La riforma elettorale del 1993, abbandonando la formula proporzionale a favore di un sistema elettorale fondato prevalentemente su collegi uninominali maggioritari, ha dato inizio ad un lento processo di trasformazione del sistema dei partiti che ha avuto ricadute sullo stesso funzionamento della forma di governo. In primo luogo, si è assistito ad una progressiva bipolarizzazione delle forze politiche che, raggruppandosi in coalizioni, hanno preso a presentare nei collegi uninominali candidati comuni; nel rapporto dialettico tra Governo e Parlamento, poi, si è potuto registrare un forte rafforzamento del primo sul secondo (nonché del Presidente del Consiglio sulla collegialità del Consiglio dei Ministri), frutto di una maggiore compattezza delle maggioranze e di una progressiva stabilizzazione dei loro leader, destinati a rivestire la carica di Presidente del Consiglio. Durante la XIV legislatura, quando il collegio uninominale sembrava aver prodotto buoni risultati sul rendimento della forma di governo parlamentare, sono state votate dal Parlamento riforme volte a riprodurre anche a livello nazionale le soluzioni che erano state sperimentate a livello regionale e degli enti locali (modifica delle leggi elettorali che abbinava alla formula proporzionale un premio in seggi per la coalizione vittoriosa, elezione diretta degli esecutivi, meccanismo del simul stabunt, simul cadent). Il duplice intervento riformatore agiva sul sistema elettorale, con la legge n. 270 del 2005, e sulla forma di governo, con l’estesa revisione della II parte della Costituzione nel senso di un rafforzamento della posizione dell’Esecutivo (non realizzatosi, tuttavia, a causa dell’esito negativo del referendum costituzionale del 2006). Con riferimento alle modifiche introdotte al sistema elettorale, la Camera dei deputati e il Senato vengono oggi eletti (il secondo su base regionale) con un sistema proporzionale, corretto da un premio di maggioranza, volto a conservare la dinamica bipolare affermatasi nel nostro sistema politico. Il premio in seggi, infatti, induce i partiti a creare coalizioni che comprendano il maggior numero possibile di liste (circostanza in realtà produttiva di frammentazione politica), indicando un comune programma ed un comune «capo della coalizione», proprio in vista della conquista dei seggi supplementari capaci di consegnare loro la maggioranza dell’assemblea da eleggere. L’analisi è volta a dimostrare come, a seguito di tale riforma elettorale, la funzione di sintesi politica delle istanze provenienti dalla società si realizzi con sempre maggiore difficoltà attraverso il circuito partitico-parlamentare, dal momento che, con i nuovi modelli adottati, si rinuncia definitivamente a stimolare un processo di aggregazione dal basso, mediante l’integrazione politica nella società ed in particolare dentro quei corpi intermedi tra società ed istituzioni che sono stati i partiti politici. Formalizzando una candidatura alla “premiership”, si alimenta altresì una pericolosa contrapposizione tra due canali di legittimazione alternativi, quello politico-partitico e quello elettorale-popolare, laddove il primo, che sostiene il Parlamento, è destinato a soccombere rispetto al secondo, che sorregge il Governo, accentuando così la crisi di rappresentatività delle nostre Assemblee parlamentari e destrutturando le basi di una autonoma legittimazione dei loro membri (la cui elezione dipende dall’esito della competizione elettorale tra i leader nazionali, e nell’ambito di un sistema elettorale edificato su liste bloccate, presentate con riferimento ad enormi circoscrizioni elettorali, che escludono la possibilità di costruire un autentico rapporto rappresentativo con l’elettorato). Secondo la tesi del saggio, rendendo più difficoltoso il ruolo dei partiti politici attraverso una personalizzazione della politica che tende ad accentrare in un’unica figura il potere dello Stato, il modello che si fonda sull’accoppiata “proporzionale più premio” e che costruisce canali di legittimazione alternativa a quella partitico-parlamentare, rafforzando gli Esecutivi in assenza dei limiti tipici della forma di governo presidenziale, finisce quindi per mettere sotto scacco i caratteri della democrazia rappresentativa a favore di una più flebile democrazia di mandato.

