La relazione di continuità tra quella che è stata la nostra vita prenatale e la successiva vita neonatale era stata oggetto di riflessione psicoanalitica già da parte di Freud (1925) e di alcuni suoi allievi come Ferenczi (1924) e Rank (1924). Altri studiosi, come Graber (1924), Minkowsky (1928), successivamente Spelt (1948), si sono espressi sulle vicissitudini dello sviluppo fetale. Le prime psicoanaliste, come la Helen Deutsch (1945), la Benedek (1956), la Bibring (1959, 1961) ed altre, se ne sono occupate meno direttamente, perché si sono orientate a sviluppare le vicissitudini della gravidanza e del parto nella donna, seppur mantenendo un riferimento implicito anche alle vicissitudini fetali collegate alle dinamiche psichiche materne. La Sontag (1944, 1965) fa riferimento alla interazione madre-feto e sottolinea come non avvenga soltanto una trasmissione di tipo biologico-metabolica, ma di stati emozionali: le situazioni d’ansia nella madre ad esempio darebbero luogo ad un incremento della motricità fetale che permane oltre la nascita, nel bambino, con la manifestazione di disturbi relativi ad una maggiore irritabilità e reattività. Dopo gli anni ’70 c’è un proliferare di studi in questo settore della ricerca, con scienziati di diversa formazione che hanno indagato le competenze fetali, percettive e mnestiche, da vertici teorici differenti come Rascovsky (1977), Laing (1978), Bertini et al. (1978), Chamberlain (1988), De Casper e Fifer (1980), Ianniruberto e Tajani (1981), Milani Comparetti (1981), Hepper (1988), Mancia (1989), Piontelli (1987), Negri et al. (1990), Moser (1994), Righetti (2000) e molti ancora, sino a più recenti contributi: nel 1989 (Cena, 1989) sono anche iniziati i nostri studi nel settore. Altri autori in ambito psicoanalitico, come Bion (1962), Meltzer (1980), Stern (1987), Bucci (1997), Dennet (1978), Lichtenberg (1989), Wallerstein (1965), Imbasciati (1998), (Manfredi, Imbasciati, 2004), Mc-Dougall (1989), Mitchell (2000), Fonagy (2001), hanno interpretato i dati relativi allo sviluppo mentale e rilevato l’importanza delle primarie relazioni per lo strutturarsi della mente nascente. Il grande impulso ricevuto dalle ricerche sulla vita prenatale è stato indubbiamente dovuto all’avvento delle tecniche ecografiche che hanno consentito l’osservazione in tempo reale dell’attività spontanea fetale e delle sue reazioni alle più diverse stimolazioni (Piontelli, 1987; Negri, Guareschi-Cazzullo, Vergani, Mariani, Roncaglia, 1990). In particolare, in una visione costruttivistica della mente (Imbasciati, 1998, 2005), i primi elementi che si formano a costituire le prime strutture protomentali vengono individuati nelle prime elaborazioni esperienziali del feto, le quali costituiscono le basi che condizioneranno a loro volta il formarsi di strutture successive, in una progressiva costruzione della mente. La complessità degli “oggetti di studio” feto-madre, come unità inscindibile, fino al parto ed anche dopo, comporta necessariamente uno sforzo d’integrazione, di contributi di scienze diverse, affinché i due elementi di questa unione vengano indagati in “unità”, anche per quelle ricerche che si occupano distintamente della donna gravida da un lato e del suo feto dall’altro. Due sono i termini comunemente più usati per indicare il periodo dell’attesa di un bambino: gravidanza e gestazione. Secondo l’etimologia la parola gravidanza rimanda a gravido da gravidus, oberato, che presuppone un verbo di stato: graveo, sono pesante . Ancora: gravidanza dalla vc. dotta del latino gravidus (m) un derivato da gravis, grave, dal verbo gravare, essere grave, pesante; lat. gravidare: ingravidare (Cortellazzo, Zolli, 1980). Anche: gravidanza lo stato femminile dal concepimento al parto; v. dotta dal latino gravida f. di gravidus (da gravis) gravido, aggravato, carico, appesantito, pieno (Battisti, Alessio, 1975, 1865). Mentre la parola gravidanza rimanda più ad una posizione, uno stato in cui si trova una persona, l’etimologia della parola gestazione si rapporta a una funzione di attività. Abbiamo infatti: 1. un rimando al latino gestatio – gestationis da gestare, che è la forma intensiva, o iterativa, di gerere “portare”; dunque gestare vuol dire portare in continuazione. Gestatio assume solo in età medioevale il significato fisiol. di gravidanza, significato poi