Nel testo, salvi brevi cenni introduttivi sull’inquadramento dottrinale dell’istituto della delega legislativa, si è passata in rassegna la giurisprudenza costituzionale, dalla prima sentenza intervenuta sul tema (la n. 3 del 1957) alla data in cui è stata arrestata l’analisi (ottobre 2005). In particolare, si è cercato di ricostruire – sistematicamente – la posizione della Corte sul contenuto della fonte “presupposto” (la legge di delegazione); sui vincoli – procedimentali, sostanziali ed interpretativi – che la legano alla fonte “derivata” (la legge delegata); sull’ambito entro il quale ha ritenuto censurabile l’eventuale vizio dell’eccesso di(della/dalla) delega. Dalla giurisprudenza esaminata sembra emergere come alla posizione di maggiore “tolleranza” nei confronti della delega legislativa, sia stata sostituita (in parallelo con l’incrementarsi dell’abuso) una posizione di maggior “rigore”. Ciò innanzitutto e principalmente mediante criteri interpretativi volti a “restringere” l’ambito della delega, così “supplendo” al “lassismo” del Parlamento (attraverso, ma non solo, la “teoria” dell’ “oggetto minimale”) e, altresì, facendo ricadere unicamente sul decreto legislativo le conseguenze pregiudizievoli di una legge di delegazione priva di principi e criteri sufficientemente determinati. Ma – con la sentenza 28 luglio 2004, n. 280 – la Corte sembra aver “preannunciato” un nuovo “corso” censurando – direttamente – la stessa legge di delegazione in quanto i principi in essa contenuti “appaiono inadeguati” oltre che far difetto “un’effettiva predeterminazione dei criteri”. Resta da valutare se l’indirizzo (“germinale”) troverà futura conferma, spostando il baricentro del sindacato della Corte dalla fonte “derivata” a quella “presupposta”.
La legge delegata – vincoli costituzionali e discrezionalità del Governo
MACCABIANI, Nadia
2005-01-01
Abstract
Nel testo, salvi brevi cenni introduttivi sull’inquadramento dottrinale dell’istituto della delega legislativa, si è passata in rassegna la giurisprudenza costituzionale, dalla prima sentenza intervenuta sul tema (la n. 3 del 1957) alla data in cui è stata arrestata l’analisi (ottobre 2005). In particolare, si è cercato di ricostruire – sistematicamente – la posizione della Corte sul contenuto della fonte “presupposto” (la legge di delegazione); sui vincoli – procedimentali, sostanziali ed interpretativi – che la legano alla fonte “derivata” (la legge delegata); sull’ambito entro il quale ha ritenuto censurabile l’eventuale vizio dell’eccesso di(della/dalla) delega. Dalla giurisprudenza esaminata sembra emergere come alla posizione di maggiore “tolleranza” nei confronti della delega legislativa, sia stata sostituita (in parallelo con l’incrementarsi dell’abuso) una posizione di maggior “rigore”. Ciò innanzitutto e principalmente mediante criteri interpretativi volti a “restringere” l’ambito della delega, così “supplendo” al “lassismo” del Parlamento (attraverso, ma non solo, la “teoria” dell’ “oggetto minimale”) e, altresì, facendo ricadere unicamente sul decreto legislativo le conseguenze pregiudizievoli di una legge di delegazione priva di principi e criteri sufficientemente determinati. Ma – con la sentenza 28 luglio 2004, n. 280 – la Corte sembra aver “preannunciato” un nuovo “corso” censurando – direttamente – la stessa legge di delegazione in quanto i principi in essa contenuti “appaiono inadeguati” oltre che far difetto “un’effettiva predeterminazione dei criteri”. Resta da valutare se l’indirizzo (“germinale”) troverà futura conferma, spostando il baricentro del sindacato della Corte dalla fonte “derivata” a quella “presupposta”.File | Dimensione | Formato | |
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