LONG ABSTRACT. § INTRODUZIONE (CONTESTO DI RIFERIMENTO). Nel decennio precedente allo sviluppo della ricerca, vi è stato un crescente impulso da parte di studiosi, società di consulenza, associazioni professionali nel sollecitare le aziende a comunicare più di quanto fosse loro imposto dalla normativa e dalle regolamentazioni di riferimento, prevalentemente centrate sul profilo “contabile” della gestione. La gestione aziendale risulta così complessa e ricca di ambiti importanti che chiunque sia interessato all’analisi del suo andamento economico (i diversi stakeholder) deve poter conoscere: per tale ragione il bilancio, inteso nella sua tradizionale accezione prettamente “contabile”, non è da solo in grado di soddisfare tale crescente ed articolato fabbisogno informativo, soprattutto se inteso in modo tradizionale. Alcune aziende hanno pertanto iniziato a prendere coscienza di questa accresciuta domanda, inserendo su base volontaria ulteriori informazioni nel loro tipico documento periodico a rilevanza esterna, proprio costituito dal bilancio e dai suoi allegati. Il grado di disclosure sulla gestione tende così ad ampliarsi, favorendo il migliore apprezzamento della situazione aziendale da parte degli utenti interessati. Tuttavia, di là delle enunciazioni, la valutazione del reale grado di apertura informativa verso l’esterno richiede indagini sistematiche, oggetto della ricerca. § SCOPO. Il volume che comprende il capitolo, contiene i risultati di un’ampia ricerca volta a determinare in che misura le aziende italiane, quotate e non, comunicano nei loro bilanci informazioni di tipo volontario. L’obiettivo complessivo del volume consiste pertanto nel fornire un contributo all’apprezzamento del grado di disclosure volontaria delle aziende italiane. Tenuto conto che nella realtà del nostro Paese le società quotate esprimono una frazione molto limitata dell’universo delle aziende, si è ritenuto opportuno estendere tale indagine anche alle società non quotate, sia pur caratterizzate da una dimensione ampia, generalmente non approfondite in altri studi. Inoltre, considerando le concrete differenziazioni esistenti tra le imprese, si è ritenuto opportuno declinare l’analisi in base al settore di attività, in quanto anche studi recenti (ad esempio Fasb, 2001; Di Piazza – Eccles, 2002) evidenziano come l’informativa volontaria debba essere specifica per settore, tenuto conto del fatto che ciascuno presenta delle peculiarità gestionali (produttive, competitive, socio-ambientali, ecc.) tali da rendere necessario lo sviluppo di autonomi modelli di disclosure. Nell’ambito della ricerca, visto il suo carattere sperimentale e preliminare, si è utilizzata una definizione assai ampia di settore, anche se in taluni casi si è cercato di circoscriverne i confini: analisi successive potrebbero maggiormente enfatizzare comparti specifici di attività o, comunque, identificare gruppi strategici caratterizzati da comunanza di fattori critici, in grado di guidare più efficacemente i processi comunicativi comuni. Il volume è composto da cinque capitoli: nel primo vengono definiti i tratti caratteristici ed i modelli di riferimento dell’informativa volontaria; il secondo capitolo descrive i profili informativi indagati che coprono, nel loro complesso, i più significativi ambiti di interesse dell’informativa volontaria e le singole variabili ad essi riconducibili; i successivi tre capitoli, invece, fanno esplicito riferimento ai risultati dell’analisi empirica, completati da analisi di ordine qualitativo e interpretativo. Nell’ambito del quadro delineato, lo scopo del capitolo è proporre la sintesi commentata dei risultati emersi nella ricerca, con riferimento ai settori di attività. Obiettivo è quindi individuare, ponendo l’attenzione sui valori complessivi rilevati, il grado di propensione alla disclosure volontaria dei singoli settori di attività, enfatizzandone due caratteristiche fondamentali: l’orientamento verso la comunicazione (posizione relativa) e la similarità di comportamento delle imprese appartenenti al medesimo settore (variabilità). Inoltre, dall’analisi congiunta delle due caratteristiche, si vuole definire uno schema di classificazione dei settori in funzione della propensione a comunicare e della diffusione della comunicazione. § METODOLOGIA. I