ripreso dai medici secenteschi (fr. gestation). Anteriormente al XIV sec., gestare significava già portare nel senso essere incinta. “Gestazione” inoltre richiama il prefisso ges, che rimanda a “gesto”: gesto che è movimento, atto, dal latino gestus, participio passato di gerere (Battisti, Alessio, 1975, 1794). Il Devoto (Devoto, 1967, p. 186) riporta gestazione dal latino gestatio-onis e rimanda a gestante (dal latino gestans-antis part. pres. di gestare). Ancora gestazione, gestatio era usata già da Lattanzio nel sec. IV con riferimento alla gravidanza (“infantium gestationes”), in cui si fa esplicito riferimento al bambino. Gestante “donna incinta”, dal medesimo etimo di gestare forma più intensiva di gerere. Gestare, come latinismo nella lingua italiana viene ripreso da qualche scrittore moderno (Vaccaro). La relativa fortuna del neologismo è certo dovuta alla continua ricerca di un nome che eviti espressioni ritenute più crude (Cortellazzo, Zolli, 1999). L’etimo di gestazione può rimandare inoltre alle res gestae, i fatti compiuti e in genere le imprese gloriose e faticose: anche la gravidanza è una grande impresa. In alcune voci della lingua italiana si usa l’aggettivo pregna come sinonimo di gravida. Pregnancy è del resto il corrente termine inglese per gravidanza. Pregno significa “pieno”, anzi “pregnanza” vuol dire completezza, importanza, centralità di qualcosa. Dunque la gravidanza è l’elemento pregnante della vita di una donna. La natura ha deciso che i bambini non scelgano le loro madri, essi arrivano e le madri hanno il tempo per ri-orientarsi: una donna entra in una fase (Winnicott, 1956) da cui uscirà nelle settimane e nei mesi successivi alla nascita del bambino, in cui in larga misura “lei è il bambino” e “il bambino è lei”. La donna è stata una bambina e conserva i ricordi di questa condizione e delle cure che ha ricevuto, e questi ricordi l’aiutano o la ostacolano nelle sue esperienze di madre (Winnicott, 1987). La gestazione è il filo che unisce passato e futuro, in un continuum affettivo e temporale (Ferraro, Nunziante Cesaro, 1985). Nella sua storia della gravidanza i due piani dell’immaginario e del reale si intersecano e permeano le vicissitudini della vita emotiva. La donna deve costantemente fare i conti con aspetti reali e fantasmatici di sé, affinando una sensibilità che la renda capace di adattarsi alle esigenze del bambino per rispondere ai suoi segnali (Langer, 1951). Il desiderio di procreazione è stato indagato principalmente nell’ambito della psiche femminile, attraverso soprattutto la letteratura psicoanalitica e i contributi di psicoanaliste donne: già abbiamo menzionato la Helen Deutsch (1945) e la Benedek (1956), che attribuiscono tale desiderio alla peculiare funzione ricettiva della psiche femminile. Con la Bibring (1959, 1961) viene evidenziato il processo evolutivo maturativo, espresso con il concetto di “crisi”, come per la pubertà e la menopausa, che caratterizzerebbe la gravidanza. Si verificherebbe una riorganizzazione dell’identità femminile attraverso una integrazione, ma anche una possibile destrutturazione del sé della donna, in relazione ai vissuti che riemergono rispetto a conflittualità relazionali irrisolte. Anche altre autrici come la Breen (1992) e la Pines (1972, 1982) sono concordi nel sottolineare come nel periodo della gravidanza emergano molti dei vissuti inconsci relativi alla propria infanzia: vissuti del proprio passato, quando era bambina, adolescente, richiamando le prime relazioni e le diverse identificazioni significative, in particolare con la propria madre. I diversi autori si trovano concordi nell’evidenziare come questi processi psichici di elaborazione dei vissuti reali e fantasmatici con la propria madre, costituiscano il processo centrale di elaborazione che la donna è chiamata a fare in gravidanza. La gravidanza consente alla donna di rielaborare ulteriormente il processo di separazione-individuazione in relazione alla propria madre, nella definizione della propria identità personale, e le permette di sperimentarsi attraverso una serie di trasformazioni e cambiamenti corporei e psichici. Ogni donna vivrà dunque la propria gravidanza con modalità individuali a seconda delle sue passate vicissitudini relazionali con le figure affettive di riferimento. Questo interscambio biopsicologico riattiva a