Lo scopo del saggio è quello di suggerire alcune riflessioni sull’evoluzione della forma di governo della Comunità europea, prendendo spunto dall’analisi della dibattuta vicenda istituzionale, svoltasi nell’autunno 2004, che vide l’allora ministro per le politiche comunitarie del Governo italiano, on. Rocco Buttiglione, incappare, in qualità di candidato all’incarico di commissario europeo e di vicepresidente nella “squadra” inizialmente proposta dal neoeletto Presidente della Commissione Josè Manuel Durão Barroso, in una serie di vicissitudini destinate a rivelarsi fatali per il buon esito di quella candidatura. Il ministro, entrato dapprima nel mirino della Commissione parlamentare “Libertà civili, giustizia e affari interni”, in sede di audizione, risultò in fine sgradito alla maggioranza del Parlamento europeo e fu quindi sostituito dal collega italiano, on. Franco Frattini. Come è noto, la vicenda è stata al centro, nel nostro Paese, di un vero e proprio scontro politico, in cui non è mancato, soprattutto fra gli esponenti della maggioranza parlamentare che sosteneva il II Governo Berlusconi, chi ha usato toni assai aspri per descrivere la condotta dei membri della Commissione LIBE. Costoro, in conformità ad una prassi invalsa nella vita istituzionale della Comunità, avevano sottoposto il candidato commissario ad un fuoco incrociato di domande, volte a saggiarne non soltanto l’indipendenza dallo Stato membro di provenienza e la competenza in materia, ma altresì le opinioni personali e gli orientamenti politici. Ma se i toni della polemica inizialmente scaturita dall’audizione del ministro italiano furono duri, ancor più lo furono gli strali lanciati dall’alto di alcune fra le principali cariche istituzionali italiane all’indirizzo dello stesso Parlamento europeo, quando fu chiaro a tutti che la maggioranza dell’Assemblea di Strasburgo non avrebbe approvato la sua candidatura, ancorché ciò avesse comportato la bocciatura dell’intera Commissione. L’epilogo della vicenda è noto: il presidente Barroso fu costretto a chiedere un termine per procedere al rimpasto del suo esecutivo; rimpasto di cui l’on. Rocco Buttiglione era vittima predestinata e che consentì, infine, al presidente designato di ottenere il voto di approvazione tanto sofferto. Il Parlamento europeo, che in passato si era limitato ad effettuare una verifica di carattere “formale” sulla scelta dei membri della Commissione, per la prima volta, conformemente alle dinamiche tipiche delle democrazie parlamentari, sottopose le candidature dei commissari ad un vero e proprio controllo politico preordinato al “voto di fiducia” che il Parlamento è chiamato a dare sull’intera commissione, riportando oltretutto una vittoria densa di significato nel “braccio di ferro” istituzionale con il presidente della Commissione e il candidato commissario. Sebbene lo scopo dell’analisi non sia certamente quello di dare un giudizio politico della vicenda, si è ritenuto utile tentare di ricostruire la cronaca degli eventi in commento, poiché proprio dai risvolti di quella vicenda è possibile trarre alcune riflessioni, sia sulla fondatezza delle accuse da più parti rivolte all’operato del Parlamento europeo, sia sugli sviluppi della prassi istituzionale. L’episodio – è la tesi del saggio – rappresenta un’ulteriore tappa dell’evoluzione dei rapporti fra le istituzioni politiche europee e, soprattutto, la conferma di una costante, seppure lenta, crescita del peso politico del Parlamento europeo e di una progressiva evoluzione in senso parlamentare della forma di governo cui si sta informando l’apparato istituzionale dell’Unione europea.

Il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo nella prassi. Il “caso Buttiglione”

SPADACINI, Lorenzo
2006-01-01

Abstract

Lo scopo del saggio è quello di suggerire alcune riflessioni sull’evoluzione della forma di governo della Comunità europea, prendendo spunto dall’analisi della dibattuta vicenda istituzionale, svoltasi nell’autunno 2004, che vide l’allora ministro per le politiche comunitarie del Governo italiano, on. Rocco Buttiglione, incappare, in qualità di candidato all’incarico di commissario europeo e di vicepresidente nella “squadra” inizialmente proposta dal neoeletto Presidente della Commissione Josè Manuel Durão Barroso, in una serie di vicissitudini destinate a rivelarsi fatali per il buon esito di quella candidatura. Il ministro, entrato dapprima nel mirino della Commissione parlamentare “Libertà civili, giustizia e affari interni”, in sede di audizione, risultò in fine sgradito alla maggioranza del Parlamento europeo e fu quindi sostituito dal collega italiano, on. Franco Frattini. Come è noto, la vicenda è stata al centro, nel nostro Paese, di un vero e proprio scontro politico, in cui non è mancato, soprattutto fra gli esponenti della maggioranza parlamentare che sosteneva il II Governo Berlusconi, chi ha usato toni assai aspri per descrivere la condotta dei membri della Commissione LIBE. Costoro, in conformità ad una prassi invalsa nella vita istituzionale della Comunità, avevano sottoposto il candidato commissario ad un fuoco incrociato di domande, volte a saggiarne non soltanto l’indipendenza dallo Stato membro di provenienza e la competenza in materia, ma altresì le opinioni personali e gli orientamenti politici. Ma se i toni della polemica inizialmente scaturita dall’audizione del ministro italiano furono duri, ancor più lo furono gli strali lanciati dall’alto di alcune fra le principali cariche istituzionali italiane all’indirizzo dello stesso Parlamento europeo, quando fu chiaro a tutti che la maggioranza dell’Assemblea di Strasburgo non avrebbe approvato la sua candidatura, ancorché ciò avesse comportato la bocciatura dell’intera Commissione. L’epilogo della vicenda è noto: il presidente Barroso fu costretto a chiedere un termine per procedere al rimpasto del suo esecutivo; rimpasto di cui l’on. Rocco Buttiglione era vittima predestinata e che consentì, infine, al presidente designato di ottenere il voto di approvazione tanto sofferto. Il Parlamento europeo, che in passato si era limitato ad effettuare una verifica di carattere “formale” sulla scelta dei membri della Commissione, per la prima volta, conformemente alle dinamiche tipiche delle democrazie parlamentari, sottopose le candidature dei commissari ad un vero e proprio controllo politico preordinato al “voto di fiducia” che il Parlamento è chiamato a dare sull’intera commissione, riportando oltretutto una vittoria densa di significato nel “braccio di ferro” istituzionale con il presidente della Commissione e il candidato commissario. Sebbene lo scopo dell’analisi non sia certamente quello di dare un giudizio politico della vicenda, si è ritenuto utile tentare di ricostruire la cronaca degli eventi in commento, poiché proprio dai risvolti di quella vicenda è possibile trarre alcune riflessioni, sia sulla fondatezza delle accuse da più parti rivolte all’operato del Parlamento europeo, sia sugli sviluppi della prassi istituzionale. L’episodio – è la tesi del saggio – rappresenta un’ulteriore tappa dell’evoluzione dei rapporti fra le istituzioni politiche europee e, soprattutto, la conferma di una costante, seppure lenta, crescita del peso politico del Parlamento europeo e di una progressiva evoluzione in senso parlamentare della forma di governo cui si sta informando l’apparato istituzionale dell’Unione europea.
2006
8849814445
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