settori analizzati sono stati individuati utilizzando le classificazioni per settore di Borsa Italiana e di Mediobanca. Sono stati identificati i seguenti: abbigliamento; motoristico e automobilistico; bancario; calzaturiero; ceramico e cementifero; chimico; costruzioni; farmaceutico; gomma; information technology; metallurgico e minerario; mobile; petrolifero; trasporti; utilities. Per ciascun settore sono state considerate le società quotate presso Borsa Italiana (fino ad un massimo di cinque per settore) e, tra le società non quotate, le prime cinque per fatturato, con riferimento alla classifica Mediobanca. In totale sono state analizzate 133 società. Per ogni impresa la fonte informativa è principalmente rappresentata dalla relazione sulla gestione contenuta nel bilancio individuale e consolidato. Per ciascuna impresa sono state rilevate le variabili relative a tredici profili informativi: gruppo di riferimento; personale; processi e prodotti; background aziendale; scenario competitivo; clientela; segmento operativo; corporate governance; ricerca, sviluppo, tecnologia ed innovazione; sociale; ambientale; economico-finanziario; rischi e strategie. Tali profili comprendono nel loro assieme le principali variabili riconducibili all’informativa volontaria. Nel complesso, per ogni azienda sono stati 354 gli item informativi per i quali si è proceduto a rilevare la presenza e la ricchezza del contenuto informativo. Per ciascuno di tali item è stato attribuito un punteggio con la seguente scala: - nessuna informazione fornita = 0; - informazione sufficiente ma priva di dettagli poiché esiste solo il dato qualitativo o quantitativo = 1; - informazione buona, contenente dettagli quantitativi o quantomeno una sistematica rappresentazione della variabile indagata = 2. Per omogeneizzare l’attribuzione dei punteggi da parte del gruppo di lavoro e tipicamente in un approccio prossimo a forme parziali di content analysis, sono state fatte alcune rilevazioni preliminari comuni sui bilanci, al fine di raggiungere il necessario livello di omogeneità. Nel capitolo specifico, si sono utilizzati indicatori di posizione e di variabilità, con lo scopo di effettuare un’analisi comparativa e proporre una classificazione dei settori esaminati secondo il grado di apertura informativa. § PRINCIPALI RISULTATI. I risultati ottenuti evidenziano una relazione di proporzionalità diretta tra punteggio ottenuto e dimensione aziendale: in quasi tutti i settori si osserva una correlazione positiva e significativa tra i due elementi citati, come in parte era nelle attese. Le società quotate, globalmente comunicano in misura maggiore rispetto alle non quotate e con minore grado di variabilità, anche se la maggiore o minore propensione alla comunicazione di informazioni dipende da molteplici elementi, tra cui la quotazione assume certamente un peso rilevante, anche se il fattore trainante verso la trasparenza è sempre rinvenibile nella cultura aziendale. Il ruolo della regolamentazione è rilevante se si considera che i profili informativi che hanno ottenuto i punteggi relativi più alti sono la corporate governance, le informazioni sul gruppo, le informazioni di background per le quotate; le informazioni sul gruppo e di background per le non quotate, dove però va registrata una minore convergenza. Si tratta, infatti, di profili informativi definibili “semi-volontari”. Di contro vi sono alcuni ambiti informativi che sono sconsolatamente trascurati e dove non esistono differenze tra imprese quotate e non quotate: si identificano nei profili socio-ambientale, relativo allo scenario competitivo ed alla clientela, connesso alla ricerca, sviluppo, tecnologia ed innovazione. Le ragioni principali di questa ultima situazione possono essere ricondotte alla scarsa domanda informativa esterna oltre che all’errata percezione del senso di “segretezza informativa” che, laddove venisse meno, comporterebbe il rischio di esternalità negative per l’impresa. Dall’analisi dei risultati complessivi è apparsa evidente l’esistenza di differenze nei processi comunicativi tra i singoli settori: va comunque rilevata la prevalenza del generale sul particolare. Si osserva l’assenza di un denominatore comune: non si porta avanti una comunicazione globale, con enfasi su tutti gli elementi rilevanti