La comunicazione attraverso i simboli è certamente uno dei primi modi in cui l’uomo si è relazionato con gli altri esseri viventi. Le religioni hanno fatto tesoro di questa primitiva modalità espressiva ed hanno costruito nei secoli un ricchissimo vocabolario di simboli che ha condizionato e plasmato l’impianto, lo spazio architettonico, gli arredi e le suppellettili dell’edificio sacro. Se muoversi nello spazio-chiesa permette allora di decifrare il linguaggio “ufficiale” con cui la comunità dialoga con Dio, rilevare l’edificio, gli arredi o le suppellettili consente altresì di comprendere come il singolo architetto od artigiano si sia confrontato con la divinità e con l’inesorabilità del tempo fuggente, attraverso una preghiera “privata” fatta di segni che assumono la pregnanza di simboli. Le considerazioni sopra espresse permettono di introdurre il tema di una ricerca sulle cosiddette “Macchine dei Tridui”, di cui presento qui una prima e parziale anticipazione. Si tratta di apparati effimeri – il loro utilizzo è limitato a tre giorni l’anno, da cui il nome di Triduo - montati nel presbiterio della chiesa, a copertura o appena alle spalle dell’altare maggiore; realizzati in elementi lignei assemblati ad incastro, costituiscono delle vere e proprie architetture che trasfigurano lo spazio del presbiterio, ne lambiscono la superficie voltata, e ruotano attorno all’elemento focale: la grande raggiera al centro della quale viene esposto l’ostensorio. A differenza della funzione delle “Quarantore”, diffusa in tutto il mondo cattolico controriformista per affermare il trionfo e la corporeità dell’Eucarestia, la funzione del “Triduo dei morti” con apparato è prerogativa della Diocesi bresciana (da qui si è capillarmente diffusa in quella bergamasca e veronese, dove l’uso si è radicato però solo nei territori che geograficamente appartenevano a Brescia) a partire dall’inizio del XVIII secolo e nasce dalla pietas verso le anime purganti che, grazie alle preghiere di suffragio dei vivi, possono più rapidamente espiare le pene nel Purgatorio e salire al Paradiso. Una sorta di “clessidra” sui generis, in cui, al posto di ogni singolo granello di sabbia, ogni preghiera passa attraverso la raggiera e sale assieme al fumo delle centinaia di candele che illuminano l’apparato, trasformandolo in una macchina di luce. Attraverso il rilievo ed il disegno verranno evidenziate anche interessanti correlazioni simboliche e formali con le raffigurazioni dantesche del Purgatorio e del Paradiso.
LE MACCHINE DEI TRIDUI NELLO SPAZIO DELLE SUPERFICI VOLTATE
PASSAMANI, Ivana
2010-01-01
Abstract
La comunicazione attraverso i simboli è certamente uno dei primi modi in cui l’uomo si è relazionato con gli altri esseri viventi. Le religioni hanno fatto tesoro di questa primitiva modalità espressiva ed hanno costruito nei secoli un ricchissimo vocabolario di simboli che ha condizionato e plasmato l’impianto, lo spazio architettonico, gli arredi e le suppellettili dell’edificio sacro. Se muoversi nello spazio-chiesa permette allora di decifrare il linguaggio “ufficiale” con cui la comunità dialoga con Dio, rilevare l’edificio, gli arredi o le suppellettili consente altresì di comprendere come il singolo architetto od artigiano si sia confrontato con la divinità e con l’inesorabilità del tempo fuggente, attraverso una preghiera “privata” fatta di segni che assumono la pregnanza di simboli. Le considerazioni sopra espresse permettono di introdurre il tema di una ricerca sulle cosiddette “Macchine dei Tridui”, di cui presento qui una prima e parziale anticipazione. Si tratta di apparati effimeri – il loro utilizzo è limitato a tre giorni l’anno, da cui il nome di Triduo - montati nel presbiterio della chiesa, a copertura o appena alle spalle dell’altare maggiore; realizzati in elementi lignei assemblati ad incastro, costituiscono delle vere e proprie architetture che trasfigurano lo spazio del presbiterio, ne lambiscono la superficie voltata, e ruotano attorno all’elemento focale: la grande raggiera al centro della quale viene esposto l’ostensorio. A differenza della funzione delle “Quarantore”, diffusa in tutto il mondo cattolico controriformista per affermare il trionfo e la corporeità dell’Eucarestia, la funzione del “Triduo dei morti” con apparato è prerogativa della Diocesi bresciana (da qui si è capillarmente diffusa in quella bergamasca e veronese, dove l’uso si è radicato però solo nei territori che geograficamente appartenevano a Brescia) a partire dall’inizio del XVIII secolo e nasce dalla pietas verso le anime purganti che, grazie alle preghiere di suffragio dei vivi, possono più rapidamente espiare le pene nel Purgatorio e salire al Paradiso. Una sorta di “clessidra” sui generis, in cui, al posto di ogni singolo granello di sabbia, ogni preghiera passa attraverso la raggiera e sale assieme al fumo delle centinaia di candele che illuminano l’apparato, trasformandolo in una macchina di luce. Attraverso il rilievo ed il disegno verranno evidenziate anche interessanti correlazioni simboliche e formali con le raffigurazioni dantesche del Purgatorio e del Paradiso.File | Dimensione | Formato | |
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