Il volume ha ad oggetto uno studio dei metodi alternativi al processo per la risoluzione delle controversie in una prospettiva comparatistica che prende in esame l’ordinamento italiano e quello inglese. Lo studio viene condotto in chiave critica per verificare in quale misura detti metodi siano compatibili e vadano nella stessa direzione della tutela dei diritti, obiettivo verso il quale, anche in prospettiva costituzionale, tende il processo civile. Si è ritenuto di procedere anzitutto ad una indagine teorica del modo in cui la giustizia statuale si rapporta con i metodi alternativi di risoluzione delle controversie, e viceversa. A tale tema è, infatti, dedicato il primo capitolo che è orientato proprio ad inquadrare il fenomeno dei metodi adr, delineandone sotto il profilo teorico i rapporti con il processo. In modo particolare l’autore mette in luce come rispettivamente la presenza e l’assenza nella dogmatica italiana e inglese dei concetti di azione e procedimento ed un diverso atteggiarsi del fenomeno del giudicato siano alla base di un differente grado di integrazione tra adr e processo civile in un unico sistema orientato alla tutela dei diritti. Nel secondo capitolo viene preso in esame l’arbitrato, con particolare riferimento alla sua natura, nonché alla natura del lodo arbitrale. L’analisi prende spunto dall’atteggiamento assunto nell’ultimo decennio dalla giurisprudenza italiana che, nell’affermare la natura negoziale dell’arbitrato ha qualificato come di merito l’exceptio compromissi, talvolta richiamando a paradigma proprio l’esperienza inglese. Si è quindi inteso sottoporre a verifica se effettivamente può dirsi l’arbitrato inglese un metodo puramente negoziale. Lo studio, che non ha potuto non prendere atto di un atteggiamento “agnostico” della dottrina inglese sul punto, giunge a conclusioni articolate che comunque portano tendenzialmente ad escludere che l’arbitrato inglese possa ridursi a negozio. Nel terzo capitolo vengono presi in esame i tribunals inglesi e le autorità indipendenti italiane, organi che, pur non avendo natura giurisdizionale in senso stretto, sono stati, specie da normative speciali, deputati alla tutela dei diritti. Si tratta in alcuni casi di veri e propri giudici specializzati, che svolgono, soprattutto in Inghilterra, ma anche in Italia, un fondamentale ruolo nel contesto della tutela dei diritti soggettivi. Spesso è loro demandata una tutela di “primo grado” e nella maggior parte dei casi sono previsti ricorsi avanti l’autorità giudiziaria per l’impugnazione delle decisioni provenienti da questi organi. Particolare attenzione viene data alle garanzie offerte nel procedimenti che si svolgono avanti le predette autorità, anche nella prospettiva di valutarne la compatibilità costituzionale. Nel quarto capitolo l’attenzione si concentra sulla conciliazione, con particolare riguardo alla distinzione fondamentale tra quella che si svolge davanti al giudice e quella stragiudiziale. A questo proposito si è fatto oggetto di attenta analisi il sistema di premi/sanzioni predisposto dal legislatore per incentivare le parti a partecipare alla conciliazione e ad accettare proposte conciliative. Dopo un approfondito esame, l’autore giunge alla conclusione che il sistema inglese – che pure prevede rilevanti sanzioni per la parte che rifiuti di andare in conciliazione (ma non di conciliare) – appare più equilibrato di quello italiano, fortemente sbilanciato a favore del convenuto che ha torto, piuttosto che dell’attore che ha ragione. Infine, il quinto capitolo è dedicato ad un fenomeno poco noto nel nostro ordinamento che nei paesi anglosassoni prende il nome di “negoziazione”. Si tratta di un metodo di risoluzione delle controversie potremmo dire “destrutturato”, basato essenzialmente sulle trattative tra le parti, che grazie ad una sapiente integrazione con alcuni strumenti offerti dalla giustizia ordinaria – quali ad es. la discovery, le offers to settle in Inghilterra o l’accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis c.p.c. nel nostro ordinamento – possono ben integrare un modello di tutela dei diritti. Al sesto capitolo sono dedicate le conclusioni a cui l’autore giunge sulla base dello studio condotto nel volume, ma anche prendendo atto di alcuni autorevoli contributi della dottrina italiana che hanno rimesso al centro – pur in un’ottica di promozione dei metodi adr – la giurisdizione. L’autore, infatti, ritiene che le spinte che il legislatore, sotto forma di sanazioni o di incentivi, introduce nel sistema per indurre le parti a far uso di metodi alternativi alla giurisdizione dello Stato non possano dispensarlo dalla responsabilità di offrire una giustizia civile efficiente ed efficace, che in fondo risulta essere proprio il presupposto in presenza del quale i metodi adr sono in grado di dare i migliori risultati, senza trasformarsi in strumenti che, anziché tendere alla tutela dei diritti, possono finire con il legittimarne la pretermissione specie con riguardo alle parti più deboli.