ma si enfatizzano solamente alcuni aspetti che non fanno certamente ravvisare l’esistenza di un disegno comune all’interno del settore. Non si intravedono, pertanto, quei processi comunicativi di cui molto si parla e finalizzati a contribuire alla creazione di valore, al mantenimento dell’immagine e della credibilità strategica. Non emergono, almeno in termini generali, best practices di settore che possano attivare situazioni di emulazione, prospettando l’ipotesi di comunicazione di tipo pull. In termini di settori, i risultati migliori si riscontrano nel petrolifero; i meno soddisfacenti nell’abbigliamento. § GRADO DI ORIGINALITA'. Oltre all’ampiezza e alla profondità che caratterizza la ricerca nel contesto nazionale, essa attribuisce rilevanza anche alle imprese non quotate, generalmente escluse da questo tipo di indagine ma determinanti nel contesto economico italiano: in questo modo è possibile rendersi conto del complessivo grado di diffusione dell’informativa volontaria e della relativa differenziazione a seconda del fatto che l’azienda sia quotata o non quotata, differenza certamente nota ma non quantificata. Inoltre l’analisi poggia sul settore di attività, così da determinarne da una parte le differenze tra i principali esaminati e dall’altra l’evidenziazione dell’eventuale presenza di “modelli informativi” distintivi propri del settore che, seppur non esplicitamente “pensati” e proposti da uno specifico organismo di riferimento, potrebbero essersi sviluppati nella realtà operativa a seguito della diffusione tacita di comportamenti omogenei. Questo potrebbe rappresentare la base per lo sviluppo di autonomi modelli di informativa settoriale, nello spirito di una rappresentazione sempre più efficace della realtà aziendale. Nel capitolo di riferimento, oltre all’analisi comparativa e sistematica del livello di comunicazione dei singoli settori e dell’omogeneità di comportamento al loro interno, si classificano i settori al fine di determinarne caratteristiche e posizioni relative. § TIPOLOGIA DI PRODOTTO. Capitolo in volume di ricerca

L'analisi complessiva: i settori di attività

TEODORI, Claudio
2005-01-01

Abstract

LONG ABSTRACT. § INTRODUZIONE (CONTESTO DI RIFERIMENTO). Nel decennio precedente allo sviluppo della ricerca, vi è stato un crescente impulso da parte di studiosi, società di consulenza, associazioni professionali nel sollecitare le aziende a comunicare più di quanto fosse loro imposto dalla normativa e dalle regolamentazioni di riferimento, prevalentemente centrate sul profilo “contabile” della gestione. La gestione aziendale risulta così complessa e ricca di ambiti importanti che chiunque sia interessato all’analisi del suo andamento economico (i diversi stakeholder) deve poter conoscere: per tale ragione il bilancio, inteso nella sua tradizionale accezione prettamente “contabile”, non è da solo in grado di soddisfare tale crescente ed articolato fabbisogno informativo, soprattutto se inteso in modo tradizionale. Alcune aziende hanno pertanto iniziato a prendere coscienza di questa accresciuta domanda, inserendo su base volontaria ulteriori informazioni nel loro tipico documento periodico a rilevanza esterna, proprio costituito dal bilancio e dai suoi allegati. Il grado di disclosure sulla gestione tende così ad ampliarsi, favorendo il migliore apprezzamento della situazione aziendale da parte degli utenti interessati. Tuttavia, di là delle enunciazioni, la valutazione del reale grado di apertura informativa verso l’esterno richiede indagini sistematiche, oggetto della ricerca. § SCOPO. Il volume che comprende il capitolo, contiene i risultati di un’ampia ricerca volta a determinare in che misura le aziende italiane, quotate e non, comunicano nei loro bilanci informazioni di tipo volontario. L’obiettivo complessivo del volume consiste pertanto nel fornire un contributo all’apprezzamento del grado di disclosure volontaria delle aziende italiane. Tenuto conto che nella realtà del nostro Paese le società quotate esprimono una frazione molto limitata dell’universo delle aziende, si è ritenuto opportuno estendere tale indagine anche alle società non quotate, sia pur caratterizzate da una dimensione ampia, generalmente non approfondite in altri studi. Inoltre, considerando le concrete differenziazioni esistenti tra