Lo scritto si propone di verificare se l’esercizio del rimedio perentorio a fronte di un inadempimento in un contratto a prestazioni corrispettive richieda, quale condizione dell’azione, l’inutile tentativo di ottenere un adempimento tardivo attraverso una formale costituzione in mora del debitore. Al quesito, che ha sollevato un articolato contrasto dottrinale e giurisprudenziale, viene data risposta negativa, considerando la riconducibilità del «mero» ritardo all’inadempimento vero e proprio e la necessità di accertare, prima di procedere alla risoluzione del contratto, l’irreversibilità della violazione del rapporto obbligatorio. Particolare rilievo viene data alla posizione di chi, per superare il problema, ha considerato la domanda di risoluzione come «equipollente» dell’intimazione: il contrasto di tale conclusione con l’art. 1453, ult. comma, c.c. non consente di sminuire la sua importanza sistematica, che può essere adeguatamente compresa solo ponendo l’accento sulla necessità di risolvere giudizialmente il contratto in presenza di un inadempimento sufficientemente grave e sul ruolo che, nell’individuazione di questo requisito, può essere giocato dall’analisi del comportamento processuale del debitore.
Costituzione in mora e risoluzione per inadempimento
VENTURELLI, Alberto
2009-01-01
Abstract
Lo scritto si propone di verificare se l’esercizio del rimedio perentorio a fronte di un inadempimento in un contratto a prestazioni corrispettive richieda, quale condizione dell’azione, l’inutile tentativo di ottenere un adempimento tardivo attraverso una formale costituzione in mora del debitore. Al quesito, che ha sollevato un articolato contrasto dottrinale e giurisprudenziale, viene data risposta negativa, considerando la riconducibilità del «mero» ritardo all’inadempimento vero e proprio e la necessità di accertare, prima di procedere alla risoluzione del contratto, l’irreversibilità della violazione del rapporto obbligatorio. Particolare rilievo viene data alla posizione di chi, per superare il problema, ha considerato la domanda di risoluzione come «equipollente» dell’intimazione: il contrasto di tale conclusione con l’art. 1453, ult. comma, c.c. non consente di sminuire la sua importanza sistematica, che può essere adeguatamente compresa solo ponendo l’accento sulla necessità di risolvere giudizialmente il contratto in presenza di un inadempimento sufficientemente grave e sul ruolo che, nell’individuazione di questo requisito, può essere giocato dall’analisi del comportamento processuale del debitore.File | Dimensione | Formato | |
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