almeno nelle gravidanze fisiologiche, si riscontrano invece differenze interindividuali nella frequenza dei vari tipi di movimento riscontrabili in correlazione con le modalità di azioni quotidiane della madre, connesse principalmente ai ritmi sonno-veglia. La specificità motoria, come per altre competenze riscontrabili nello sviluppo, definisce le peculiari caratteristiche che contraddistinguono un feto dall’altro, che potremmo forse, azzardando, chiamare una sorta di “identità fetale”. Al momento attuale non conosciamo bene il significato che queste differenze tra un feto e l’altro potranno avere sulla vita futura del bambino ed in particolare sulle caratteristiche postnatali del comportamento, tuttavia è ragionevole supporre che abbiamo una qualche relazione con la successiva costruzione della mente. Dalle ecografie e dalle descrizioni delle donne è evidente che ci sono feti più in movimento di altri. L’influenza più o meno elevata di produzione materna di ormoni, può senz’altro modulare la quantità di movimenti fetali. La produzione di ormoni è però a sua volta in relazione con le funzioni emozionali che si attivano nella madre durante la gravidanza. Dunque attraverso la via ormonale il sistema emozionale della madre modulerebbe l’acquisizione motoria del feto. Tra madre e feto lo scambio emotivo avviene attraverso molteplici forme di interazione biochimica: se lo stato emotivo materno è piacevole e positivo, il feto ne trae benefici (endorfine e catecolamine), se invece lo scambio emozionale è negativo il feto può subire una forte scarica adrenalinica. Le emozioni materne possono dunque influenzare in vario modo lo sviluppo neurocomportamentale fetale: situazioni di depressione materna sarebbero origine di stati di minore attività motoria e irritabilità del feto (Field, 1995; Dipiero, 1996). Lo stress psicologico materno può essere fonte di disturbi neurobiologici fetali: in particolare è evidenziabile l’influenza negativa degli stati di ansia e di condizioni prolungate di stress materno con un aumento della attività motoria fetale che si manifesta con pattern abnormali e disorganizzati e periodi di ipocinesia. Situazioni particolarmente stressanti nella vita della madre gestante sono correlate a complicazioni e rischi ostetrici, come nascite premature o presentazioni difficili o comunque difficoltà nel travaglio. La comunicazione emotiva tra madre e feto è comunque dimostrata da molte ricerche sperimentali. Per esempio, se si stimola la gestante con immagini emotigene, rispettivamente attivanti o rilassanti, si riscontrano ecograficamente nel feto variazioni della motricità che dicono di una avvenuta comunicazione. La Piontelli (1987, 1988) sottolinea come ogni feto manifesti differenze comportamentali che con certe modalità proseguono in ambito neonatale, anche se le esperienze e la natura dell’ambiente dopo la nascita mutano. L’autrice sottolinea che le esperienze prenatali possano avere risonanze emozionali profonde sul bambino, in modo determinante sul suo futuro sviluppo, soprattutto se gli eventi sono rinforzati da successive esperienze neonatali. Tutti gli autori sono concordi sul fatto che i movimenti fetali, che segnalano alla donna in modo tangibile la presenza concreta di un essere separato da lei, sono una linea di demarcazione importante nell’evoluzione del processo di gestazione: la linea oltre la quale lo sviluppo del bimbo è essenzialmente prodotto dalla comunicazione che avviene tra di lui e la madre. I movimenti fetali sembrano essere correlati inversamente a quelli della madre: dai monitoraggi emerge che il feto sembra maggiormente muoversi quando questa si riposa. La distribuzione della quantità di movimenti nell’arco della giornata è opposto a quello della madre: si muove durante la notte e meno al mattino. La produzione di acido lattico, che raggiunge il livello massimo quando la madre riposa dopo una attività, può essere uno stimolo ai movimenti fetali . Nelle ore notturne il feto si muove di più, mentre quando la madre riprende la sua attività avviene il contrario. Questa alternanza comunicativa sembra simile a quella che si ritrova alla nascita, tra madre e bambino, e che viene descritta da Stern (1985) come “danza”, perché presenta ritmicità e alternanza comunicativa. Quando la madre si muove, è come se il feto attraverso i movimenti partecipasse alla sua comunicazione, fatta di gesti e ritualità quotidiane; è come se imparasse attraverso ad essi a conoscere la “sua mamma”, il suo carattere, le sue abitudini, i suoi interessi, il suo lavoro, il suo benessere e il suo stress. Quando la mamma si riposa e lo può “ascoltare”, il bimbo inizia la sua comunicazione attraverso i movimenti fetali e inizia a farsi conoscere dalla sua mamma. Può così avere inizio un dialogo che la mamma, e il padre, possono modulare, anche attraverso stimolazioni addominali come massaggi, carezze, e voci rivolte direttamente al bimbo. Soldera (Soldera, 1995) riporta descrizioni di come vengano in genere avvertiti questi movimenti dalle donne: ricorre a descrizioni gioiose che li paragonano a carezze, borboglii, ad una specie di onda che