le imprese, si è ritenuto opportuno declinare l’analisi in base al settore di attività, in quanto anche studi recenti (ad esempio Fasb, 2001; Di Piazza – Eccles, 2002) evidenziano come l’informativa volontaria debba essere specifica per settore, tenuto conto del fatto che ciascuno presenta delle peculiarità gestionali (produttive, competitive, socio-ambientali, ecc.) tali da rendere necessario lo sviluppo di autonomi modelli di disclosure. Nell’ambito della ricerca, visto il suo carattere sperimentale e preliminare, si è utilizzata una definizione assai ampia di settore, anche se in taluni casi si è cercato di circoscriverne i confini: analisi successive potrebbero maggiormente enfatizzare comparti specifici di attività o, comunque, identificare gruppi strategici caratterizzati da comunanza di fattori critici, in grado di guidare più efficacemente i processi comunicativi comuni. Il volume è composto da cinque capitoli: nel primo vengono definiti i tratti caratteristici ed i modelli di riferimento dell’informativa volontaria; il secondo capitolo descrive i profili informativi indagati che coprono, nel loro complesso, i più significativi ambiti di interesse dell’informativa volontaria e le singole variabili ad essi riconducibili; i successivi tre capitoli, invece, fanno esplicito riferimento ai risultati dell’analisi empirica, completati da analisi di ordine qualitativo e interpretativo. Nell’ambito del quadro delineato, lo scopo del capitolo è proporre la sintesi commentata dei risultati emersi nella ricerca, con riferimento ai settori di attività. Obiettivo è quindi individuare, ponendo l’attenzione sui valori complessivi rilevati, il grado di propensione alla disclosure volontaria dei singoli settori di attività, enfatizzandone due caratteristiche fondamentali: l’orientamento verso la comunicazione (posizione relativa) e la similarità di comportamento delle imprese appartenenti al medesimo settore (variabilità). Inoltre, dall’analisi congiunta delle due caratteristiche, si vuole definire uno schema di classificazione dei settori in funzione della propensione a comunicare e della diffusione della comunicazione. § METODOLOGIA. I settori analizzati sono stati individuati utilizzando le classificazioni per settore di Borsa Italiana e di Mediobanca. Sono stati identificati i seguenti: abbigliamento; motoristico e automobilistico; bancario; calzaturiero; ceramico e cementifero; chimico; costruzioni; farmaceutico; gomma; information technology; metallurgico e minerario; mobile; petrolifero; trasporti; utilities. Per ciascun settore sono state considerate le società quotate presso Borsa Italiana (fino ad un massimo di cinque per settore) e, tra le società non quotate, le prime cinque per fatturato, con riferimento alla classifica Mediobanca. In totale sono state analizzate 133 società. Per ogni impresa la fonte informativa è principalmente rappresentata dalla relazione sulla gestione contenuta nel bilancio individuale e consolidato. Per ciascuna impresa sono state rilevate le variabili relative a tredici profili informativi: gruppo di riferimento; personale; processi e prodotti; background aziendale; scenario competitivo; clientela; segmento operativo; corporate governance; ricerca, sviluppo, tecnologia ed innovazione; sociale; ambientale; economico-finanziario; rischi e strategie. Tali profili comprendono nel loro assieme le principali variabili riconducibili all’informativa volontaria. Nel complesso, per ogni azienda sono stati 354 gli item informativi per i quali si è proceduto a rilevare la presenza e la ricchezza del contenuto informativo. Per ciascuno di tali item è stato attribuito un punteggio con la seguente scala: - nessuna informazione fornita = 0; - informazione sufficiente ma priva di dettagli poiché esiste solo il dato qualitativo o quantitativo = 1; - informazione buona, contenente dettagli quantitativi o quantomeno una sistematica rappresentazione della variabile indagata = 2. Per omogeneizzare l’attribuzione dei punteggi da parte del gruppo di lavoro e tipicamente in un approccio prossimo a forme parziali di content analysis, sono state fatte alcune rilevazioni preliminari comuni sui bilanci, al fine di raggiungere il necessario livello di omogeneità. Nel capitolo specifico, si sono utilizzati indicatori di posizione e di