livelli consci, preconsci e inconsci le esperienze del suo passato che si intrecciano con quelle del presente, intorno al sé infantile e al sé adulto (Ammaniti et al., 1995). Questa complessa esperienza identificatoria si manifesta attraverso le oscillazioni comportamentali frequenti in gravidanza, che si evidenziano con atteggiamenti di ripiegamento della donna su se stessa e di ritiro in una fusione mentale col feto, mentre è contemporaneamente presente una identificazione con gli aspetti materni di sé come caregiver, che si prenderà cura del bambino. La duplice capacità identificatoria della gravida, con una figura materna “sufficientemente buona” (Winnicott, 1958) che si prenderà cura del piccolo e contemporaneamente di identificazione con il piccolo prodotto del concepimento stesso, riattivano una idealizzata unione infantile con la propria madre (Deutsch, 1945; Benedek, 1959; Bibring, 1961; Pines, 1982; Ammaniti, 1992). Inoltre la donna che ha sperimentato una relazione positiva con la propria figura materna potrà, proprio attraverso lo stato di momentanea regressione dovuta alla gravidanza, identificarsi con una figura materna portatrice di vita e con se stessa bambina, per un positivo sviluppo del suo sé. Questa identificazione con una buona immagine materna deve poter essere quanto meno conflittuale perché la gestazione possa essere vissuta dalla donna senza troppi sintomi somatopsichici. Non manca il rischio però, secondo la Pines, che questo processo di differenziazione-individuazione possa anche fallire in una esperienza dolorosa per la prevaricazione del desiderio infantile di fusione con la figura materna. Il periodo di gestazione viene descritto dalla maggior parte dagli autori attraverso stadi che scandiscono i nove mesi del processo evolutivo. Durante questo periodo, inizia anche quella che è la “Nascita della madre” e che secondo Stern ( 1999) configura una nuova identità nella donna: il senso dell’essere madre, che l’autore definisce come “assetto materno”, una speciale organizzazione mentale che accompagna la maternità e che apparterrà poi anche in seguito alla donna stabilmente. La nascita di una madre non avviene in un tempo definito, ma si sviluppa durante i mesi precedenti e successivi la nascita del bambino: una donna diventa mamma più e più volte nel corso dell’attesa e dopo. Durante il periodo della gestazione secondo Stern sono tre le gravidanze che procedono contemporaneamente: il feto che si sviluppa, l’assetto psichico che si orienta alla maternità e il bambino immaginario che prende forma nella mente della madre. I mutamenti corporei che modellano il corpo della madre, plasmano anche il precedente senso del suo Sé in modo che possa costituirsi quella che è l’identità materna, ma contemporaneamente contribuiscono a favorire lo sviluppo del bambino immaginario, che per Stern costituisce un vissuto caratterizzante l’intero processo della gravidanza. Nello spazio mentale, che farebbe pensare allo spazio transizionale di Winnicott, la donna può “rivedere e provare vari scenari futuri”, e portare a compimento entro il termine della gravidanza la maggior parte della preparazione mentale alla nuova identità.Nella cultura popolare il periodo della gestazione della donna veniva connotato come “stato interessante”: lo stato fisico e psichico della madre è sempre stato tenuto in attenta considerazione, per tutte le possibili risonanze non solo sullo sviluppo del feto, ma anche del bambino dopo la nascita. Un tale interesse si è in questi ultimi lustri rinnovato a seguito della ricerca scientifica che si è sviluppata intorno alle vicende gestazionali e perinatali. Il punto focale per le scienze psicologiche è stata la scoperta delle intense, importanti e complesse interazioni comunicative tra gestante/madre e feto/neonato, che fondano sia una radicale trasformazione della struttura psichica genitoriale, sia, soprattutto la “costruzione” della struttura mentale del feto e quindi del neonato e del futuro individuo. Le attuali ricerche di psicologia evolutiva, in particolare l’Infant Research, in questi ultimi decenni stanno focalizzando l’attenzione sullo scambio emotivo-cognitivo della coppia madre-bambino-padre; sulla sua origine, formazione ed evoluzione, e su come la mente fetale si sviluppi proprio attraverso questi scambi comunicativi primari.