La manipolazione del sistema elettorale proporzionale e il declino della democrazia rappresentativa

SPADACINI, Lorenzo
2008-01-01

Abstract

La riforma elettorale del 1993, abbandonando la formula proporzionale a favore di un sistema elettorale fondato prevalentemente su collegi uninominali maggioritari, ha dato inizio ad un lento processo di trasformazione del sistema dei partiti che ha avuto ricadute sullo stesso funzionamento della forma di governo. In primo luogo, si è assistito ad una progressiva bipolarizzazione delle forze politiche che, raggruppandosi in coalizioni, hanno preso a presentare nei collegi uninominali candidati comuni; nel rapporto dialettico tra Governo e Parlamento, poi, si è potuto registrare un forte rafforzamento del primo sul secondo (nonché del Presidente del Consiglio sulla collegialità del Consiglio dei Ministri), frutto di una maggiore compattezza delle maggioranze e di una progressiva stabilizzazione dei loro leader, destinati a rivestire la carica di Presidente del Consiglio. Durante la XIV legislatura, quando il collegio uninominale sembrava aver prodotto buoni risultati sul rendimento della forma di governo parlamentare, sono state votate dal Parlamento riforme volte a riprodurre anche a livello nazionale le soluzioni che erano state sperimentate a livello regionale e degli enti locali (modifica delle leggi elettorali che abbinava alla formula proporzionale un premio in seggi per la coalizione vittoriosa, elezione diretta degli esecutivi, meccanismo del simul stabunt, simul cadent). Il duplice intervento riformatore agiva sul sistema elettorale, con la legge n. 270 del 2005, e sulla forma di governo, con l’estesa revisione della II parte della Costituzione nel senso di un rafforzamento della posizione dell’Esecutivo (non realizzatosi, tuttavia, a causa dell’esito negativo del referendum costituzionale del 2006). Con riferimento alle modifiche introdotte al sistema elettorale, la Camera dei deputati e il Senato vengono oggi eletti (il secondo su base regionale) con un sistema proporzionale, corretto da un premio di maggioranza, volto a conservare la dinamica bipolare affermatasi nel nostro sistema politico. Il premio in seggi, infatti, induce i partiti a creare coalizioni che comprendano il maggior numero possibile di liste (circostanza in realtà produttiva di frammentazione politica), indicando un comune programma ed un comune «capo della coalizione», proprio in vista della conquista dei seggi supplementari capaci di consegnare loro la maggioranza dell’assemblea da eleggere. L’analisi è volta a dimostrare come, a seguito di tale riforma elettorale, la funzione di sintesi politica delle istanze provenienti dalla società si realizzi con sempre maggiore difficoltà attraverso il circuito partitico-parlamentare, dal momento che, con i nuovi modelli adottati, si rinuncia definitivamente a stimolare un processo di aggregazione dal basso, mediante l’integrazione politica nella società ed in particolare dentro quei corpi intermedi tra società ed istituzioni che sono stati i partiti politici. Formalizzando una candidatura alla “premiership”, si alimenta altresì una pericolosa contrapposizione tra due canali di legittimazione alternativi, quello politico-partitico e quello elettorale-popolare, laddove il primo, che sostiene il Parlamento, è destinato a soccombere rispetto al secondo, che sorregge il Governo, accentuando così la crisi di rappresentatività delle nostre Assemblee parlamentari e destrutturando le basi di una autonoma legittimazione dei loro membri (la cui elezione dipende dall’esito della competizione elettorale tra i leader nazionali, e nell’ambito di un sistema elettorale edificato su liste bloccate, presentate con riferimento ad enormi circoscrizioni elettorali, che escludono la possibilità di costruire un autentico rapporto rappresentativo con l’elettorato). Secondo la tesi del saggio, rendendo più difficoltoso il ruolo dei partiti politici attraverso una personalizzazione della politica che tende ad accentrare in un’unica figura il potere dello Stato, il modello che si fonda sull’accoppiata “proporzionale più premio” e che costruisce canali di legittimazione alternativa a quella partitico-parlamentare, rafforzando gli Esecutivi in assenza dei limiti tipici della forma di governo presidenziale, finisce quindi per mettere sotto scacco i caratteri della democrazia rappresentativa a favore di una più flebile democrazia di mandato.
2008
9788895610030
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