massaggia l’interno del ventre. La percezione dei movimenti del feto rende più consapevole la donna di una effettiva e viva presenza dentro di lei, con cui può iniziare a comunicare e relazionarsi, massaggiandosi il ventre. Il feto comunque sollecitato da contatti aptonomici, può reagire con un comportamento motorio: e la madre attenta e sensibile ai segnali del feto potrà avviare una comunicazione primaria attraverso un primitivo codice non verbale. Il significato comunicativo attribuito ai movimenti fetali è però di più complessa dimostrazione. Il bambino in utero “fa le sue proposte”: secondo Milani Comparetti (1981) il suo movimento ha un senso e una finalità rivolti all’ambiente esterno. La madre può cogliere questi segnali e tentare di decodificarli: potrà interpretarli con “oggi è agitato”, oppure ”è addormentato”; in altri termini ella risponde alle fantasie che tali movimenti evocano in lei. I movimenti fetali comunicano dunque in relazione alla interpretazione che ne fa la madre, ma è proprio questa che ne restituisce al bimbo un “significato”: ella dà significato ai movimenti del bimbo e pertanto gli insegna a modularli secondo un dialogo. Stern (Stern et al., 1999) afferma che le madri si raffigurano i movimenti del bambino all’interno dell’utero per poi aggiungerli al profilo che va definendosi del loro bambino fantasticato, e a cui iniziano ad attribuire tratti di carattere. Si tende cioè a dare un senso al comportamento del bambino, assegnando significati ad ogni movimento che compie, con attribuzioni di senso. Queste “proiezioni” della madre introducono il bambino nel mondo simbolico dell’adulto. Lo stimolo percettivo verrebbe utilizzato dalla madre per dare sfogo a tutte le fantasie relative a come sarà il suo bambino, al carattere che avrà, a che cosa farà, e via dicendo: in tal modo il bambino opererà identificazioni coi tratti del carattere e coi comportamenti dei genitori. In termini psicoanalitici più precisi possiamo dire che la madre opera “identificazioni proiettive”, che immettono nel bimbo significati. Questi, in quanto modulati dalla madre, spiegano la trasmissione di modalità psichiche dalla madre al bimbo. Una comunicazione come sopra descritta, basata sulle interpretazioni, o attribuzioni, date dalla madre ai segnali del bimbo induce a importanti ipotesi. Visto che in tal “dialogo” la madre introduce, per così dire, elementi simbolici propri, e quindi immette nel bimbo parte delle sue strutture mentali, viene da considerare quanto questa trasmissione possa essere fondamentale per lo sviluppo mentale del bimbo, ed ancor più quanto questo sviluppo dipenda dalla “qualità” degli elementi mentali introdotti dalla madre: e quanto una patologia materna possa essere indotta, anzi introdotta nel figlio già in epoca fetale. Più semplicemente, nella misura in cui la madre è attenta a rispondere adeguatamente ai segnali del bimbo, dando loro un significato adeguato all’interazione e quindi ad un armonico sviluppo mentale per il bimbo stesso in quel momento, possiamo presumere che questi svilupperà una disposizione alla simbolizzazione: dunque poi anche al linguaggio e alla sua futura autonoma capacità relazionale, probabilmente ottimale. Nella misura invece in cui una madre, poco attenta alla decodifica dei segnali del bimbo, gli immetterà quasi a forza elementi suoi propri, senza molto dialogare e molto di più intrusivamente inducendogli le sue strutture funzionali, verrebbe da ipotizzare che questo bimbo (forse per la formazione di “oggetti cattivi”) crescerà sviluppando atteggiamenti di pensiero passivi, oppure al contrario oppositivi, ma comunque con scarse disposizioni, a sua volta, al dialogo interpersonale. Le strutture protomentali si trasmettono così di generazione in generazione. Un importante cambiamento della motricità del feto si verifica nella seconda metà della gravidanza. Sono possibili percezioni di maggiori contrazioni uterine che si manifestano con un indurimento e poi progressivo rilassamento dell’addome. Tali contrazioni suscitano stati di forte ansia scatenata dai conflitti connessi al pregresso sviluppo psicosessuale che, se non sono sufficientemente metabolizzati, possono condurre ad una situazione di ipertonia muscolare uterina, che scatenerà a sua volta un ulteriore aumento della motricità fetale: si attiva un anomalo circuito che si autoalimenta, per cui contratture uterine daranno origine a una motricità fetale scorretta e via di seguito. La comunicazione motoria gestante/feto va pertanto ben oltre il significato comunicazionale isolato della percezione da parte della madre dei movimenti attivi fetali: questi si integrano in una più vasta e continuativa comunicazione motoria, a sua volta integrata nella più generale comunica zione tattile, propriocettivo-motoria, umorale, nonché mediata da altre vie sensoriali, per esempio sonore. Ciò che accade nella mente della madre, pertanto, costituisce oggetto centrale per lo studio della relazione gestante/feto e per l’individuazione di indici prognostici sul futuro sviluppo del bimbo.
2015
978-88-917-10130
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