Cena Loredana -Dal prenatale al neonatale

CENA, Loredana
2015-01-01

Abstract

La relazione di continuità tra quella che è stata la nostra vita prenatale e la successiva vita neonatale era stata oggetto di riflessione psicoanalitica già da parte di Freud (1925) e di alcuni suoi allievi come Ferenczi (1924) e Rank (1924). Altri studiosi, come Graber (1924), Minkowsky (1928), successivamente Spelt (1948), si sono espressi sulle vicissitudini dello sviluppo fetale. Le prime psicoanaliste, come la Helen Deutsch (1945), la Benedek (1956), la Bibring (1959, 1961) ed altre, se ne sono occupate meno direttamente, perché si sono orientate a sviluppare le vicissitudini della gravidanza e del parto nella donna, seppur mantenendo un riferimento implicito anche alle vicissitudini fetali collegate alle dinamiche psichiche materne. La Sontag (1944, 1965) fa riferimento alla interazione madre-feto e sottolinea come non avvenga soltanto una trasmissione di tipo biologico-metabolica, ma di stati emozionali: le situazioni d’ansia nella madre ad esempio darebbero luogo ad un incremento della motricità fetale che permane oltre la nascita, nel bambino, con la manifestazione di disturbi relativi ad una maggiore irritabilità e reattività. Dopo gli anni ’70 c’è un proliferare di studi in questo settore della ricerca, con scienziati di diversa formazione che hanno indagato le competenze fetali, percettive e mnestiche, da vertici teorici differenti come Rascovsky (1977), Laing (1978), Bertini et al. (1978), Chamberlain (1988), De Casper e Fifer (1980), Ianniruberto e Tajani (1981), Milani Comparetti (1981), Hepper (1988), Mancia (1989), Piontelli (1987), Negri et al. (1990), Moser (1994), Righetti (2000) e molti ancora, sino a più recenti contributi: nel 1989 (Cena, 1989) sono anche iniziati i nostri studi nel settore. Altri autori in ambito psicoanalitico, come Bion (1962), Meltzer (1980), Stern (1987), Bucci (1997), Dennet (1978), Lichtenberg (1989), Wallerstein (1965), Imbasciati (1998), (Manfredi, Imbasciati, 2004), Mc-Dougall (1989), Mitchell (2000), Fonagy (2001), hanno interpretato i dati relativi allo sviluppo mentale e rilevato l’importanza delle primarie relazioni per lo strutturarsi della mente nascente. Il grande impulso ricevuto dalle ricerche sulla vita prenatale è stato indubbiamente dovuto all’avvento delle tecniche ecografiche che hanno consentito l’osservazione in tempo reale dell’attività spontanea fetale e delle sue reazioni alle più diverse stimolazioni (Piontelli, 1987; Negri, Guareschi-Cazzullo, Vergani, Mariani, Roncaglia, 1990). In particolare, in una visione costruttivistica della mente (Imbasciati, 1998, 2005), i primi elementi che si formano a costituire le prime strutture protomentali vengono individuati nelle prime elaborazioni esperienziali del feto, le quali costituiscono le basi che condizioneranno a loro volta il formarsi di strutture successive, in una progressiva costruzione della mente. La complessità degli “oggetti di studio” feto-madre, come unità inscindibile, fino al parto ed anche dopo, comporta necessariamente uno sforzo d’integrazione, di contributi di scienze diverse, affinché i due elementi di questa unione vengano indagati in “unità”, anche per quelle ricerche che si occupano distintamente della donna gravida da un lato e del suo feto dall’altro. Due sono i termini comunemente più usati per indicare il periodo dell’attesa di un bambino: gravidanza e gestazione. Secondo l’etimologia la parola gravidanza rimanda a gravido da gravidus, oberato, che presuppone un verbo di stato: graveo, sono pesante . Ancora: gravidanza dalla vc. dotta del latino gravidus (m) un derivato da gravis, grave, dal verbo gravare, essere grave, pesante; lat. gravidare: ingravidare (Cortellazzo, Zolli, 1980). Anche: gravidanza lo stato femminile dal concepimento al parto; v. dotta dal latino gravida f. di gravidus (da gravis) gravido, aggravato, carico, appesantito, pieno (Battisti, Alessio, 1975, 1865). Mentre la parola gravidanza rimanda più ad una posizione, uno stato in cui si trova una persona, l’etimologia della parola gestazione si rapporta a una funzione di attività. Abbiamo infatti: 1. un rimando al latino gestatio – gestationis da gestare, che è la forma intensiva, o iterativa, di gerere “portare”; dunque gestare vuol dire portare in continuazione. Gestatio assume solo in età medioevale il significato fisiol. di