Guardando al profilo dinamico delle forme di governo, il principio maggioritario viene declinato in funzionamento maggioritario delle medesime. Esso è il risultato di fattori giuridici e politici, di regole e regolarità, insomma. Nella prima direzione (quella giuridica), l’intento maggioritario è sotteso a numerose riforme che hanno interessato, nel nostro ordinamento, non solo gli enti locali e le regioni, ma anche il livello statale. Dalle riforme del 1993 relative al sistema elettorale ed alla forma di governo degli enti locali alla riforma elettorale regionale del 1995, alla riforma costituzionale del 1999 che “suggerisce” la forma di governo regionale (e la impone in via transitoria); alle riforme elettorali del 1993 relative all’elezione di Camera e Senato, per giungere alle riforme dei regolamenti parlamentari (a partire dal 1988, quindi nel 1990, nel 1997 e nel 1999), e concludere con la l. n. 270 del 2005 che, modificando le leggi elettorali di Camera e Senato, assicura il premio di maggioranza alla lista o alla coalizione che abbia ottenuto più voti. Nella seconda direzione (quella politica), l’intento maggioritario trova riscontro in talune regolarità derivanti dall’applicazione distorta delle vigenti regole giuridiche. In particolare, si assiste ad uno “scardinamento” del sistema delle fonti del diritto (con perdita della “classica” centralità ed importanza della legge del parlamento a favore di atti – legislativi e non legislativi – adottati dall’esecutivo) che a sua volta riflette uno “scardinamento” ben più grave, quello dell’equilibrio nel rapporto tra governo ed assemblee elettive. Basti, in merito, ricordare l’abuso della questione di fiducia, dato sintomatico dell’insofferenza della maggioranza al potere per il dibattito parlamentare e la democrazia rappresentativa. Tanto più grave in un sistema, come il nostro, che non ha – giuridicamente, innanzitutto – sviluppato adeguati contrappesi al decisionismo maggioritario. Il principio maggioritario deve allora trovare un temperamento ed un bilanciamento non solo con il principio della democrazia pluralista e rappresentativa, ma anche – concretamente – con il livello degli interessi gestiti dalla forma di governo che intende seguirlo nella propria dinamica funzionale. Ed allora, esaminato il rilievo giuridico-costituzionale delle posizioni soggettive gestite dai vari livelli di governo, prendendo le mosse da quello locale, passando per il regionale e giungendo a quello statale, sembra indubbio che è con riguardo a quest’ultimo che premono maggiormente le istanze garantistiche in termini di pluralismo e rappresentanza. Conseguentemente, è riguardo a quest’ultimo livello che più desta preoccupazione la torsione maggioritaria nel funzionamento della forma di governo senza che siano state introdotte adeguate garanzie a presidio degli interessi delle minoranze. Ed è qui che si rivela tendenzialmente irrisolto il c.d. dilemma del principio maggioritario.

La virata in senso maggioritario dei livelli di governo e le corrispondenti ricadute nell'ordinamento italiano

MACCABIANI, Nadia
2008-01-01

Abstract

Guardando al profilo dinamico delle forme di governo, il principio maggioritario viene declinato in funzionamento maggioritario delle medesime. Esso è il risultato di fattori giuridici e politici, di regole e regolarità, insomma. Nella prima direzione (quella giuridica), l’intento maggioritario è sotteso a numerose riforme che hanno interessato, nel nostro ordinamento, non solo gli enti locali e le regioni, ma anche il livello statale. Dalle riforme del 1993 relative al sistema elettorale ed alla forma di governo degli enti locali alla riforma elettorale regionale del 1995, alla riforma costituzionale del 1999 che “suggerisce” la forma di governo regionale (e la impone in via transitoria); alle riforme elettorali del 1993 relative all’elezione di Camera e Senato, per giungere alle riforme dei regolamenti parlamentari (a partire dal 1988, quindi nel 1990, nel 1997 e nel 1999), e concludere con la l. n. 270 del 2005 che, modificando le leggi elettorali di Camera e Senato, assicura il premio di maggioranza alla lista o alla coalizione che abbia ottenuto più voti. Nella seconda direzione (quella politica), l’intento maggioritario trova riscontro in talune regolarità derivanti dall’applicazione distorta delle vigenti regole giuridiche. In particolare, si assiste ad uno “scardinamento” del sistema delle fonti del diritto (con perdita della “classica” centralità ed importanza della legge del parlamento a favore di atti – legislativi e non legislativi – adottati dall’esecutivo) che a sua volta riflette uno “scardinamento” ben più grave, quello dell’equilibrio nel rapporto tra governo ed assemblee elettive. Basti, in merito, ricordare l’abuso della questione di fiducia, dato sintomatico dell’insofferenza della maggioranza al potere per il dibattito parlamentare e la democrazia rappresentativa. Tanto più grave in un sistema, come il nostro, che non ha – giuridicamente, innanzitutto – sviluppato adeguati contrappesi al decisionismo maggioritario. Il principio maggioritario deve allora trovare un temperamento ed un bilanciamento non solo con il principio della democrazia pluralista e rappresentativa, ma anche – concretamente – con il livello degli interessi gestiti dalla forma di governo che intende seguirlo nella propria dinamica funzionale. Ed allora, esaminato il rilievo giuridico-costituzionale delle posizioni soggettive gestite dai vari livelli di governo, prendendo le mosse da quello locale, passando per il regionale e giungendo a quello statale, sembra indubbio che è con riguardo a quest’ultimo che premono maggiormente le istanze garantistiche in termini di pluralismo e rappresentanza. Conseguentemente, è riguardo a quest’ultimo livello che più desta preoccupazione la torsione maggioritaria nel funzionamento della forma di governo senza che siano state introdotte adeguate garanzie a presidio degli interessi delle minoranze. Ed è qui che si rivela tendenzialmente irrisolto il c.d. dilemma del principio maggioritario.
2008
9788895610030
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