Prendendo le mosse dall’interpretazione dottrinale relativa a posizione, ruolo e poteri della Presidenza della Repubblica, in un esame spesso ricorsivo tra i medesimi (Paladin), sono state rilevate le incidenze dell’iperbole segnata dalle prassi presidenziali sulle ricostruzioni teorico-dottrinali che, pertanto, sembrano essersi mosse al traino delle prime. Infatti, soprattutto a partire dalla metà degli anni ottanta, sono state pubblicate ricerche che, in modo sistematico, hanno ricostruito prassi o aspetti delle prassi presidenziali (basti rammentare le pubblicazioni di Baldassarre e Mezzanotte; di Giustino D’Orazio e di Maria Cristina Grisolia), e hanno preso avvio approfonditi incontri di studio dedicati esclusivamente alla figura del Presidente della Repubblica (a partire dal volume curato da Silvestri relativo alla raccolta degli atti del convegno di Messina-Taormina svoltosi durante le giornate 25-27 ottobre 1984). Dato, pertanto per pacifico l’inserimento della Presidenza della Repubblica nella statica della forma di governo parlamentare italiana (Fusaro), si è osservato come la sua incidenza sulla dinamica del sistema parlamentare sia stata registrata, pur sempre alla luce della prassi, quale crescendo in termini di rilievo e centralità in proporzione diretta al progressivo sgretolarsi del sistema politico-partitico (dalla voce enciclopedica sulle Forme di governo di Elia che attribuiva ancora carattere preponderante al sistema partitico-politico, alla riedizione di tale voce da parte di Luciani che la depura dall’incidenza dei partiti, per inserire a pieno titolo, nel funzionamento della forma di governo, tra le altre istituzioni, la stessa Presidenza della Repubblica; giungendo a Bin che rileva la capacità del Capo dello Stato di modificare, col suo operato, lo “spazio topologico” della forma di governo parlamentare italiana). Se, quindi, la centralità della figura del Capo dello Stato nella dinamica della forma di governo italiana è, ormai, un dato acquisito in via di teoria e di prassi, l’acquis raggiunto dalla medesima è stato consacrato anche in via giurisprudenziale, dalla sentenza n. 1 del 2013 della Corte costituzionale. In questo scenario di inestricabile intersezione tra diritto e prassi, si è inserita la Presidenza Napolitano che, pur non introducendo nulla di nuovo sotto il profilo degli enlargement of functions già conosciuti dal nostro sistema attraverso le pratiche inaugurate da precedenti Capi di Stato, ha, tuttavia, potuto sfruttare appieno le potenzialità insiste nell’elastica previsione costituzionale dei poteri presidenziali (Ainis). E, se già altre Presidenze (in particolare quella di Pertini) avevano esperito il tentativo di fare un uso a tutto tondo dei poteri presidenziali (nello scritto si parla di “convergenza parallela” tra prassi), è solo con la Presidenza Napolitano che le ricadute fattuali ed effettuali dei medesimi assumono una connotazione di maggiore incisività, efficacia ed ultimatività. Ciò per il combinato disposto del grado di destrutturazione del sistema politico e del livello di pervasità delle moderne tecnologie nell’enfatizzare tempestivamente gli interventi presidenziali. Poiché così è accaduto dal punto di vista dei fenomeni fattuali ed effettuali, qualificati da imprescindibili aspetti di contingenza, si è, allora, esperito il tentativo di elevare lo sguardo dalle regolarità, per ricondurlo alle regole, al fine di estrapolare dall’operato della Presidenza Napolitano un principio giuridicamente rilevante che ne ha costituito la guida. Si è quindi ravvisato nel principio di efficienza il canone che il Presidente Napolitano ha seguito, sia nell’esercizio dei propri poteri nei momenti di crisi del sistema (e di ricambio politico-istituzionale), sia pungolando le istituzioni competenti ad adottare decisioni, affinché si concentrassero sul “da fare” e sulle riforme da adottare, posponendo e subordinando ogni esigenza di “chiarificazione” politica. Si è inoltre sottolineato come, nel far ciò, il Presidente Napolitano non abbia affatto modificato l’andamento del sistema, ma si sia piuttosto inserito in una dinamica già avviata da tempo all’insegna della democrazia decidente. Così confermando l’opinione dottrinale (Cheli) secondo cui «nella nostra storia istituzionale, il rafforzamento del ruolo e della presenza presidenziale, più che rappresentare una delle cause determinanti di una certa evoluzione della nostra forma di governo, abbia finito piuttosto per segnare la registrazione, a livello di comportamenti costituzionalmente rilevanti, di dinamiche già ampiamente emerse nel tessuto politico e sociale e già ampiamente riflesse nel sistema complessivo degli equilibri costituzionali». E, con essa, l’opinione dottrinale che pone la Presidenza della Repubblica allo snodo tra la forma di governo e la forma di Stato (Ruggeri), in quanto spronare all’efficienza pone, inevitabilmente, sull’altro piatto della bilancia le esigenze di approfondimento deliberativo delle assemblee parlamentari e, con esse, la qualità stessa della democrazia rappresentativa.