gravidanza, significato poi ripreso dai medici secenteschi (fr. gestation). Anteriormente al XIV sec., gestare significava già portare nel senso essere incinta. “Gestazione” inoltre richiama il prefisso ges, che rimanda a “gesto”: gesto che è movimento, atto, dal latino gestus, participio passato di gerere (Battisti, Alessio, 1975, 1794). Il Devoto (Devoto, 1967, p. 186) riporta gestazione dal latino gestatio-onis e rimanda a gestante (dal latino gestans-antis part. pres. di gestare). Ancora gestazione, gestatio era usata già da Lattanzio nel sec. IV con riferimento alla gravidanza (“infantium gestationes”), in cui si fa esplicito riferimento al bambino. Gestante “donna incinta”, dal medesimo etimo di gestare forma più intensiva di gerere. Gestare, come latinismo nella lingua italiana viene ripreso da qualche scrittore moderno (Vaccaro). La relativa fortuna del neologismo è certo dovuta alla continua ricerca di un nome che eviti espressioni ritenute più crude (Cortellazzo, Zolli, 1999). L’etimo di gestazione può rimandare inoltre alle res gestae, i fatti compiuti e in genere le imprese gloriose e faticose: anche la gravidanza è una grande impresa. In alcune voci della lingua italiana si usa l’aggettivo pregna come sinonimo di gravida. Pregnancy è del resto il corrente termine inglese per gravidanza. Pregno significa “pieno”, anzi “pregnanza” vuol dire completezza, importanza, centralità di qualcosa. Dunque la gravidanza è l’elemento pregnante della vita di una donna. La natura ha deciso che i bambini non scelgano le loro madri, essi arrivano e le madri hanno il tempo per ri-orientarsi: una donna entra in una fase (Winnicott, 1956) da cui uscirà nelle settimane e nei mesi successivi alla nascita del bambino, in cui in larga misura “lei è il bambino” e “il bambino è lei”. La donna è stata una bambina e conserva i ricordi di questa condizione e delle cure che ha ricevuto, e questi ricordi l’aiutano o la ostacolano nelle sue esperienze di madre (Winnicott, 1987). La gestazione è il filo che unisce passato e futuro, in un continuum affettivo e temporale (Ferraro, Nunziante Cesaro, 1985). Nella sua storia della gravidanza i due piani dell’immaginario e del reale si intersecano e permeano le vicissitudini della vita emotiva. La donna deve costantemente fare i conti con aspetti reali e fantasmatici di sé, affinando una sensibilità che la renda capace di adattarsi alle esigenze del bambino per rispondere ai suoi segnali (Langer, 1951). Il desiderio di procreazione è stato indagato principalmente nell’ambito della psiche femminile, attraverso soprattutto la letteratura psicoanalitica e i contributi di psicoanaliste donne: già abbiamo menzionato la Helen Deutsch (1945) e la Benedek (1956), che attribuiscono tale desiderio alla peculiare funzione ricettiva della psiche femminile. Con la Bibring (1959, 1961) viene evidenziato il processo evolutivo maturativo, espresso con il concetto di “crisi”, come per la pubertà e la menopausa, che caratterizzerebbe la gravidanza. Si verificherebbe una riorganizzazione dell’identità femminile attraverso una integrazione, ma anche una possibile destrutturazione del sé della donna, in relazione ai vissuti che riemergono rispetto a conflittualità relazionali irrisolte. Anche altre autrici come la Breen (1992) e la Pines (1972, 1982) sono concordi nel sottolineare come nel periodo della gravidanza emergano molti dei vissuti inconsci relativi alla propria infanzia: vissuti del proprio passato, quando era bambina, adolescente, richiamando le prime relazioni e le diverse identificazioni significative, in particolare con la propria madre. I diversi autori si trovano concordi nell’evidenziare come questi processi psichici di elaborazione dei vissuti reali e fantasmatici con la propria madre, costituiscano il processo centrale di elaborazione che la donna è chiamata a fare in gravidanza. La gravidanza consente alla donna di rielaborare ulteriormente il processo di separazione-individuazione in relazione alla propria madre, nella definizione della propria identità personale, e le permette di sperimentarsi attraverso una serie di trasformazioni e cambiamenti corporei e psichici. Ogni donna vivrà dunque la propria gravidanza con modalità individuali a seconda delle sue passate vicissitudini relazionali con le figure affettive di riferimento. Questo interscambio biopsicologico riattiva a livelli consci, preconsci