variabilità, con lo scopo di effettuare un’analisi comparativa e proporre una classificazione dei settori esaminati secondo il grado di apertura informativa. § PRINCIPALI RISULTATI. I risultati ottenuti evidenziano una relazione di proporzionalità diretta tra punteggio ottenuto e dimensione aziendale: in quasi tutti i settori si osserva una correlazione positiva e significativa tra i due elementi citati, come in parte era nelle attese. Le società quotate, globalmente comunicano in misura maggiore rispetto alle non quotate e con minore grado di variabilità, anche se la maggiore o minore propensione alla comunicazione di informazioni dipende da molteplici elementi, tra cui la quotazione assume certamente un peso rilevante, anche se il fattore trainante verso la trasparenza è sempre rinvenibile nella cultura aziendale. Il ruolo della regolamentazione è rilevante se si considera che i profili informativi che hanno ottenuto i punteggi relativi più alti sono la corporate governance, le informazioni sul gruppo, le informazioni di background per le quotate; le informazioni sul gruppo e di background per le non quotate, dove però va registrata una minore convergenza. Si tratta, infatti, di profili informativi definibili “semi-volontari”. Di contro vi sono alcuni ambiti informativi che sono sconsolatamente trascurati e dove non esistono differenze tra imprese quotate e non quotate: si identificano nei profili socio-ambientale, relativo allo scenario competitivo ed alla clientela, connesso alla ricerca, sviluppo, tecnologia ed innovazione. Le ragioni principali di questa ultima situazione possono essere ricondotte alla scarsa domanda informativa esterna oltre che all’errata percezione del senso di “segretezza informativa” che, laddove venisse meno, comporterebbe il rischio di esternalità negative per l’impresa. Dall’analisi dei risultati complessivi è apparsa evidente l’esistenza di differenze nei processi comunicativi tra i singoli settori: va comunque rilevata la prevalenza del generale sul particolare. Si osserva l’assenza di un denominatore comune: non si porta avanti una comunicazione globale, con enfasi su tutti gli elementi rilevanti ma si enfatizzano solamente alcuni aspetti che non fanno certamente ravvisare l’esistenza di un disegno comune all’interno del settore. Non si intravedono, pertanto, quei processi comunicativi di cui molto si parla e finalizzati a contribuire alla creazione di valore, al mantenimento dell’immagine e della credibilità strategica. Non emergono, almeno in termini generali, best practices di settore che possano attivare situazioni di emulazione, prospettando l’ipotesi di comunicazione di tipo pull. In termini di settori, i risultati migliori si riscontrano nel petrolifero; i meno soddisfacenti nell’abbigliamento. § GRADO DI ORIGINALITA'. Oltre all’ampiezza e alla profondità che caratterizza la ricerca nel contesto nazionale, essa attribuisce rilevanza anche alle imprese non quotate, generalmente escluse da questo tipo di indagine ma determinanti nel contesto economico italiano: in questo modo è possibile rendersi conto del complessivo grado di diffusione dell’informativa volontaria e della relativa differenziazione a seconda del fatto che l’azienda sia quotata o non quotata, differenza certamente nota ma non quantificata. Inoltre l’analisi poggia sul settore di attività, così da determinarne da una parte le differenze tra i principali esaminati e dall’altra l’evidenziazione dell’eventuale presenza di “modelli informativi” distintivi propri del settore che, seppur non esplicitamente “pensati” e proposti da uno specifico organismo di riferimento, potrebbero essersi sviluppati nella realtà operativa a seguito della diffusione tacita di comportamenti omogenei. Questo potrebbe rappresentare la base per lo sviluppo di autonomi modelli di informativa settoriale, nello spirito di una rappresentazione sempre più efficace della realtà aziendale. Nel capitolo di riferimento, oltre all’analisi comparativa e sistematica del livello di comunicazione dei singoli settori e dell’omogeneità di comportamento al loro interno, si classificano i settori al fine di determinarne caratteristiche e posizioni relative. § TIPOLOGIA DI PRODOTTO. Capitolo in volume di ricerca
2005
9788846469380
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