Il lavoro monografico intende indagare la disciplina della flessibilità del lavoro nella sua connessione con gli interessi organizzativi del datore di lavoro che, di volta in volta, vengono in rilievo. Nel primo capitolo, L’A. individua gli interessi sottesi alla regolazione delle tipologie di lavoro flessibile, segnalando come a ciascun interesse corrisponde uno specifico profilo di disciplina. Secondo l’A., detti profili sono sintomatici di una linea di tendenza del nostro ordinamento, per cui ogni volta che sia possibile individuare, anche in ipotesi non espressamente regolate dalla legge, la necessità di tutela dei medesimi interessi, è possibile applicare analogicamente le stesse tutele. L’A. individua, in proposito, un’analogia tra la regolazione dell’apposizione del termine al contratto di lavoro e la disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; in quest’ottica, le ragioni giustificative per l’apposizione del termine hanno la stessa funzione del g.m.o., poiché consentono al datore di recedere alla cessazione dell’esigenza organizzativa che sorregge la prestazione lavorativa. Da questo punto di vista, la disciplina del contratto a termine “acausale” potrebbe porsi in contrasto con il principio, riconosciuto anche dal diritto comunitario e internazionale, della necessaria giustificazione del licenziamento. Nel secondo capitolo, poi, la disciplina della flessibilità del lavoro viene posta in relazione al potere organizzativo del datore di lavoro. L’ipotesi di partenza è che le tipologie di lavoro flessibile rispondano a esigenze organizzative ben definite, espresse dalle causali di ricorso a dette tipologie. In questa prospettiva, il datore di lavoro ricorre alla flessibilità in presenza degli interessi organizzativi predeterminati dalla legge, sul presupposto che si tratti di ipotesi in qualche misura eccezionali rispetto alla tendenziale stabilità dell’organizzazione produttiva. Nel terzo capitolo, infine, l’A. analizza le tecniche di tutela dei lavoratori flessibili, alla luce delle indicazioni ricavabili dall’ordinamento comunitario. In quest’ottica, l’A. si sofferma anzitutto sul divieto di discriminazione dei lavoratori atipici, che costituisce il nucleo forte della disciplina nazionale e comunitaria. Secondo l’A., detto divieto, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, si avvia a diventare un principio generale del diritto comunitario. In secondo luogo, l’A. analizza la previsione che impone agli Stati membri di introdurre misure volte ad evitare gli abusi nel ricorso al contratto a tempo determinato e alla somministrazione di lavoro. Secondo l’A., le più recenti modifiche introdotte nella disciplina del contratto a termine si potrebbero porre in contrasto, da un lato, con le direttive 99/70/CE e 2008/104/CE, dall’altro con il principio della giustificazione del licenziamento. Secondo l’A., infine, benchè non espressamente previsto dalla dir. 97/81/CE, gli Stati membri devono anche evitare abusi nel ricorso al part-time, attraverso la valorizzazione del requisito della volontarietà dell’accesso alla suddetta tipologia contrattuale.

Flessibilità del lavoro e potere organizzativo

ALESSI, Cristina
2012-01-01

Abstract

Il lavoro monografico intende indagare la disciplina della flessibilità del lavoro nella sua connessione con gli interessi organizzativi del datore di lavoro che, di volta in volta, vengono in rilievo. Nel primo capitolo, L’A. individua gli interessi sottesi alla regolazione delle tipologie di lavoro flessibile, segnalando come a ciascun interesse corrisponde uno specifico profilo di disciplina. Secondo l’A., detti profili sono sintomatici di una linea di tendenza del nostro ordinamento, per cui ogni volta che sia possibile individuare, anche in ipotesi non espressamente regolate dalla legge, la necessità di tutela dei medesimi interessi, è possibile applicare analogicamente le stesse tutele. L’A. individua, in proposito, un’analogia tra la regolazione dell’apposizione del termine al contratto di lavoro e la disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; in quest’ottica, le ragioni giustificative per l’apposizione del termine hanno la stessa funzione del g.m.o., poiché consentono al datore di recedere alla cessazione dell’esigenza organizzativa che sorregge la prestazione lavorativa. Da questo punto di vista, la disciplina del contratto a termine “acausale” potrebbe porsi in contrasto con il principio, riconosciuto anche dal diritto comunitario e internazionale, della necessaria giustificazione del licenziamento. Nel secondo capitolo, poi, la disciplina della flessibilità del lavoro viene posta in relazione al potere organizzativo del datore di lavoro. L’ipotesi di partenza è che le tipologie di lavoro flessibile rispondano a esigenze organizzative ben definite, espresse dalle causali di ricorso a dette tipologie. In questa prospettiva, il datore di lavoro ricorre alla flessibilità in presenza degli interessi organizzativi predeterminati dalla legge, sul presupposto che si tratti di ipotesi in qualche misura eccezionali rispetto alla tendenziale stabilità dell’organizzazione produttiva. Nel terzo capitolo, infine, l’A. analizza le tecniche di tutela dei lavoratori flessibili, alla luce delle indicazioni ricavabili dall’ordinamento comunitario. In quest’ottica, l’A. si sofferma anzitutto sul divieto di discriminazione dei lavoratori atipici, che costituisce il nucleo forte della disciplina nazionale e comunitaria. Secondo l’A., detto divieto, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, si avvia a diventare un principio generale del diritto comunitario. In secondo luogo, l’A. analizza la previsione che impone agli Stati membri di introdurre misure volte ad evitare gli abusi nel ricorso al contratto a tempo determinato e alla somministrazione di lavoro. Secondo l’A., le più recenti modifiche introdotte nella disciplina del contratto a termine si potrebbero porre in contrasto, da un lato, con le direttive 99/70/CE e 2008/104/CE, dall’altro con il principio della giustificazione del licenziamento. Secondo l’A., infine, benchè non espressamente previsto dalla dir. 97/81/CE, gli Stati membri devono anche evitare abusi nel ricorso al part-time, attraverso la valorizzazione del requisito della volontarietà dell’accesso alla suddetta tipologia contrattuale.
2012
9788834837610
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