e inconsci le esperienze del suo passato che si intrecciano con quelle del presente, intorno al sé infantile e al sé adulto (Ammaniti et al., 1995). Questa complessa esperienza identificatoria si manifesta attraverso le oscillazioni comportamentali frequenti in gravidanza, che si evidenziano con atteggiamenti di ripiegamento della donna su se stessa e di ritiro in una fusione mentale col feto, mentre è contemporaneamente presente una identificazione con gli aspetti materni di sé come caregiver, che si prenderà cura del bambino. La duplice capacità identificatoria della gravida, con una figura materna “sufficientemente buona” (Winnicott, 1958) che si prenderà cura del piccolo e contemporaneamente di identificazione con il piccolo prodotto del concepimento stesso, riattivano una idealizzata unione infantile con la propria madre (Deutsch, 1945; Benedek, 1959; Bibring, 1961; Pines, 1982; Ammaniti, 1992). Inoltre la donna che ha sperimentato una relazione positiva con la propria figura materna potrà, proprio attraverso lo stato di momentanea regressione dovuta alla gravidanza, identificarsi con una figura materna portatrice di vita e con se stessa bambina, per un positivo sviluppo del suo sé. Questa identificazione con una buona immagine materna deve poter essere quanto meno conflittuale perché la gestazione possa essere vissuta dalla donna senza troppi sintomi somatopsichici. Non manca il rischio però, secondo la Pines, che questo processo di differenziazione-individuazione possa anche fallire in una esperienza dolorosa per la prevaricazione del desiderio infantile di fusione con la figura materna. Il periodo di gestazione viene descritto dalla maggior parte dagli autori attraverso stadi che scandiscono i nove mesi del processo evolutivo. Durante questo periodo, inizia anche quella che è la “Nascita della madre” e che secondo Stern ( 1999) configura una nuova identità nella donna: il senso dell’essere madre, che l’autore definisce come “assetto materno”, una speciale organizzazione mentale che accompagna la maternità e che apparterrà poi anche in seguito alla donna stabilmente. La nascita di una madre non avviene in un tempo definito, ma si sviluppa durante i mesi precedenti e successivi la nascita del bambino: una donna diventa mamma più e più volte nel corso dell’attesa e dopo. Durante il periodo della gestazione secondo Stern sono tre le gravidanze che procedono contemporaneamente: il feto che si sviluppa, l’assetto psichico che si orienta alla maternità e il bambino immaginario che prende forma nella mente della madre. I mutamenti corporei che modellano il corpo della madre, plasmano anche il precedente senso del suo Sé in modo che possa costituirsi quella che è l’identità materna, ma contemporaneamente contribuiscono a favorire lo sviluppo del bambino immaginario, che per Stern costituisce un vissuto caratterizzante l’intero processo della gravidanza. Nello spazio mentale, che farebbe pensare allo spazio transizionale di Winnicott, la donna può “rivedere e provare vari scenari futuri”, e portare a compimento entro il termine della gravidanza la maggior parte della preparazione mentale alla nuova identità.Nella cultura popolare il periodo della gestazione della donna veniva connotato come “stato interessante”: lo stato fisico e psichico della madre è sempre stato tenuto in attenta considerazione, per tutte le possibili risonanze non solo sullo sviluppo del feto, ma anche del bambino dopo la nascita. Un tale interesse si è in questi ultimi lustri rinnovato a seguito della ricerca scientifica che si è sviluppata intorno alle vicende gestazionali e perinatali. Il punto focale per le scienze psicologiche è stata la scoperta delle intense, importanti e complesse interazioni comunicative tra gestante/madre e feto/neonato, che fondano sia una radicale trasformazione della struttura psichica genitoriale, sia, soprattutto la “costruzione” della struttura mentale del feto e quindi del neonato e del futuro individuo. Le attuali ricerche di psicologia evolutiva, in particolare l’Infant Research, in questi ultimi decenni stanno focalizzando l’attenzione sullo scambio emotivo-cognitivo della coppia madre-bambino-padre; sulla sua origine, formazione ed evoluzione, e su come la mente fetale si sviluppi proprio attraverso questi scambi comunicativi primari.
2015
978-88-917-1013-0
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