Modelli di tutela dei diritti. L'esperienza inglese e italiana

PASSANANTE, Luca
2007-01-01

Abstract

Il volume ha ad oggetto uno studio dei metodi alternativi al processo per la risoluzione delle controversie in una prospettiva comparatistica che prende in esame l’ordinamento italiano e quello inglese. Lo studio viene condotto in chiave critica per verificare in quale misura detti metodi siano compatibili e vadano nella stessa direzione della tutela dei diritti, obiettivo verso il quale, anche in prospettiva costituzionale, tende il processo civile. Si è ritenuto di procedere anzitutto ad una indagine teorica del modo in cui la giustizia statuale si rapporta con i metodi alternativi di risoluzione delle controversie, e viceversa. A tale tema è, infatti, dedicato il primo capitolo che è orientato proprio ad inquadrare il fenomeno dei metodi adr, delineandone sotto il profilo teorico i rapporti con il processo. In modo particolare l’autore mette in luce come rispettivamente la presenza e l’assenza nella dogmatica italiana e inglese dei concetti di azione e procedimento ed un diverso atteggiarsi del fenomeno del giudicato siano alla base di un differente grado di integrazione tra adr e processo civile in un unico sistema orientato alla tutela dei diritti. Nel secondo capitolo viene preso in esame l’arbitrato, con particolare riferimento alla sua natura, nonché alla natura del lodo arbitrale. L’analisi prende spunto dall’atteggiamento assunto nell’ultimo decennio dalla giurisprudenza italiana che, nell’affermare la natura negoziale dell’arbitrato ha qualificato come di merito l’exceptio compromissi, talvolta richiamando a paradigma proprio l’esperienza inglese. Si è quindi inteso sottoporre a verifica se effettivamente può dirsi l’arbitrato inglese un metodo puramente negoziale. Lo studio, che non ha potuto non prendere atto di un atteggiamento “agnostico” della dottrina inglese sul punto, giunge a conclusioni articolate che comunque portano tendenzialmente ad escludere che l’arbitrato inglese possa ridursi a negozio. Nel terzo capitolo vengono presi in esame i tribunals inglesi e le autorità indipendenti italiane, organi che, pur non avendo natura giurisdizionale in senso stretto, sono stati, specie da normative speciali, deputati alla tutela dei diritti. Si tratta in alcuni casi di veri e propri giudici specializzati, che svolgono, soprattutto in Inghilterra, ma anche in Italia, un fondamentale ruolo nel contesto della tutela dei diritti soggettivi. Spesso è loro demandata una tutela di “primo grado” e nella maggior parte dei casi sono previsti ricorsi avanti l’autorità giudiziaria per l’impugnazione delle decisioni provenienti da questi organi. Particolare attenzione viene data alle garanzie offerte nel procedimenti che si svolgono avanti le predette autorità, anche nella prospettiva di valutarne la compatibilità costituzionale. Nel quarto capitolo l’attenzione si concentra sulla conciliazione, con particolare riguardo alla distinzione fondamentale tra quella che si svolge davanti al giudice e quella stragiudiziale. A questo proposito si è fatto oggetto di attenta analisi il sistema di premi/sanzioni predisposto dal legislatore per incentivare le parti a partecipare alla conciliazione e ad accettare proposte conciliative. Dopo un approfondito esame, l’autore giunge alla conclusione che il sistema inglese – che pure prevede rilevanti sanzioni per la parte che rifiuti di andare in conciliazione (ma non di conciliare) – appare più equilibrato di quello italiano, fortemente sbilanciato a favore del convenuto che ha torto, piuttosto che dell’attore che ha ragione. Infine, il quinto capitolo è dedicato ad un fenomeno poco noto nel nostro ordinamento che nei paesi anglosassoni prende il nome di “negoziazione”. Si tratta di un metodo di risoluzione delle controversie potremmo dire “destrutturato”, basato essenzialmente sulle trattative tra le parti, che grazie ad una sapiente integrazione con alcuni strumenti offerti dalla giustizia ordinaria – quali ad es. la discovery, le offers to settle in Inghilterra o l’accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis c.p.c. nel nostro ordinamento – possono ben integrare un modello di tutela dei diritti. Al sesto capitolo sono dedicate le conclusioni a cui l’autore giunge sulla base dello studio condotto nel volume, ma anche prendendo atto di alcuni autorevoli contributi della dottrina italiana che hanno rimesso al centro – pur in un’ottica di promozione dei metodi adr – la giurisdizione. L’autore, infatti, ritiene che le spinte che il legislatore, sotto forma di sanazioni o di incentivi, introduce nel sistema per indurre le parti a far uso di metodi alternativi alla giurisdizione dello Stato non possano dispensarlo dalla responsabilità di offrire una giustizia civile efficiente ed efficace, che in fondo risulta essere proprio il presupposto in presenza del quale i metodi adr sono in grado di dare i migliori risultati, senza trasformarsi in strumenti che, anziché tendere alla tutela dei diritti, possono finire con il legittimarne la pretermissione specie con riguardo alle parti più deboli.
2007
9788813283674
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