La Presidenza della Repubblica e il principio di efficienza nella dinamica della forma di governo parlamentare italiana

MACCABIANI, Nadia
2013-01-01

Abstract

Prendendo le mosse dall’interpretazione dottrinale relativa a posizione, ruolo e poteri della Presidenza della Repubblica, in un esame spesso ricorsivo tra i medesimi (Paladin), sono state rilevate le incidenze dell’iperbole segnata dalle prassi presidenziali sulle ricostruzioni teorico-dottrinali che, pertanto, sembrano essersi mosse al traino delle prime. Infatti, soprattutto a partire dalla metà degli anni ottanta, sono state pubblicate ricerche che, in modo sistematico, hanno ricostruito prassi o aspetti delle prassi presidenziali (basti rammentare le pubblicazioni di Baldassarre e Mezzanotte; di Giustino D’Orazio e di Maria Cristina Grisolia), e hanno preso avvio approfonditi incontri di studio dedicati esclusivamente alla figura del Presidente della Repubblica (a partire dal volume curato da Silvestri relativo alla raccolta degli atti del convegno di Messina-Taormina svoltosi durante le giornate 25-27 ottobre 1984). Dato, pertanto per pacifico l’inserimento della Presidenza della Repubblica nella statica della forma di governo parlamentare italiana (Fusaro), si è osservato come la sua incidenza sulla dinamica del sistema parlamentare sia stata registrata, pur sempre alla luce della prassi, quale crescendo in termini di rilievo e centralità in proporzione diretta al progressivo sgretolarsi del sistema politico-partitico (dalla voce enciclopedica sulle Forme di governo di Elia che attribuiva ancora carattere preponderante al sistema partitico-politico, alla riedizione di tale voce da parte di Luciani che la depura dall’incidenza dei partiti, per inserire a pieno titolo, nel funzionamento della forma di governo, tra le altre istituzioni, la stessa Presidenza della Repubblica; giungendo a Bin che rileva la capacità del Capo dello Stato di modificare, col suo operato, lo “spazio topologico” della forma di governo parlamentare italiana). Se, quindi, la centralità della figura del Capo dello Stato nella dinamica della forma di governo italiana è, ormai, un dato acquisito in via di teoria e di prassi, l’acquis raggiunto dalla medesima è stato consacrato anche in via giurisprudenziale, dalla sentenza n. 1 del 2013 della Corte costituzionale. In questo scenario di inestricabile intersezione tra diritto e prassi, si è inserita la Presidenza Napolitano che, pur non introducendo nulla di nuovo sotto il profilo degli enlargement of functions già conosciuti dal nostro sistema attraverso le pratiche inaugurate da precedenti Capi di Stato, ha, tuttavia, potuto sfruttare appieno le potenzialità insiste nell’elastica previsione costituzionale dei poteri presidenziali (Ainis). E, se già altre Presidenze (in particolare quella di Pertini) avevano esperito il tentativo di fare un uso a tutto tondo dei poteri presidenziali (nello scritto si parla di “convergenza parallela” tra prassi), è solo con la Presidenza Napolitano che le ricadute fattuali ed effettuali dei medesimi assumono una connotazione di maggiore incisività, efficacia ed ultimatività. Ciò per il combinato disposto del grado di destrutturazione del sistema politico e del livello di pervasità delle moderne tecnologie nell’enfatizzare tempestivamente gli interventi presidenziali. Poiché così è accaduto dal punto di vista dei fenomeni fattuali ed effettuali, qualificati da imprescindibili aspetti di contingenza, si è, allora, esperito il tentativo di elevare lo sguardo dalle regolarità, per ricondurlo alle regole, al fine di estrapolare dall’operato della Presidenza Napolitano un principio giuridicamente rilevante che ne ha costituito la guida. Si è quindi ravvisato nel principio di efficienza il canone che il Presidente Napolitano ha seguito, sia nell’esercizio dei propri poteri nei momenti di crisi del sistema (e di ricambio politico-istituzionale), sia pungolando le istituzioni competenti ad adottare decisioni, affinché si concentrassero sul “da fare” e sulle riforme da adottare, posponendo e subordinando ogni esigenza di “chiarificazione” politica. Si è inoltre sottolineato come, nel far ciò, il Presidente Napolitano non abbia affatto modificato l’andamento del sistema, ma si sia piuttosto inserito in una dinamica già avviata da tempo all’insegna della democrazia decidente. Così confermando l’opinione dottrinale (Cheli) secondo cui «nella nostra storia istituzionale, il rafforzamento del ruolo e della presenza presidenziale, più che rappresentare una delle cause determinanti di una certa evoluzione della nostra forma di governo, abbia finito piuttosto per segnare la registrazione, a livello di comportamenti costituzionalmente rilevanti, di dinamiche già ampiamente emerse nel tessuto politico e sociale e già ampiamente riflesse nel sistema complessivo degli equilibri costituzionali». E, con essa, l’opinione dottrinale che pone la Presidenza della Repubblica allo snodo tra la forma di governo e la forma di Stato (Ruggeri), in quanto spronare all’efficienza pone, inevitabilmente, sull’altro piatto della bilancia le esigenze di approfondimento deliberativo delle assemblee parlamentari e, con esse, la qualità stessa della democrazia rappresentativa.
2013
9788895610177
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