L’identità e lo statuto dell’embrione umano vengono dapprima indagati attraverso la lettura dei diversi pareri—succedutisi nel corso degli ultimi vent’anni—del Comitato Nazionale per la Bioetica. In particolare, vexata quaestio è la soggettività giuridica del nascituro, il quale, senz’altro privo della capacità di cui all’art. 1 c.c., può certamente, per converso, vantare una tutela a rilevanza costituzionale, anche solo in ragione della sua mera appartenenza alla specie umana. Al riguardo, peraltro, si tratta non solo di tutelare la vita e, soprattutto, la dignità del concepito (specie laddove si agisca non per il suo best interest, bensì, in ipotesi, per il conseguimento di determinati obiettivi in àmbito scientifico), ma anche di salvaguardarne il diritto alla salute, grazie alla liquidazione del pregiudizio cagionato da fatto illecito avvenuto anteriormente al (o al momento del) parto. In questo senso, quindi, vengono analizzate sia le fattispecie di wrongful life (alla luce, in particolare, dell’ultimo arresto dei giudici di legittimità) sia la coerenza, all’interno dell’ordinamento italiano, fra la normativa predisposta in materia di interruzione volontaria della gravidanza e quella dedicata alla procreazione medicalmente assistita. Inoltre, è oggetto di analisi la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale—sia su IVG sia su PMA—si contraddistingue per un orientamento non propriamente “interventista”. Per contro, si dà conto della posizione espressa dalla Corte di Giustizia riguardo alla stessa nozione di “embrione umano”, nonché in relazione alla sua assoluta non-brevettabilità. Il problema—certo—è anche di fonti: il ruolo di giurisprudenza e legislatore, infatti, appare più che mai difficile dinanzi a questioni caratterizzate non solo da controvertibilità etica, ma anche da un’inarrestabile evoluzione scientifica.

Identità e statuto dell'embrione umano: soggetto di diritto/oggetto di tutela?

CACACE, Simona
2013-01-01

Abstract

L’identità e lo statuto dell’embrione umano vengono dapprima indagati attraverso la lettura dei diversi pareri—succedutisi nel corso degli ultimi vent’anni—del Comitato Nazionale per la Bioetica. In particolare, vexata quaestio è la soggettività giuridica del nascituro, il quale, senz’altro privo della capacità di cui all’art. 1 c.c., può certamente, per converso, vantare una tutela a rilevanza costituzionale, anche solo in ragione della sua mera appartenenza alla specie umana. Al riguardo, peraltro, si tratta non solo di tutelare la vita e, soprattutto, la dignità del concepito (specie laddove si agisca non per il suo best interest, bensì, in ipotesi, per il conseguimento di determinati obiettivi in àmbito scientifico), ma anche di salvaguardarne il diritto alla salute, grazie alla liquidazione del pregiudizio cagionato da fatto illecito avvenuto anteriormente al (o al momento del) parto. In questo senso, quindi, vengono analizzate sia le fattispecie di wrongful life (alla luce, in particolare, dell’ultimo arresto dei giudici di legittimità) sia la coerenza, all’interno dell’ordinamento italiano, fra la normativa predisposta in materia di interruzione volontaria della gravidanza e quella dedicata alla procreazione medicalmente assistita. Inoltre, è oggetto di analisi la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale—sia su IVG sia su PMA—si contraddistingue per un orientamento non propriamente “interventista”. Per contro, si dà conto della posizione espressa dalla Corte di Giustizia riguardo alla stessa nozione di “embrione umano”, nonché in relazione alla sua assoluta non-brevettabilità. Il problema—certo—è anche di fonti: il ruolo di giurisprudenza e legislatore, infatti, appare più che mai difficile dinanzi a questioni caratterizzate non solo da controvertibilità etica, ma anche da un’inarrestabile evoluzione scientifica.
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