Sono stati considerati tre fenomeni sociali temporalmente ordinati: la rivoluzione industriale (fine Settecento-Ottocento), il Fordismo (Novecento) e la società post-industriale (i giorni nostri). Per ciascuna di queste fasi sono state analizzate, correlativamente, le forme tipiche di regolazione del lavoro e le concezioni di salute e benessere. L’analisi si è basata non solo sul contributo delle scienze sociali, ma anche sulle rappresentazioni offerte dalla grande letteratura. Nella prima fase il lavoro viene considerato una merce e nelle officine il concetto di salute non trova alcuno spazio. L’operaio dickensiano è un’ “appendice” della macchina e vive in condizioni “non umane” (luoghi di lavoro malsani, senza finestre, rumorosi, turni di 16 ore, lavoro infantile). Col Fordismo si lavora di meno e non si registrano evidenti maltrattamenti, malattie e deformazioni “professionali”. Eppure, “a furia di passare dei piccoli perni” tutto il giorno, “da anni sempre gli stessi”, chiunque, prima o poi, diventerebbe pazzo, come lo Charlot di Tempi moderni o il Ferdinand Bardamu di Céline. Con la società post-industriale il lavoro non cessa di essere prestato in condizioni rischiose, solo che la malattia tende a divenire “invisibile”, ma, soprattutto, non si realizza la possibilità per ciascuno di amare il proprio lavoro. La “malattia” professionale tipica di questa fase sembra il mobbing, disturbo da stress o rischio psico-sociale che intacca l’umore, mette in crisi le relazioni sociali, rende difficoltosa la capacità di affrontare le incombenze quotidiane, fino ad incidere sulla stessa voglia di vivere.

Lavoro e salute fra scienze sociali e letteratura da Dickens ai giorni nostri. Hard Times Are They A Changin’?

SPERANZA, Lorenzo;PALMIERI, Angela
2015-01-01

Abstract

Sono stati considerati tre fenomeni sociali temporalmente ordinati: la rivoluzione industriale (fine Settecento-Ottocento), il Fordismo (Novecento) e la società post-industriale (i giorni nostri). Per ciascuna di queste fasi sono state analizzate, correlativamente, le forme tipiche di regolazione del lavoro e le concezioni di salute e benessere. L’analisi si è basata non solo sul contributo delle scienze sociali, ma anche sulle rappresentazioni offerte dalla grande letteratura. Nella prima fase il lavoro viene considerato una merce e nelle officine il concetto di salute non trova alcuno spazio. L’operaio dickensiano è un’ “appendice” della macchina e vive in condizioni “non umane” (luoghi di lavoro malsani, senza finestre, rumorosi, turni di 16 ore, lavoro infantile). Col Fordismo si lavora di meno e non si registrano evidenti maltrattamenti, malattie e deformazioni “professionali”. Eppure, “a furia di passare dei piccoli perni” tutto il giorno, “da anni sempre gli stessi”, chiunque, prima o poi, diventerebbe pazzo, come lo Charlot di Tempi moderni o il Ferdinand Bardamu di Céline. Con la società post-industriale il lavoro non cessa di essere prestato in condizioni rischiose, solo che la malattia tende a divenire “invisibile”, ma, soprattutto, non si realizza la possibilità per ciascuno di amare il proprio lavoro. La “malattia” professionale tipica di questa fase sembra il mobbing, disturbo da stress o rischio psico-sociale che intacca l’umore, mette in crisi le relazioni sociali, rende difficoltosa la capacità di affrontare le incombenze quotidiane, fino ad incidere sulla stessa voglia di vivere.
2015
978-88-299-2708-1
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