Il termine abitare comprende un sistema molto complesso di significati. Dai noti scritti di Heidegger sappiamo che l'uomo non abita solo la propria casa e che costruire (bauen) significa anche abitare: «le costruzioni che non sono abitazioni rimangono pur sempre anch'esse determinate in riferimento all'abitare, nella misura in cui sono al servizio dell'abitare dell'uomo. […] il costruire è già in se stesso un abitare» (M. Heidegger, 1957). Il modo di abitare lo spazio da parte dell'uomo del nostro tempo, tutta la complessità che c'è nel rapporto tra il suo corpo e i luoghi che lo circondano, la molteplicità con cui pensa alla realtà della sua vita, il fatto di immaginarsi abitante di tanti luoghi e di attraversarli, sia virtualmente che fisicamente, è ormai motivo di estraniamento quotidiano. Molti giovani architetti indagano sulle possibilità di concepire una nuova architettura, più adeguata alle necessità del cyberspace, fondata sulla temporaneità e sulla leggerezza. Una architettura liquida e fluida, trasparente ma comunicativa, camaleontica e flessibile. E in fondo, questi architetti aspirano a una architettura come luogo sconosciuto, luogo di un certo misterioso segreto, dove esistono cose che non si possono dominare, appartenenti a un ordine fatale che la volontà non controlla. Cercando di traslare le regole del cyberspace all’architettura, si attivano infinite variabili che complessificano ulteriormente la ricerca della sintesi del progetto. Pensando alla Valle dei Templi, ai suoi elementi e alle loro eventuali composizioni, potremmo provare ad abitarla considerandola una grande location di eventi diversi. Così facendo, potremmo ricostruire questo luogo utilizzando uno dei principi più tradizionali dell’architettura e dell’urbanistica greca, dove la composizione di elementi e il gioco delle relazioni tra le parti attiva uno scenario mobile dotato di infiniti punti di vista. La mobilità dello spettatore è ovviamente lo spunto ideale per ottenere continui e instabili fotogrammi di piani e oggetti sovrapposti. La variabilità della luce, legata al tempo e alle stagioni, aggiungerebbe un altro motivo di imprevedibilità e di casualità nella composizione di volumi, ombre e colori. Niente di nuovo, dunque, solo una ricomposizione di parti di varia natura: templi, masse di uomini, mezzi di trasporto, elementi vegetali e minerali, luce. Un po’ come farebbe una troupe cinematografica alle prese con la progettazione delle scene di un film.
Abitare la Valle dei Templi di Agrigento
LONGO, Olivia
2007-01-01
Abstract
Il termine abitare comprende un sistema molto complesso di significati. Dai noti scritti di Heidegger sappiamo che l'uomo non abita solo la propria casa e che costruire (bauen) significa anche abitare: «le costruzioni che non sono abitazioni rimangono pur sempre anch'esse determinate in riferimento all'abitare, nella misura in cui sono al servizio dell'abitare dell'uomo. […] il costruire è già in se stesso un abitare» (M. Heidegger, 1957). Il modo di abitare lo spazio da parte dell'uomo del nostro tempo, tutta la complessità che c'è nel rapporto tra il suo corpo e i luoghi che lo circondano, la molteplicità con cui pensa alla realtà della sua vita, il fatto di immaginarsi abitante di tanti luoghi e di attraversarli, sia virtualmente che fisicamente, è ormai motivo di estraniamento quotidiano. Molti giovani architetti indagano sulle possibilità di concepire una nuova architettura, più adeguata alle necessità del cyberspace, fondata sulla temporaneità e sulla leggerezza. Una architettura liquida e fluida, trasparente ma comunicativa, camaleontica e flessibile. E in fondo, questi architetti aspirano a una architettura come luogo sconosciuto, luogo di un certo misterioso segreto, dove esistono cose che non si possono dominare, appartenenti a un ordine fatale che la volontà non controlla. Cercando di traslare le regole del cyberspace all’architettura, si attivano infinite variabili che complessificano ulteriormente la ricerca della sintesi del progetto. Pensando alla Valle dei Templi, ai suoi elementi e alle loro eventuali composizioni, potremmo provare ad abitarla considerandola una grande location di eventi diversi. Così facendo, potremmo ricostruire questo luogo utilizzando uno dei principi più tradizionali dell’architettura e dell’urbanistica greca, dove la composizione di elementi e il gioco delle relazioni tra le parti attiva uno scenario mobile dotato di infiniti punti di vista. La mobilità dello spettatore è ovviamente lo spunto ideale per ottenere continui e instabili fotogrammi di piani e oggetti sovrapposti. La variabilità della luce, legata al tempo e alle stagioni, aggiungerebbe un altro motivo di imprevedibilità e di casualità nella composizione di volumi, ombre e colori. Niente di nuovo, dunque, solo una ricomposizione di parti di varia natura: templi, masse di uomini, mezzi di trasporto, elementi vegetali e minerali, luce. Un po’ come farebbe una troupe cinematografica alle prese con la progettazione delle scene di un film.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.